“Io non perdo: o vinco o imparo”. Qualche mese fa Marco Cecchinato confidava su Instagram di avere avuto sin da bambino questa frase come stella polare del suo modo di affrontare il tennis e la vita. La semifinale raggiunta al Roland Garros non rende felici solo per l’importanza storica di un traguardo così prestigioso per l’intero sport italiano. In realtà, è la maniera con la quale è arrivato questo traguardo, tra l’altro ancora parziale, a rendere pienamente orgogliosi gli appassionati di tennis, anche quelli occasionali. La conquista della semifinali da parte del siciliano non può essere infatti essere definita in alcun modo casuale, aggettivo che tante volte masochisticamente associamo alle gioie inaspettate procurate dai nostri atleti. Infatti, non si sconfiggono grazie alla fortuna cinque giocatori di seguito in partite giocate al meglio dei tre set su cinque. Soprattutto, non vi può essere casualità dietro a tre vittorie ottenute con margine contro grandi giocatori come Carreno Busta – 11 ATP e vincitore di tre titoli in carriera -, David Goffin – nove del mondo con all’attivo quattro titoli e la finale alle recenti ATP Finals – e, soprattutto, Nole Djokovic – il cui palmares di 12 Slam, di 223 settimane al numero 1 al mondo (lo era appena un anno e mezzo fa) e svariati altri titoli è noto a tutti.
CADERE E RIALZARSI – Ma, al di là del risultato agonistico, ciò che affascina maggiormente è la storia che vi è dietro a questo risultato. Una vera e propria favola moderna che travalica i confini dello sport, per la tragica caduta umana e la risalita “eroica” compiute dal suo protagonista, un cammino meritevole di essere ripercorso. Il 25enne palermitano è arrivato tardi al grande tennis. Lo aveva sfiorato per la prima volta nel 2015, quando, grazie a una serie di buonissimi risultati nel circuito inferiore (quello dei Challenger) si era spinto in classifica sino al gradino 82 del ranking ATP. Non deve essere facile avere il primo approccio con la celebrità, il professionismo, i guadagni: la tentazione di prendere scorciatoie è per tutti forte, evitare le sbandate è un dovere. Ma non sempre ci si riesce. Cecchinato finisce coinvolto in una deprecabile vicenda di scommesse dalla quale, seppure lui abbia negato ogni coinvolgimento, è stato assolto soltanto per vizi procedurali. Oggi non ne vuole più parlare, e – a distanza di tre anni – conta che abbia imparato la lezione sottesa a una storia del genere. All’uscita da questa brutta storia Marco era in ogni caso precipitato in classifica, ma, da come si è rimboccato le maniche e ha lavorato duramente, giorno dopo giorno, per migliorarsi e mettere alle spalle i suoi errori, si direbbe che quanto è successo gli abbia insegnato tanto.
UN NUOVO CECK – Cecchinato, infatti, non solo è un tennista tecnicamente molto migliore di quanto non lo fosse già tre anni fa, ma mentalmente e psicologicamente ha lavorato tantissimo per maturare come uomo e atleta. A marzo era ancora fuori dai 100, ma non si è scoraggiato. Nel tennis, tutto può cambiare da un momento all’altro e così è stato anche per l’azzurro, il quale, in poche settimane, ha infranto un’incredibile serie di prime volte. Aprile è stato il mese della vera svolta della sua carriera: a Montecarlo ha ottenuto la prima vittoria in carriera in un Masters 1000 poi, la settimana seguente a Budapest ha vinto il primo torneo della carriera. La fortuna questa volta gli ha sorriso, regalandogli il pass per il tabellone principale da lucky loser. Il suo tennis è notevolmente migliorato e, sempre ad aprile, arriva la prima vittoria contro un top 20, a Monaco di Baviera nel derby contro Fognini. A Roma va ko al secondo turno (guarda caso proprio contro Goffin), poi dieci giorni fa atterra al Roland Garros da 72esimo giocatore al mondo. Contro Copil, al debutto, arriva (soffrendo) il primo successo Slam della vita. I complimenti si intensificano dopo la vittoria al secondo turno con l’argentino Trungelliti, ma gli addetti ai lavori sembrano concordi nel pensare che il suo torneo possa essere finito lì.
NON SOLO I COLPI – L’inesperienza a certi livelli e, soprattutto, il non aver mai sconfitto avversari del calibro di quelli che lo avrebbero atteso lasciavano prevedere la fine dell’avventura al Roland Garros per un tennista la cui carriera era comunque in ampio crescendo. Carreno Busta, Goffin (primo top ten sconfitto in carriera) e Djokovic sono però caduti uno dopo l’altro. Comunque vada in semifinale, da lunedì prossimo Cecchinato sarà nei primi 30 del mondo. Ci è arrivato – oltre che con un ottimo tennis – con doti purtroppo molto rare nel patrimonio genetico del tennista medio italiano, la forza mentale e la personalità. Cecchinato è in semifinale al Roland Garros non solo per il suo tennis completo, a partire dal servizio, passando per i solidi e potenti fondamentali da fondo campo, finendo con la capacità di variare il gioco con splendide palle corte e attacchi a rete in contro tempo. Quel che impressiona soprattutto di Marco è il suo coraggio e la personalità con la quale affronta i punti più delicati del match, quelli dove alla maggioranza dei tennisti trema la mano. Negli ultimi decenni, passata la sbornia della Davis 1976, abbiamo avuto vari tennisti abili a sfoderare colpi ad effetto – basti pensare ad esempio a Canè, Camporese o allo stesso Fognini – ma nessuno di loro era capace di giocare contro i più forti guardandoli negli occhi, non subendo il loro carisma e rischiando prima di loro i colpi per indirizzare l’andamento del punto. Quanto al confronto con l’età degli altri italiani al momento del miglior risultato Slam, Cecchinato si posizione nel mezzo: sette (tra cui Fognini) ci sono riusciti in età più giovane, nove ce l’hanno fatta in età più tarda (il più anziano De Morpurgo, semifinalista al Roland Garros 1930).
LA NUOVA SFIDA – Cecchinato – forse meno spettacolare dei citati connazionali – ha vinto con il coraggio e la personalità, due aspetti in lui innati ma sui quali ha anche, evidentemente, lavorato molto in questi anni. Giusto due mesi fa, sempre sul suo profilo social, il palermitano citava una frase di Goran Ivanisevic. Letta adesso, sembra illuminante per aiutarci a capire su cosa abbia lavorato in questi anni: “Il talento è un dono di Dio, ma poi tu ci devi lavorare sopra. Se vedi il n.1 e il n.100 del mondo in allenamento, non li distingui. La differenza la fa il modo in cui giocano i punti importanti”. Parole che, seguendo questo Roland Garros 2018, non sono rimaste tali e che ora, in vista di venerdì e della semifinale contro Dominic Thiem, avversario durissimo e secondo favorito del torneo dal numero 8 del mondo, devono tornare più utili che mai.