Con il raggiungimento della prima posizione del ranking mondiale da parte di Simona Halep, il tennis in Romania ha ricevuto una grossa spinta in termini di popolarità. Il movimento, però, è già bello che avviato da anni. Sono sei le tenniste romene presenti al momento in top 100 e se non sorprende particolarmente leggere i nomi di Begu, Cirstea o Niculescu, c’è una ragazza che ha impiegato parecchio tempo prima di riuscire a far parlare di sé. Si tratta della 30enne Mihaela Buzarnescu, fresca di raggiungimento della 20esima posizione dopo la vittoria del primo titolo a San José. Negli ultimi mesi sta vivendo così tante prime volte che dopo il primo successo contro la top 10 Ostapenko in Qatar ha ironizzato: “Forse dovrei farmi un diario dove segnarmi tutto”.
Dal 2017 a questa parte si è qualificata al primo torneo Slam (US Open), ha centrato la prima finale WTA (Hobart), ha partecipato al primo Premier 5 (Doha), ha preso parte al primo Slam da testa di serie (Wimbledon) e ora ha vinto il suo primo titolo. Che fosse sulla rampa pronta a lanciarsi verso il tennis dei piani alti era già evidente a fine 2017 quando, iniziato l’anno fuori dalle prime 500, si è portata a casa sette titoli ITF vincendo la bellezza di 70 partite in stagione. Quanto è successo dopo ha probabilmente trasceso le stesse aspettative di Mihaela. Dal fisico particolarmente esile, Buzarnescu ha un gioco aggressivo – per sua stessa ammissione – e dei suoi colpi mancini pensa questo: “Il mio rovescio e il mio dritto sono più o meno allo stesso livello, certi giorni va meglio uno e certi giorni l’altro“. I movimenti in campo ricordano vagamente Camila Giorgi, ma oltre alla radicale differenza nell’esecuzione dei colpi c’è un abisso sotto il profilo emotivo: Mihaela lascia trapelare molto in campo, e se si considera il suo trascorso è più che comprensibile.
I motivi per i quali Buzarnescu ci ha messo tanto a raggiungere questi risultati sono, come spesso accade agli sportivi, di natura fisica. La sua carriera sembrava avviata nel migliore dei modi a livello junior – in compagnia di Wozniacki e Cibulkova, le uniche a tenersi in contatto con lei anche durante i periodi più bui – dove raggiunge la posizione n.4 e vince gli US Open in doppio nel 2006. Il primo infortunio, alla spalla, arriva all’età di 18 anni quando naviga attorno alla posizione 250 e la costringe a rimanere fuori sei mesi. Tempo necessario per minare le sue certezze e quelle di chi le sta attorno. “Quando sono incappata nei primi infortuni tutti hanno smesso di credere in me, persino la Federazione Romena, e ho perso tutti gli sponsor. Mi erano rimasti solo la mia famiglia e il mio fidanzato che continuava a motivarmi” ha raccontato in un’intervista a SpazioTennis.
Il peggio però deve ancora arrivare. “Ho iniziato di nuovo quando avevo 19 anni e non andava così bene. Mi presentavo da sola ai tornei perché non era una situazione facile, negli ITF devi pagare per tutto. Poi tra il 2011 e il 2012 sono arrivata circa al n.140. Le cose andavano decentemente ma è stato allora che si è presentato l’infortunio al ginocchio. Mi ha fermato per due anni (2013 e 2014, ndr). Ho ricominciato e sono tornata tra le top200… ma poi il dolore al ginocchio è tornato“. A causarle maggiori danni è la ricaduta e i dolori sembrano impossibili da mandare via. “Ho avuto due interventi chirurgici e l’ho fatto per niente. Niente ha funzionato, i dottori non avevano idea di cosa fosse. Sono andata anche dal medico di Nadal, ho visto un dottore in Svizzera, tutti erano così confusi riguardo alla natura dell’infortunio“.
