0 – le vittorie di Marco Cecchinato in partite del circuito maggiore non giocate sulla terra battuta. L’autentico eroe azzurro dell’ultimo Roland Garros in questa sua prima fase di carriera ha preferito provare a costruire una classifica da top 100 giocando soprattutto, anche a livello Challenger se necessario, sulla terra rossa, la superficie dove è maggiormente abituato a esprimere il proprio tennis. Per tale ragione, nei tabelloni principali di tornei ATP, tra cemento e erba, sino ad oggi ha giocato appena sei partite, perdendole tutte. Ora che la nuova classifica lo premia come 27° giocatore al mondo, il 25 enne siciliano sa bene che la sfida per confermarsi degno del nuovo ranking e provare magari a migliorarlo passa dall’evoluzione da ottimo “terraiolo” a tennista completo. Nel tennis di oggi, lo è tale chi è capace di ottenere buoni risultati sull’erba e, soprattutto, sul cemento, la superficie dove si gioca la maggior parte dell’anno e che assegna la maggior parte dei punti messi in palio dal calendario. Un obiettivo difficile, ma non certo impossibile per Marco che del resto in questo 2018 ha già infranto tanti tabu della sua carriera: dallo 0 nella casella delle vittorie in partite nei Masters 1000 (contro Dzhumur a Montecarlo) e nei Majors (proprio al Roland Garros, nella sofferta vittoria contro Copil), passando per il primo torneo conquistato (l’ATP 250 di Budapest) e per la prima vittoria contro un top ten (Goffin a Parigi). Grazie Marco, tutti speriamo che il meglio debba ancora venire.
1 – i quarti di finale raggiunti da Fabio Fognini nei tornei dello Slam. Il ligure vi è riuscito nel 2011 al Roland Garros, quando, approfittando di un buon tabellone (nessuno dei suoi avversari era un top 30) sconfisse Istomin, Robert, Garcia Lopez e Montanes, prima di essere costretto per un infortunio a ritirarsi dal torneo e non giocare la partita contro Djokovic. In sole tre altre occasioni (Australian Open 2014 e 2018, Us Open 2015), nei 39 Major giocati, ha poi superato il terzo turno. Sono numeri mediocri nei tornei che contano maggiormente, per il tennista italiano che negli ultimi 40 anni ha raggiunto complessivamente i migliori risultati nel circuito: sei titoli, nove finali, due semifinali (Monte Carlo 2013 e Miami 2018) e due quarti nei Masters 1000 (Cincinnati 2014 e Roma 2018), più di cento settimane nella top 20, 11 successi contro top 10, 28 vittorie complessivi in Coppa Davis (21 in singolare), la top 10 in doppio, condita dalla vittoria degli Australian Open 2015, in coppia con Simone Bolelli. A 31 anni compiuti, Fabio per il prosieguo della carriera non può rinunciare a togliersi soddisfazioni dove meno ha fatto bene, i tornei dello Slam: nella fase più matura della carriera deve a tutti costi puntare a ottenere qualche piazzamento d’onore nei Major.
2 – i punti di distanza dalla vittoria per Camila Giorgi (sul 6-5 30-30 e servizio nel terzo set) nell’incontro di terzo turno (prima volta in carriera così avanti a Parigi) contro Sloane Stephens, poi finalista del Roland Garros 2018. La maceratese nel corso di quell’incontro è andata anche a servire per il match due volte, durante una partita da lei condotta nel bene e nel male. Un’ulteriore riprova dei passi in avanti fatti da Camila anche sulla terra rossa, superficie sulla quale, prima di quest’anno, non aveva mai raggiunto una semifinale e dove era approdata appena tre volte ai quarti. Nel 2018, invece, dopo aver bene iniziato a Charleston, sconfiggendo Gavrilova, sono arrivati i quarti a Lugano (fermata da Sabalenka) e la prima semi a Praga (semaforo rosso da Buzarnescu). Questi risultati, assieme al buonissimo inizio di stagione australiano -durante il quale aveva impressionato nel Premier di Sydney, sconfiggendo Stephens, Kvitova e Radwanska – fanno ben sperare per la parte di stagione che lei preferisce, quella sull’erba. Sui prati, infatti, ha vinto il suo unico torneo in carriera (‘s-Hertogenbosh, nel 2015), e ha raggiunto il suo primo (l’altro è arrivato a New York nel 2013 quando perse dalla Vinci) ottavo in un Major, più precisamente nel 2o12 a Wimbledon. Nel corso di quel torneo, nel quale da sconosciuta (145 WTA) sconfisse due tenniste tra le prime 20 del ranking come Pennetta e Petrova, irruppe nella top 100 per la prima volta. Ma i Championships in generale la vedono esprimersi bene: altri tre dei complessivi sette terzi turni raggiunti nei tornei dello Slam, sono arrivati a Londra. Il best ranking (30 del mondo a fine luglio 2015) inizia a non apparire così lontano..
