Day Two a Wimbledon, con quattro teste di serie eliminate. Mi verrebbe da dire: con due eliminazioni eccellenti e due meno sorprendenti, ma così farei un torto alla classifica di Caroline Garcia. Andiamo con ordine. Seguendo la gerarchia della di teste di serie, sono uscite: la numero 6 Garcia (contro Belinda Bencic), la 8 Kvitova (da Sasnovich) la 24 Sharapova (da Diatchenko) e la 30 Pavlyuchenkova (da Hsieh).
Quindi in termini di ranking la “caduta” più alta è stata quella di Caroline Garcia. Sono bastati due set a Belinda Bencic per eliminarla (7-6, 6-3). Però non so in quanti credessero davvero in una Garcia protagonista sui prati inglesi. A Wimbledon in carriera l’unica giocatrice Top 40 che Caroline ha sconfitto è stata Sara Errani, che sull’erba ci si trova come sappiamo, cioè male. Sorprende piuttosto che a batterla sia stata Belinda Bencic, una tennista sulla quale da troppo tempo non si poteva più fare conto (oggi è numero 61 del ranking). Proprio a Wimbledon 2016 Bencic si era dovuta ritirare per un problema al polso sinistro. Mi è rimasta impressa l’intervista di allora in cui spiegava ottimisticamente: ”Non è niente di grave, non so ancora cosa sia, dovrò controllarlo. È cominciato un paio di giorni fa”. (“It’s my left wrist. I don’t know what it is yet. It’s nothing too serious. I think I have to get it checked. Started a couple of days ago”).
Sembrava qualcosa di routine, un semplice stop precauzionale. E invece proprio da quel momento sarebbe iniziato un lungo periodo di tribolazioni mediche, con operazione inclusa, fino a precipitare fuori dalle prime 100 e quasi mettere a rischio la carriera.
È presto per dire che tutti i problemi di Belinda siano alle spalle, ma sarebbe suggestivo, e perfino simbolico, se riuscisse a chiudere il cerchio di un periodo nerissimo proprio dove i peggiori guai sono cominciati, cioè a Wimbledon. La strada per tornare in Top 10 (e lei lo è diventata diciottenne, tanto per dare la misura del talento che abbiamo perso nelle ultime stagioni) è ancora lunga, ma speriamo sia un passo nella giusta direzione.
Non per snobbare Garcia, ma le due eliminazioni eccellenti sono quelle di Petra Kvitova e Maria Sharapova. È il palmarès a Londra a fare la differenza: tre titoli a Wimbledon complessivi (Sharapova 2004, Kvitova 2011 e 2014) e anche l’attenzione dei bookmaker come possibili vincitrici. Kvitova era la più accreditata dalle agenzie di scommesse. E invece è bastato un solo match, contro Aliaksandra Sasnovich (numero 50 del ranking) per tornare a casa.
Nelle dichiarazioni post partita Petra è stata estremamente severa con se stessa: “Non stavo bene, ero nervosissima. Probabilmente sono stata io stessa la mia peggiore avversaria”. (“I just didn’t feel well obviously. The nerves were there again”. “I just tried to kind of fight with myself”. “Probably was the biggest opponent which I have”).
Autocritica estrema che da una parte apprezzo, ma dall’altra non credo sia giusto dimenticare i meriti di Sasnovich, che ha giocato davvero un grande match. Anche i numeri dei “rilevatori” di Wimbledon ce lo dicono. Petra ha chiuso il saldo vincenti/errori non forzati a zero (36/36), che non è affatto così tragico. Ma Sasnovich ha fatto meglio con un ottimo +8 (30/22).
Certo la Kvitova nelle giornate di grazia può fare di più, ma credo che il maggiore problema per lei sia stato che Sasnovich ha avuto bisogno di nemmeno un game per adattarsi alla palla pesante di un’avversaria che pure non aveva mai incontrato. Kvitova ha cominciato a concedere palle break dal terzo game e per tutto il primo set ha dovuto lottare per rimanere in partita, con un affanno costante e la sensazione che fosse al limite del precipizio, con la caduta imminente. Come infatti è accaduto.
Il fatto è che Aliaksandra incontrava benissimo i colpi di inizio gioco di Petra, con grande reattività in risposta, a cui faceva seguire una rapidità di copertura del campo ammirevole. E una volta entrata nello scambio giocava colpi profondi, solidi, conteneva benissimo e quando c’era l’occasione contrattaccava.
Forse c’è stato un momento in cui avrebbe potuto indirizzare diversamente il match: quando nel primo set, sul 3-2 a suo favore e Sasnovich al servizio, Petra ha mancato una palla break con uno schiaffo al volo di dritto non complicatissimo, che invece ha mandato in rete. Fosse salita 4-2 magari avrebbe giocato più rilassata. Ma imputare a quell’errore la sconfitta sarebbe del tutto sproporzionato. Certo colpisce il 6-0 finale, ma lì davvero ha fatto la differenza il morale, con Kvitova sempre più sfiduciata e Sasnovich sempre più convinta, in piena trance agonistica.
