Ormai quasi smaltite le polemiche dell’ultimo Slam di stagione, che ha visto imporsi tra le donne Naomi Osaka a scapito di un’iraconda Serena Williams, la giapponese ha ripreso a correre a Tokyo salvo fermarsi in finale, dopo dieci vittorie consecutive, al cospetto di Karolina Pliskova. Nella popolosa capitale del Giappone si è disputato il Toray Pan Pacific Open, tradizionale manifestazione di categoria Premier la cui prima edizione risale al 1976. I campi da gioco sono quelli veloci dell’Arena Tachikawa Tachihi, impianto di circa tremila posti a sedere situato nella città di Tachikawa conurbata in Tokyo che sostituisce per una stagione la sede usuale del torneo sottoposta a lavori di rinnovamento. Campionessa uscente e prima favorita del seeding 2018 era la danese Caroline Wozniacki, prematuramente sconfitta negli ottavi di finale dalla nostra Camila Giorgi.
A contendersi il titolo sono state, come detto, Naomi Osaka (papà di Haiti e mamma giapponese) e la ceca Karolina Pliskova, sei anni di più all’anagrafe e una sola posizione di ritardo nel ranking mondiale prima di questa partita. Non si è trattato di un incontro inedito. Il bilancio consuntivo tra le due rivali recitava infatti, prima di oggi, un successo per parte con la nipponica vittoriosa nell’ultima circostanza, sul cemento di Indian Wells a inizio anno. Al termine di un match gradevole ma con le emozioni ridotte ai minimi termini, a trionfare con un periodico 6-4 – sovvertendo le indicazioni dei bookmaker – è stata dunque la ventiseienne Karolina Pliskova, che mette in bacheca il secondo titolo di questo 2018 dopo quello di Stoccarda. Per quella che sembrerebbe a primo impatto una coincidenza, entrambi sono arrivati con Radek Plisek in panchina, suo padre.
LA CRONACA – Si parte con Osaka al servizio. Per quattro game interlocutori c’è poco da segnalare e il leitmotiv è che per la giocatrice alla risposta non c’è margine di manovra. Nel corso del quinto gioco, però, è Osaka a concedere qualcosa di troppo e due rovesci in rapida successione giocati con scarsa precisione – in rete il primo e largo il secondo – le costano il break, immediatamente confermato da Pliskova che firma così il primo allungo di giornata. Il match, scarno negli scambi come facilmente prevedibile alla vigilia stante le peculiarità delle contendenti, si mantiene piacevole e le soluzioni vincenti, spesso di pregevole fattura, fanno passare in secondo piano qualche inevitabile errore di esecuzione. Avanti per 5 giochi a 4 e con il servizio a disposizione, per la ceca sono due i set point: il secondo è quello buono perché, ancora una volta, è il rovescio a tradire una Osaka che paga a caro prezzo il piccolo passaggio a vuoto di inizio parziale.
Anche il secondo set, dopo un coaching richiesto da Pliskova, si apre con l’ultima vincitrice degli US Open a fare da lepre. Come nel precedente, è la giocatrice alla battuta a dettare legge col risultato che i giochi scorrono via rapidi e, tutto sommato, con pochi spunti di interesse. La sensazione, tuttavia, è che sia la giocatrice di Louny ad avere nelle corde più margini per imprimere una svolta alla contesa. Nel corso del nono game, a conferma di ciò, Pliskova si procura tre palle break e, alla prima, torna a strappare la battuta all’avversaria, assicurandosi così la possibilità di servire per il trofeo dopo il cambio di campo. Un fulmine a ciel sereno per la giapponese il cui linguaggio del corpo fa trasparire ora un certo scoramento e partita in ghiaccio. L’esperta tennista ceca, ormai in vista dell’ultimo chilometro, non trema e per lei in un amen è tempo di alzare le braccia al cielo: Tokyo è meritatamente sua.
Si interrompe così la lunga cavalcata, iniziata a New York e proseguita senza intoppi fino a oggi, di una Naomi Osaka giunta forse un po’ scarica all’appuntamento odierno. Per lei, seconda finale persa qui a Tokyo dopo quella del 2016 ma avrà senz’altro modo e tempo per colmare la lacuna. Solida e senza sbavature, invece, la prova fornita da una ritrovata Karolina Pliskova a cui va il merito di aver saputo disinnescare le armi di un’avversaria scesa in campo con alle spalle tutta la fiducia del mondo. “Quest’arena è fantastica, è stata una grande settimana” ha dichiarato la giocatrice ceca, che mette in bacheca l’undicesimo trofeo e contro-sorpassa proprio Osaka in classifica, tornando al settimo posto.
Il titolo giapponese non sarà forse sufficiente a compensare le delusioni di questa stagione, che pur due volte ai quarti Slam – Melbourne e New York – l’ha vista incapace dell’acuto che ancora ci si attende da lei, ma può restituirle serenità. Anche alla luce dei diversi cambiamenti di questi mesi: Karolina ha iniziato la stagione con un nuovo coach ‘scippato’ alla connazionale Strycova, Tomas Krupa, ma dopo soli otto mesi le loro strade si sono divise Ad agosto, un mese dopo essersi sposata, Karolina ha quindi ingaggiato Rennae Stubbs (con cui aveva già lavorato durante le ultime Finals di Singapore) sebbene per gli US Open abbia scelto di avvalersi anche delle consulenze di Conchita Martinez. Nelle due settimane migliori della sua stagione, però, sulla sua panchina sedeva soltanto suo padre: è successo a Stoccarda e ancora questa settimana a Tokyo. Se è vero che nel tennis i successi sono diretta conseguenza dei momenti dei serenità, la tennista ceca sembra aver trovato il ‘fattore’ delle sue vittorie. Continua a cambiare allenatore, ma il porto sicuro rimane… il sangue del suo sangue.