da Londra
Il disordinato conto dei dodici anni di Marin Cilic a Palliser Road, fino a domenica mattina, era di due finali perse, una terza vinta per squalifica mentre gli stava sfuggendo pure quella – lo salvò il calcione di Nalbandian al giudice di linea – e una montagna di altri avversari, spesso battuti. Era andata bene, ma non era mai stata perfetta. Ci si era messo di mezzo il mondo per non fargli godere mai fino in fondo il Queen’s, un torneo nel quale gioca sempre bene che ormai lo tratta come se fosse di casa. Dopo tre ore sotto il sole di una Londra infuocata, finalmente, oggi gli è stato concesso di alzare le braccia al cielo nel modo che avrebbe voluto la prima volta.
La giornata perfetta dei croati si completa, dopo il successo di Borna Coric contro Federer nel suo feudo di Halle, con un’impresa forse ugualmente inattesa. Contro Novak Djokovic, arrivato da wild card in quel riquadro di verde tra le case di mattoni rossi, è servito tantissimo. E a un certo punto quel tantissimo non sembrava neppure essere bastato: perso nel game finale un primo set in cui aveva avuto per sei volte – sempre invano – la palla per strappare il servizio all’ex n.1, Cilic si era trovato a fronteggiare match point. Il gran servizio per cancellarlo lo aveva portato al tie-break ma Marin era finito sotto pure lì, per colpa di uno scambio lungo, perso con quell’errore forzato che nell’enciclopedia visiva del tennis equivale a chinare il capo davanti all’avversario più forte.
Quando mai si risale da una situazione del genere? La risposta ora è la più ovvia: stavolta. Il doppio fallo di Djokovic in quel momento ribadisce come il serbo non sia ancora, o non sia più, in grado di soffocare gentilmente gli incontri come una volta. Per evitare l’inevitabile però serviva comunque una prova di carattere superiore al normale. C’è stata: Cilic, invece di sciogliersi come spesso gli è capitato, ha piazzato altri cinque punti consecutivi per portare l’incontro al terzo set. Un match fino a quel momento definito molto bene dalle prestazioni dei giocatori – Cilic perfetto a rete e di dritto ma male col rovescio, Djokovic con il doppio delle prime palle in campo – è diventato soltanto una prova mentale. Di quelle in cui vincere aiuta a vincere, e nell’ultimo anno e mezzo si è visto chi dei due ci è riuscito meglio.
Nei rimbalzi della pallina che dilatavano lo spazio tra un punto e l’altro, tutto parlava di 7-6 al terzo. Tranne un passante di dritto sulla linea, una crepa in un turno di servizio che forse ormai Djokovic dava per scontato e che invece alla fine, con un rovescio affossato in rete, diventava il break decisivo. Poi la testa di serie numero uno ha fatto la testa di serie numero uno, servendo senza paura per le ultime quattro volte. A tornare indietro è stata soltanto la voce di Mohamed Lahyani che diceva fifteen, thirty, forty e alla fine il punteggio giusto per diventare campione del Queen’s Club. “È il segno che ho giocato un grande tennis sotto pressione, che mentalmente ho reagito davvero bene. Ho trovato una strada per vincere. Mi fa sentire forte” ha detto alla fine Cilic, valutando positivamente anche la prova dell’avversario.
Gli scontri diretti ancora dicono 14-2, ma ieri quel due era un uno e qualche mese fa uno zero. Mentre i numeri di Djokovic non crescono più: la settimana prossima, quando a Eastbourne sarà qualcun altro a sollevare la coppa, per l’ex tennista imbattibile sarà passato un anno intero senza titoli. Lo stesso anno compiuto dal match point che Feliciano Lopez annullò a Cilic sullo stesso centrale del Queen’s Club. “Lo scenario era identico a quello di oggi, ma stavolta alla fine quello più felice dei due sono stato io” sono state le prime parole della conferenza stampa con la coppa in mano. La ruota gira. Se nessuno ci mette di mezzo un bastone potrebbe arrivare cinque miglia più a sud, ai cancelli di Church Road, e girare ancora.
Risultato finale:
[1] M. Cilic b. [WC] N. Djokovic 5-7 7-6(4) 6-3