TENNIS – I dati dell’ITF segnano un netto aumento dei controlli ematici in preparazione dell’arrivo del passaporto biologico. Ma si tratta di dati parziali che non tengono conto dei controlli a livello nazionale.
Scorrendo i dati sull’antidoping pubblicati dall’ITF due giorni fa saltano all’occhio alcune incongruenze rispetto alle scelte fatte per controllare i tennisti nell’arco del 2013. Tra coloro che sono stati più controllati (quelli che hanno ricevuto almeno sette controlli sia nelle competizioni che fuori) ci sono nomi di spicco come David Ferrer, Stanislas Wawrinka, Li Na e Viktoria Azarenka ma anche tennisti che non hanno avuto una stagione particolarmente rilevante come Mona Barthel o Jie Zheng. Due tenniste come Simona Halep e Jelena Jankovic, invece, hanno subìto meno controlli rispetto alla media delle loro colleghe. Piuttosto strano se pensiamo che la romena ha vinto sei tornei (seconda nella classifica dietro a Serena Williams) e che la serba ha ritrovato la solidità di un tempo tornando in top-10 e qualificandosi per il Master. Juan Martìn del Potro, quattro titoli e stagione conclusa tra i primi cinque, è stato controllato 4-6 volte durante le gare e mai al di fuori.
Sono quattro i tennisti spagnoli che hanno subìto più controlli: David Ferrer, Nicolas Almagro, Feliciano Lopez e Carla Suarez Navarro. La Spagna è la nazione più rappresentata, dietro ci siamo noi (Errani, Vinci, Seppi) e la Cina (Li, Peng, Zheng). Non è una sorpresa questo primato della Spagna ed è un dato che segue quelli degli anni precedenti. Dopo il caso Fuentes e il caso del Moral, il medico entrato nello staff della US Postal nel 1999 e che dal 2003 ha lavorato per l’Instituto de Medicina del Deporte a Valencia, gli atleti spagnoli sono sempre tra quelli tenuti più sotto controllo, almeno in ambito internazionale.
Va annotato che i dati dell’ITF non riguardano i prelievi di urine e sangue eseguiti dalle federazioni nazionali e la mancanza di tali dati inficia giocoforza una riflessione più approfondita del tema. Simon Cambers ne ha scritto nel suo articolo per The Tennis Space e su twitter ne ha discusso con Andy Murray. Lo scozzese ha chiesto al giornalista se avesse idea di quanti sono i controlli effettuati fuori dalle competizioni in ambito nazionale (sottintendendo che siano molti) ma Cambers ha sottolineato come questa mancanza di informazioni sia dannosa.
È poco comprensibile perché le federazioni decidano di non pubblicare questi dati. L’U.S. Anti-Doping Agcency (USADA), l’agenzia anti-doping statunitense, pubblica da anni i suoi dati e questo aiuta certamente a dare uno sguardo più ampio. Nel 2013 l’USADA ha effettuato 61 controlli su 10 tennisti. Il più controllato è stato Wayne Odesnik (quattordici controlli nelle competizioni e fuori), squalificato per due anni nel 2010 perché trovato in possesso di otto fiale contenenti un ormone della crescita. Seguono John Isner e Venus Williams (otto controlli). Serena, che ha vinto sette tornei nel 2013 ed ha chiuso al numero uno WTA è stata controllata cinque volte mentre Sloane Stephens, entrata stabilmente in top-20, è l’atleta che è stata controllata meno dal suo Paese: appena una volta. L’ITF, in compenso, ha controllato pochissimo Odesnik (solo 1-3 controlli fuori dalle competizioni) e molto Stephens (sette o più controlli nelle competizioni e 4-6 al di fuori): un’ulteriore conferma che i dati forniti dalla Federazione Internazionale non possono essere considerati sufficienti per fornire una buona panoramica dell’antidoping nel tennis.
I dati di quest’anno segnano comunque un aumento rispetto allo scorso anno. I controlli delle urine nelle competizioni sono stati complessivamente 1795 (erano stati 1727 l’anno scorso) mentre quelli del sangue sono quasi triplicati: da 124 siamo passati a 364 controlli. Per quanto riguarda i controlli fuori dalle competizioni c’è una diminuzione (quasi della metà) del controllo sulle urine (da 271 a 144) mentre quelli ematici sono aumentati esponenzialmente: da appena 63 campioni a 449. Complessivamente i controlli sono aumentati del 26%: nel 2012 furono 2185 (1235 per gli uomini, 950 donne), quest’anno sono stati 2752 (1545 uomini, 1207 donne).