3 – i set persi da Dominic Thiem (contro Tsitsipas, il nostro ottimo Berrettini e Nishikori) nel Roland Garros 2018 per raggiungere la prima finale Slam in carriera. Un premio meritato per il rendimento sulla terra battuta dell’austriaco classe 93, negli ultimi tre anni salito alla ribalta come possibile protagonista dei grandi eventi sul rosso. Un battesimo arrivato quando nel febbraio 2016 sconfisse Rafa Nadal nella semifinale dell’ATP 250 di Buenos Aires. Approfittando dei problemi fisici (e non) di Murray e Djokovic nelle ultime due stagioni e della contestuale decisione di Roger Federer di non giocare tornei sulla terra, Thiem, assieme a Sasha Zverev, era arrivato a Parigi con la candidatura di più credibile antagonista di Nadal. E anzi, se la candidatura del tedesco aveva dalla sua la credibilità conferita dall’aver vinto, a differenza di Thiem, due Masters 1000 sul rosso (Roma 2017 e Madrid 2018) vi erano però altri dati contrari a questa tesi. Oltre alla sinora cronica incapacità di esprimersi nei Major da parte di Zverev, pesava infatti la considerazione che il numero 3 al mondo non avesse mai sconfitto il maiorchino le cinque volte che lo ha affrontato, a differenza di Dominic, il quale, pur perdendo ben sei volte, in altre due circostanze era uscito vincitore dal confronto con Nadal. Il quarto di finale che li ha visti contrapposti ha nei fatti sancito l’attuale maggiore competività dell’austriaco sul rosso: Dominic ha vinto nettamente il quinto dei sette confronti diretti (e il terzo dei quattro giocati sul mattone tritato). Complimenti all’attuale miglior tennista sulla terra battuta (campioni straordinari provienenti da Maiorca, esclusi).
6 – gli anni trascorsi dall’ultima semifinale raggiunta sulla terra battuta da Juan Martin Del Potro. Risaliva infatti all’edizione 2012 del Masters 1000 di Madrid, quando il gigante di Tandil fu fermato in due set da Berdych, l’ultima volta che il vincitore dell’ultimo Masters 1000 di Indian Wells, si spingeva così avanti in un torneo su terra rossa. Non che, bloccato dalla sfortuna (leggasi infortuni, operazioni e riabilitazioni varie), Delpo avesse giocato poi tanto sulla terra: prima di Parigi, da quell’edizione di sei anni fa del torneo madrileno, aveva partecipato a solo altri 12 tornei sul rosso. In questo Roland Garros 2018, prima di subire una severa lezione in semifinale da sua Maestà Nadal, erano arrivate indicazioni più che positive per Del Potro, riuscito per la prima volta in carriera a eliminare due top ten – Isner negli ottavi e Cilic nei quarti – nello stesso torneo su terra battuta, vittorie che gli hanno consentito di tornare a nove anni di distanza (nel 2009 fu fermato da Federer) in semifinale al Roland Garros. Tutti segnali molto positivi in vista dei prossimi mesi, quando, a Wimbledon e, soprattutto, nell’estate sul cemento nord americano, può davvero provare a ergersi protagonista assoluto.
10 – le partecipazioni al Roland Garros di Caroline Wozniacki, dalle quali ha ricavato appena diciannove partite vinte e due soli quarti, nel 2010 e nel 2017, edizioni in cui perse da chi si sarebbe poi laureata vincitrice del torneo, rispettivamente Schiavone e Ostapenko. Ma non è in sè lo Slam parigino a portare sfortuna alla numero due del mondo: oil vero problema è il suo effettivo disagio sui terreni in rosso. Sui campi in mattone tritato la danese non vince un torneo dal 2011, quando conquistò in finale sulla Peng il piccolo International di Bruxelles. Inoltre, fa specie osservare come nelle ultime sette stagioni Caroline abbia ottenuto appena una finale in un Premier giocato su questa superficie (a Stoocarda nel 2015). Una notoria scarsa adattabilità della danese alla terra battuta confermata in questi due mesi giocati sul rosso europeo, dove solo a Istanbul e Roma ha raggiunto i quarti di finale. In questo Roland Garros era partita bene, sconfiggendo senza perdere un set Collins (42 WTA), Garcia Perez (219WTA) e Parmentier (74), prima di cedere in due parziali al primo ostacolo di un certo livello, Kasatkina, 14 WTA, avversaria che si è così aggiudicata il terzo dei quattro precedenti con Caroline. Per fortuna di Caroline, la terra rossa per un bel pò sarà per lei un lontano ricordo..