Al terzo Slam stagionale disputato, Kvitova ha confermato di stare vivendo una specie di rovesciamento rispetto all’inizio della carriera: ha iniziato giocando meglio gli Slam dei tornei WTA, e oggi le capita il contrario. Nel 2018 ha già vinto 5 tornei, ma in compenso è uscita due volte al primo turno nei Major (Australia e Wimbledon) e una volta al terzo (Roland Garros). Un rendimento davvero insufficiente.
Da una delusione all’altra: Maria Sharapova è stata eliminata da Vitalia Diatchenko. Numero 132 del ranking e proveniente dalle qualificazioni. Come ho già scritto nella cronaca, personalmente guardo sempre con molto rispetto e considerazione le qualificate che arrivano a giocarsi il primo turno degli Slam, anche contro avversarie sulla carta più forti. La ragione è che in un Major non è sempre facile trovare il ritmo-partita, e invece le qualificate arrivano con tre match di rodaggio vinti, che aumentano anche il carico di fiducia e autostima.
L’aspetto che mi ha colpito di più del match è che per le tre ore di gioco non si sia vista una sostanziale differenza fra le giocatrici in campo. Sul piano tattico entrambe adottavano scelte simili (grande aggressività sin dalla risposta, ricerca della profondità di palla, pressione costante, pochissime variazioni sulla verticale); in più anche nel grunting il loro suono era praticamente identico. Aggiungiamoci un fisico sopra il metro e 80 per tutte e due e si capisce che in alcuni momenti sembravano una lo specchio dell’altra.
Ma naturalmente c’è un ma: da una parte c’era la numero 132 del mondo, dall’altra Maria Sharapova. Possiamo valutare questa percezione di eguaglianza in modi diversi: come un segno della grande giornata di Diatchenko, oppure come un sintomo di crisi per Sharapova, oppure le due cose insieme.
In conferenza stampa a Sharapova sono state fatte diverse domande legate alla sua condizione fisica, all’età, al confronto tra passato e presente della carriera. Il tempo avanza per tutti, e per gli sportivi ancora più velocemente. Qualche anno fa era la sorpresa diciassettenne che stupiva il mondo vincendo i Championships, oggi spiega che ormai il suo corpo fatica sempre di più a digerire la transizione tra terra battuta ed erba. ( “I think the transition from clay to grass has been a little bit tougher for me as I’ve gotten older”. ) La delusione di Maria appariva profondissima. E probabilmente bruciava particolarmente visto che nel secondo set si era trovata 7-6, 5-3 e servizio, a un passo dal chiudere la partita. “Non ho giocato nel modo giusto nei momenti più importanti”. (“I didn’t play the right way in the crucial moments”).
Ma naturalmente non tutte le favorite hanno perso. Anzi, rispetto al Day One le teste di serie hanno fatto meglio. Non solo hanno vinto in dodici su sedici, ma tutte hanno vinto in due set.
Rivedremo quindi al secondo turno Halep (testa di serie numero 1), Muguruza (3), Kerber (11), Ostapenko (12), Kasatkina (14), Mertens (15), Barty (17), Osaka (18), Konta (22), Gavrilova (26), Suarez Navarro (27), Kontaveit (28). E anche la “ex” numero 32 Cibulkova, che ha perso il posto tra le teste di serie in extremis, a favore di Serena Williams. Cibulkova ha sconfitto in due set Alizè Cornet.
No, no mi sono dimenticato della quarta testa di serie eliminata. Si tratta di Anastasia Pvlyuchenkova, che sta vivendo un 2018 al di sotto della passata stagione, e che è stata eliminata da Su-Wei Hsieh in tre set. 6-1, 4-6, 6-4. Per la verità poteva finire tutto in due set visto che ad un certo punto Hsieh era arrivata a condurre 6-4, 4-1, 15-40 sul servizio Pavlyuchenkova. Poi Anastasia ha iniziato una rimonta che si è rivelata solo parziale: sufficiente per vincere un set, non la partita.
Ho tenuto Hsieh-Pavlyuchenkova alla fine per chiudere con un breve spunto tecnico. Due delle quattro “giustiziere” delle teste di serie, Hsieh e Diatchenko, sono quadrumani. Giocano cioè sia il dritto che il rovescio a due mani. Stessa categoria tecnica, a grandi linee, eppure interpretazione del tennis diversissima: tutta di ritmo e di potenza quella di Diatchenko, di tocco e creativià quella di Hsieh.
E poi a voler approfondire, non utilizzano nemmeno lo stesso tipo di dritto bimane. Tutte e due adottano una impugnatura ancora più anomala rispetto agli standard (Monica Seles, Marion Bartoli) della doppia mano. Impugnatura per entrambe anomala, ma non la stessa. Diatchenko infatti quasi sovrappone le mani, creando attorno al manico uno strano “groviglio” di dita, che avrebbe bisogno di riprese rallentate e ravvicinate per essere compreso al 100%.
Hsieh invece inverte la posizione della mano dominante, come faceva oltre mezzo secolo fa Pancho Segura (QUI l’approfondimento nel dettaglio). Insomma, a dispetto di chi dice che “oggi giocano tutte uguali” il tennis riesce ancora a offrire eccezioni e casi interessanti, per chi ha davvero voglia di prenderli in considerazione.