Ritorno al futuro, diciamolo così. Le Next Gen ATP Finals si ripresentano al mondo del tennis dopo l’edizione d’esordio dello scorso anno, in una conferenza stampa che di fatto conferma il proprio formato anche per il 6-10 novembre 2018. La Fiera di Milano, allestita nuovamente con un singolo campo privo di corridoi laterali, sarà la finestra su quello che è a tutti gli effetti uno scenario possibile per il futuro del tennis ed è ancora Roma, l’altro polo tennistico italiano, ad aprirla in anticipo.
Palpabile la gioia di Chris Kermode, presidente della ATP, nel trovare popolatissima la sala conferenze del Foro Italico. Il diluvio che impedisce l’inizio degli incontri su tutti i campi ha senza dubbio contribuito, ma il numero di giornalisti italiani e stranieri conferma l’interesse attorno a un prodotto così sfacciatamente nuovo al cuore dello sport tradizionalista per eccellenza. Le tantissime facce basite di fronte al primo concept delle ATP Next Gen Finals hanno fatto il gioco dell’Italia: “C’erano almeno altre cinque città candidate” ha svelato Kermode, “ma l’entusiasmo mostrato da Milano durante le prime discussioni è stato unico“. Al suo fianco il presidente della Federtennis Angelo Binaghi e il Segretario generale del CONI Carlo Mornati, rappresentanti degli altri due terzi dietro al progetto che ha riportato a Milano un tennis che mancava dal 2005, confermano.
“L’edizione di quest’anno ci aiuterà a capire quali cambiamenti potranno, eventualmente, essere implementati nell’ATP World Tour a partire dal 2019 o dal 2020“ è la frase destinata a far mormorare più di qualche bocca, nonostante l’intento del torneo milanese sia fin dall’inizio dichiaratamente quello di cercare un tennis del domani, più appetibile per giovani fan e più facile da gestire per i palinsesti televisivi. Il tennis però non sembra destinato a venire stravolto fin nelle sue fondamenta, non almeno in tempi brevi. Se per Kermode non ci sono troppi dubbi sul fatto che lo shot clock o l’Hawk Eye live (che sostituisce i giudici di linea) possano entrare a far parte del circuito già dalla prossima stagione, la effettiva possibilità di introdurre le modifiche nel sistema di punteggio nel tour ATP sembra ancora lontana.
I puristi possono tirare un sospiro di sollievo: i set a 4 game, il killer point e il più innocuo no-let sono ancora parte di un futuro misterioso, senza date né certezze. Servirà una mole di dati ben maggiore (viene citato positivamente l’esempio del doppio, in cui il terzo set è stato sostituito da un maxi tie-break a 10 punti sulla base di uno studio che confermava la percentuale di vittoria della coppia favorita anche nel nuovo formato) per poter avallare un cambiamento così drastico, l’unico tra quelli mostrati alle ATP Next Gen Finals a poter davvero influenzare il risultato dell’incontro. La ATP continuerà a sfruttare l’evento di Milano come test principe, raccogliendo i feedback di giocatori e spettatori (i numeri parlano di oltre l’85% di fan favorevoli alla sperimentazione dello scorso anno).
Prosegue invece la guerra ai tempi morti, che si fa anzi più dura con due piccole aggiunte: il tempo di riscaldamento, già codificato a 5 minuti esatti lo scorso anno, scenderà a 4 con la seria possibilità di venire ulteriormente ridotto in futuro (almeno fino al primo strappo muscolare, viene da temere) mentre i raccattapalle verranno sollevati dall’onere di dover porgere l’asciugamano ai giocatori dopo ogni punto dell’incontro. Saranno gli stessi tennisti a prenderselo, all’occorrenza, da un porta-asciugamani installato a fondo campo. Nel caso in cui dovessero abusarne, per guadagnare qualche secondo o spezzare il ritmo all’avversario, verranno penalizzati di un 15. Del resto quanto si suda a tirare un ace o a venire omaggiati di un doppio fallo?
L’unica vera novità saranno allora i partecipanti – un cartellone alle spalle degli oratori elenca i candidati più validi. Se il cut-off sembra essere confermato alla settima posizione della Race to Milan, con l’ottavo posto da assegnare a un italiano tramite wild card scelta con criteri ancora da discutere, il taglio di età scende dal 1996 al 1997. Si trova quindi esclusa ben oltre la metà del campo partecipanti dello scorso anno, tra cui il campione in carica Hyeon Chung. Il coreano, ospite d’onore della conferenza, ha sottolineato scherzando il paradosso d’essere “troppo vecchio per partecipare” ad appena ventidue anni, da compiere questa settimana (a Roma o altrove, dato che si è ritirato prima della compilazione del tabellone per un problema fisico).
Il boom di spettatori dello scorso anno sarà difficile da ripetere, considerato che non si tratta più di novità assolute. Molto probabile che si rinnovi inoltre l’assenza di Alexander Zverev dai due gironcini di Milano. Il tedesco è stabilmente tra i primi tennisti del ranking (è numero 3, e questa settimana a Roma difende la prima grande cambiale da mille punti, seppur a cuore alleggerito dall’equipollente successo a Madrid) ed è il candidato più valido a chiudere la stagione sul terzo gradino del podio, dietro Federer e Nadal. Entrerebbe così per il secondo anno consecutivo nelle ATP Finals di Londra, in programma la settimana seguente all’evento milanese, con serie chance di andare stavolta fino in fondo.
Con grande onestà Chris Kermode ha ammesso che in sarebbe ingiusto insistere per una partecipazione di Zverev al torneo Next Gen, e che non si aspetta né quest’anno né in futuro una presenza a Rho di un qualificato per l’O2 Arena. Una situazione del tutto inattesa al tempo dei primi brainstorming sull’evento: “Ci aspettavamo partecipanti tra la 300esima e la 400esima posizione mondiale, e invece quest’anno almeno la metà dovrebbero essere tra i primi 50 al mondo“ ha confessato Kermode. E uno, come già detto, troppo forte per giocare ancora coi coetanei. Un piccolo paradosso che sottolinea come il tennis corra veloce, e le Next Gen Finals siano un tentativo coraggioso di stare al passo.
In effetti tra gli obiettivi della Next Gen c’era di creare personaggi riconoscibili e storyline che li coinvolgessero per l’intera durata dell’anno, ed è evidente che ragazzi come Denis Shapovalov e Stefanos Tsitsipas abbiano già raccolto un discreto seguito di veri e propri tifosi. Pronti a sostenerli guardando incontri dalla durata media quasi identica a quelli a cui siamo abituati (un’ora e trentasei contro un’ora e trentanove) ma ricchi di momenti topici, di ribaltamenti di fronte – a volte anche a spese di un canovaccio comprensibile – e che permettano, nell’arco di un pomeriggio, di fare anche altro. Magari, perché no, di guardare un secondo match.