Ma sono numeri che impallidiscono al confronto con quelli del ciclismo. Nel 2012 l’UCI, l’Unione Ciclistica Internazionale, ha svolto 13.144 controlli, di cui 5699 fuori dalle competizioni. In pratica, in media un ciclista è stato controllato almeno tre volte di più di un tennista. Inoltre va notato che i controlli fuori dalle competizioni, che sono più efficaci per scovare chi bara, sono ancora troppo sbilanciati: nel ciclismo sono poco meno della metà, nel tennis rappresentano il 22%.
Al di là di questi dati e dalla mancanza di dati nazionali, fa parecchia impressione vedere la lista dei tennisti che non sono stati mai testati fuori dalle competizioni dall’ITF: oltre a del Potro, il nome certamente più importante, ci sono anche Bouchard, Berlocq, Gulbis, Hewitt, Monaco, Tipsarevic, Robredo, Robson.
Jelena Jankovic, che ha ricevuto meno controlli rispetto alle sue colleghe, ha provato a dare una risposta a certi dati contradditori: “Forse la mia decisione di fare l’off-season a Dubai ha agito come deterrente, sarebbe stato troppo costoso mandare appositamente una persona. Penso sia fatto un po’ casualmente: un anno puoi avere venticinque controlli e l’anno dopo cinque”.
È vero che i tennisti che hanno avuto problemi in passato con l’anti-doping (per esempio Gasquet) o che sono tenuti sotto controllo per le loro frequentazioni passate (Ferrer e Errani per il caso del Moral), ma è altrettanto vero che Odesnik è stato quasi ignorato dall’ITF. Secondo Stuart Miller, capo del programma anti-doping dell’ITF, le discrepanze sono piuttosto normali: “Ci saranno sempre. È così che funziona la distribuzione. Ci sono molti giocatori con statistiche medie, altri con numeri molto altri e altri con numeri relativamente bassi. Ci sono anche casi, specialmente fuori dalle competizioni, in cui testiamo i giocatori ma le missioni non vanno a buon fine. Questo dato andrebbe aggiunto alla lista”. Secondo Miller, infine, non è possibile analizzare nel dettaglio i prelievi per ogni singolo giocatore perché si tratterebbe di un livello di informazione non permesso dalle regole della World Anti-Doping Agency (WADA).
L’aumento sostanziale dei controlli fuori dalle competizioni conferma comunque la direzione intrapresa dall’ITF e la decisione di adottare finalmente il passaporto biologico, che sarà introdotto a settembre. Nel 2012 i test ematici hanno costituito il solo 9% dei test antidoping mentre nel 2013 sono diventati quasi il 30%.
Il passaporto biologico è una tecnica che consiste nel tracciamento nel tempo dei parametri ematici di uno sportivo. Si ottiene così per ogni atleta un profilo di riferimento che può venire registrato, aggiornato e impiegato allo scopo d’individuare un potenziale imbroglio anche qualora l’atleta non sia risultato positivo al test previsto per una sostanza proibita. Se i parametri ematici rivelano andamenti anomali e ingiustificati rispetto a determinati range stabiliti dalla WADA, l’atleta può essere passibile di squalifica anche se ha superato i test antidoping specifici delle varie sostanze in esame. In altre parole, la tecnica del passaporto biologico, anziché individuare l’assunzione diretta di una sostanza dopante, rileva gli effetti anomali che il farmaco non consentito produce sull’organismo, palesandone in tal modo l’assunzione nel breve, medio e lungo termine.
La conversazione tra Andy Murray e Simon Cambers su twitter rivela però un dettaglio significativo e che riflette le problematiche analizzate più sopra: i tennisti avranno infatti due passaporti biologici, uno per l’ITF e uno per la propria federazione. Questo significa che presumibilmente le varie organizzazioni nazionali anti-doping seguiranno le stesse scelte attuate in precedenza e che la totale trasparenza resterà ancora una chimera.
Il passaporto biologico è un grande passo in avanti per la lotta al doping nel nostro sport ma occorre che le azioni delle organizzazioni nazionali vengano concertate con quelle dell’ITF. Trasparenza e armonia: questi i mantra dell’anti-doping negli anni a venire.