14 – le finali sulla terra rossa giocate da Simona Halep, prima di questo Roland Garros, sei delle quali vinte. La rumena negli ultimi tre anni si era mostrata la giocatrice più continua sulla terra rossa, vincendo per ben due volte (2016 e 2017) il Premier Mandatory di Madrid, arrivando in due circostanze in finale al Premier 5 di Roma (l’anno scorso e quest’anno) e in una al Roland Garros (2017). A questi risultati, vanno poi aggiunte le finali del 2014, sempre a Madrid e al French Open. Un palmares sulla terra rossa ben più ricco di qualunque attuale protagonista del circuito, ad eccezione di tre illustri over 30, le quali, per motivi diversissimi tra loro non sono state competitive con continuità negli ultimi tre anni. Si parla ovviamente di Venus Williams (9 titoli e 5 finali, sebbene l’ultima datata 2010), di Serena -13 successi tra i quali 3 Roland Garros- e Maria Sharapova, 11 titoli includenti anche due French Open. La numero 1 del mondo meritava davvero di sbloccare il suo tabu nei Major partendo da quello tecnicamente a lei più favorevole. Ha sofferto per riuscirci, perdendo per la strada ben tre set: sia all’esordio con Riske, 83 WTA, sia nei quarti contro Kerber, 12 WTA, che in finale con Stephens, ha dovuto rimontare dopo aver perso il primo parziale. Un trionfo comunque ineccepibile, visto che Simona ha mostrato la sua forza anche in semifinale, sconfiggendo nettamente Muguruza, terza giocatrice al mondo. Non va nemmeno dimenticato che la romena, oltre alle vittorie su citate, a Parigi ha anche eliminato con margine di sicurezza giocatrici sempre insidiose come Petkovic e Mertens. L’impressione, nitida, è che per Halep la conta degli Slam vinti non sia finita lo scorso sabato.
15 – i mesi trascorsi dall’ultima volta che Serena Williams aveva vinto nello stesso torneo tre partite di fila: non accadeva in particolare dagli Australian Open 2017, torneo vinto in finale su sua sorella Venus. Quello era il 23°Major conquistato da Serena, che aveva giocato a Melbourne avendo già in grembo sua figlia Alexis Olympia. Tredici mesi di assenza dal circuito per la minore delle Williams erano pesati non poco al momento del rientro nel circuito, avvenuto lo scorso marzo tra Indian Wells (terzo turno, fermata da Venus) e Miami (stop all’esordio contro Osaka). Un ritorno apparso prematuro, che ha consigliato Serena di evitare di giocare tornei e tornare ad allenarsi, per rientrare direttamente al Roland Garros. A Parigi la statunitense è sembrata sulla buona strada per tornare ad essere grande protagonista del circuito. Con sole quattro partite giocate negli ultimi 15 mesi, ha sconfitto una tennista insidiosa come Kristyna Pliskova, 70 WTA e, soprattutto, due tenniste nella top 20 come Barty e Georges, prima di doversi arrendere a un problema al muscolo pettorale destro e ritirarsi prima della sfida con la Sharapova. Probabilmente, lei stessa non avrebbe preteso di più alla vigilia di questo Roland Garros e, in vista di Wimbledon, vinto già sette volte, se scioglierà i dubbi relativi alla sua presenza, non può che essere considerata tra le favorite.
111 – le vittorie di Rafa Nadal nelle 113 partite giocate al meglio dei cinque set sulla terra battuta, corrispondenti a una percentuale di successi superiore a un’incredibile 98%. L’incredibile dominio del maiorchino sulla terra rossa, iniziato nell’ormai lontano 2005, appare, se possibile, maggiormente netto quando si gioca tre set su cinque, la modalità di punteggio con la quale emerge con ancora più probabilità il più forte di giornata tra i due contendenti. In questo tipo di partita, Rafa ha vinto non solo le 77 partite necessarie per vincere gli 11 Roland Garros, ma anche le finali dei tornei che sino a una decina di anni fa adottavano il best of five, nonché svariati singolari di Coppa Davis. Due sole le sconfitte, delle quali la prima ancora oggi è la maggiormente celebre, a causa della sorpresa enorme che provocò. Negli ottavi del Roland Garros 2009, il numero 25 del mondo, Robin Soderling, sconfiggeva in quattro set combattuti Nadal, che così, dopo quattro successi, fermava a 31 partite la sua imbattibilità sulla terra rossa parigina. Uno shock così grande da convincere lo spagnolo a fermarsi e saltare Wimbledon per curare la tendinite al muscolo del quadricipite in entrambe le ginocchia: arrivava una seconda parte di 2009 deludente, nella quale lo spagnolo raggiungeva una sola finale, a Shanghai (persa contro Davydenko). La seconda sconfitta in partite giocate in queste condizioni (tre su cinque sulla terra battuta) arrivava nel 2015, probabilmente l’anno peggiore di Rafa da quando è diventato un campionissimo assoluto del nostro sport: tre anni fa, infatti, l’attuale numero 1 al mondo vinceva solo tre tornei minori (Buenos Aires, Stoccarda e Amburgo) e a Parigi, dopo aver perso un set negli ottavi contro Sock, nei quarti si arrende nettamente a Djokovic, come gia accaduto un paio di mesi prima nella semifinale di Monte Carlo. In una tale dittatura, è giusto anche ricordare i pochissimi quantomeno riusciti a portare Nadal al quinto set: Coria e Federer nelle celebri finali di Roma (rispettivamente 2006 e 2007), Isner (primo turno Roland Garros 2011) e Djokovic, ancora lui, nella splendida semifinale dello Slam parigino del 2013. Una sola certezza: il tempo aiuterà a comprendere ancora meglio quanto di incredibile Nadal ha fatto in questi 13 anni.