Il mondo del tennis lo ha scoperto in una fredda giornata novembrina in quel di Gent. Finale di Coppa Davis e Leon Smith, capitano della Gran Bretagna, non ha dubbi, affidandosi al giovane Kyle. Per oltre un’ora David Goffin e tutta la Expo Flanders rimasero annichiliti dinanzi alle bombe al servizio ed alle bordate di diritto del bitannico. Poi l’emozione ebbe la meglio ed il numero uno belga rimontò lo svantaggio di due set, anche se alla fine furono Andy Murray e compagni a festeggiare. Kyle è nato a Johannesburg, in Sud Africa ventitre anni fa, dove papà Steven, direttore di un’azienda di costruzioni lavorava, prima di spostarsi nello Yorkshire, tre ore a nord di Londra. Che resta la sua città fino a pochi mesi fa quando, tra qualche polemica (e seguendo l’esempio di tanti suoi illustri colleghi), trasferisce la residenza a Nassau (Bahamas) per motivi chiaramente di natura fiscale.
Si innamora della racchetta relativamente tardi, intorno ai dieci anni, mette su muscoli e centimetri (188 cm come recite il sito ATP) e già a sedici anni è in semifinale agli US Open Juniores, sconfitto da Jiri Vesely. Nel 2013 l’esordio sul tour sull’erba inglese: sconfitto all’esordio al Queen’s contro Grega Zemlja, arriva il primo successo nel circuito maggiore a Eastbourne, su Kenny de Schepper. Nel 2015 arrivano tre successi Challenger (Hong Kong, Binghampton e Buenos Aires) e la prima vittoria in uno Slam proprio al Roland Garros contro Stephane Robert, su quella terra che resta la sua superifice preferita.
Tifoso del Liverpool e con Safin come idolo di infanzia, centra il primo grande risultato agli Us Open 2016 quando si spinge sino agli ottavi dopo aver battuto il numero 15 Richard Gasquet e il numero 21 John Isner, prima di arrendersi al numero 1 del mondo Novak Djokovic. A Montecarlo nel 2017 toglie un set a Nadal, ma è agli Australian Open di gennaio che esplode definitivamente, battendo il finalista degli Us Open Kevin Anderson all’esordio e spingendosi fino alle semifinali (ko con Cilic) dopo aver superato il primo top-ten in carriera, il numero 3 del mondo Grigor Dimitrov in quarti di finale. A Marrakech raggiunge la prima finale in carriera ma la perde da favorito contro il redivivo Pablo Andujar, a Madrid batte Djokovic e Goffin prima di arrendersi a Shapovalov. Il suo diritto dall’impugnatura estrema, che ha ispirato anche gli spunti tecnici del nostro maestro Baldissera, è il suo colpo migliore con il quale ha già fatto danni in giro per il circuito. Allenato da Fredrik Rosengren, ha da poco inserito nel suo staff Darren Chin, ex campione europeo nella staffetta 4×100 di atletica e già membro dello staff di preparatori di Usain Bolt, il più grande sprinter della storia dell’atletica leggera.
“Sto studiando la tecnica di corsa di Kyle” ha raccontato Chin, “e la biomeccanica del suo corpo, per cercare di migliorare la corsa sui 5-10 metri. Un altro obiettivo è migliorare la sua flessibilità e aumentare la leggerezza negli spostamenti”. Un’arma segreta per cercare di aumentare ulteriormente il livello e ambire alla top-10. Chissà che quello con Fabio Fognini non sia proprio uno snodo fondamentale per capire chi dei due è davvero degno di salire nel gotha del tennis.