Cresciuta ammirando Sampras – “lo guardavo ogni volta, piangevo e sudavo perché volevo che lui vincesse tutto” – in campo Buzarnescu non è una che nasconde troppo bene le emozioni. Nel match contro Svitolina al Roland Garros, forse il suo successo più eclatante, è sembrata palese la disperazione dipinta sul suo volto durante i cambi campo nel secondo set. In diverse occasioni è apparsa sul punto di scoppiare in lacrime, colta forse dalla foga di voler chiudere la partita al più presto. Le fasi finali di un match sono indubbiamente le più tese e Mihaela anche a Wimbledon, contro Sabalenka, ha ‘sciolto le briglie’ dei sentimenti mostrando però in quell’occasione segni di caparbietà e rabbia che l’hanno condotta alla vittoria. Forse la più grande difficoltà che si deve fronteggiare una volta raggiunto il livello delle migliori tenniste del mondo è quella di convivere con la responsabilità di dover vincere le partite, perché si è favoriti da una classifica, addirittura da una testa di serie.
I match di tennis però, come la vita, non vanno sempre nella direzione prevista e spesso la soggezione nei confronti del futuro può spingerci verso un’altra delle emozioni fondamentali: la paura. Quando Buzarnescu parla del suo periodo da infortunata lo fa calcando i toni sulle sensazioni di disperazione che l’hanno accompagnata per lungo tempo, ma l’intento non è certo quello di impietosire qualcuno; appare come un genuino tentativo di coinvolgere il pubblico. Soprattutto ripensando ai periodi in cui la sua intera carriera da tennista sembrava in discussione, sebbene lei non abbia mai perso la consapevolezza del suo talento. “Dopo le due operazioni avevo ancora dolore e mi dicevo che non sarei mai tornata più a giocare. In due occasioni ho pensato seriamente al ritiro; avevo 24 anni e non ero mai stata oltre la 140esima posizione“.
Come sperimentato con successe da alcune sue colleghe, tra cui Laura Siegemund, in situazioni del genere ci si guarda attorno cercando un appiglio di salvezza e lei l’ha trovato nello studio. “Avevo la sensazione che il mio tennis fosse finito. Ho iniziato a fare un dottorato perché dovevo fare qualcosa, ho pensato che forse avrei potuto ottenere un lavoro in un’Università, o forse come coach. Era sempre tutto molto confuso nella mia mente perché non ero mai sicura di cosa volessi fare. Ho finito poi per studiare all’Università Sportiva a Bucarest e la mia specializzazione ha riguardato il tennis, il mio master lo Sport Management e il mio dottorato è stato in Scienze Motorie. Tutto attorno allo sport“. La tesi del dottorato era più precisamente incentrata sulla “Ottimizzazione nel tennis a livello junior (under12-under14)”; è proprio vero che non tutti i mali vengono per nuocere.
Tuttavia c’è ancora un mistero sul quale neanche i suoi studi sono riusciti a far luce: come sia scomparso il suo dolore al ginocchio. A inizio del 2017 semplicemente Mihaela ci ha riprovato: “Mi sono data un’altra chance giocando dei match a squadre in Olanda ed è stata una cosa stranissima, il dolore non c’era più e ho continuato a giocare meglio e più rilassata“.
Il trend negativo si è poi definitivamente concluso durante i tornei ITF, anche se persino in quel periodo Mihaela non aveva maturato la convinzione di poter fare la tennista ‘a tempo pieno’: “Avevo l’abitudine di dire ai miei amici ‘Oh mio dio, ho 29 anni, sono la più vecchia in questo torneo e sto giocando contro delle ragazze di 16, 17 anni!’ e loro mi rispondevano ‘Beh, guarda Serena!’. Adesso non ci penso più, non mi importa se sono più vecchia delle altre giocatrici. Che il mio momento sia proprio questo?“. Il campo sembra rispondere di sì, e anche in modo piuttosto convinto. Esisteva forse un posto migliore dei campi universitari di San José, per una dottoressa, per sollevare al cielo il primo trofeo?
Le altre ‘dottoresse’ del tennis: Danielle Collins e Laura Siegemund