Avrei voluto aprire l’articolo sulle Finals parlando della vincitrice Elina Svitolina, della finalista Sloane Stephens e delle altre migliori giocatrici del mondo che hanno dato vita all’ultimo Masters. Invece per analizzare quanto accaduto a Singapore 2018 sono obbligato a partire da un altro aspetto del torneo, vale a dire dalle condizioni di gioco: a mio avviso inadeguate per un evento così importante. In pratica le otto protagoniste si sono dovute misurare, prima che una contro l’altra, contro condizioni anomale, talmente anomale da costringerle a modificare il loro modo di impostare i match.
Sappiamo che a Singapore la combinazione palle+superficie è sempre stata lenta; però mai quanto in questa edizione, tanto che la superficie predisposta si potrebbe ribattezzare “Vinavil Court”. Si affrontano durante la stagione WTA superfici così lente? Nei tornei principali, penso di no. In sostanza alle Finals 2018 non si è trattato banalmente di favorire un po’ le difensiviste a scapito delle attaccanti, con l’obiettivo di allungare la durata media dello scambio. No, le condizioni si sono rivelate così estreme da alterare l’abituale costruzione dello scambio. Provo a spiegarlo più in dettaglio.
1. Superati i colpi di apertura, una volta entrate nello scambio, era difficilissimo ottenere un vincente “secco”. Per chiudere il punto non era sufficiente aumentare improvvisamente la spinta del colpo e piazzare bene la palla; occorreva proprio spazzolare le righe, o sparare a tutto braccio prendendo rischi smisurati.
2. Nemmeno la più basilare soluzione del tennis offensivo, cioè la profondità di palla, risultava efficace come al solito. Un po’ per la bravura delle giocatrici (che essendo le migliori del mondo soffrono relativamente la palla profonda) ma molto perché l’assorbimento della energia del rimbalzo toglieva gran parte della “cattiveria” alla parabola.
3. Rendeva poco anche ricorrere all’anticipo, aggredendo le parabole ancora in fase ascendente. Il campo restituiva poca energia alla palla e quindi per farla viaggiare non bastavano capacità tecnica e timing: occorreva comunque un surplus di potenza molto difficile da aggiungere nell’esecuzione di controbalzo.
4. Forse l’aspetto più paradossale riguarda però il lungolinea. Nel tennis normale chi sa eseguire questo colpo viene premiato in due modi: o con il punto diretto, o con una apertura di campo che destabilizza l’avversaria. Invece nel tennis versione-Singapore l’efficacia del lungolinea era depotenziata: o si colpiva a tutta, oppure la palla risultava troppo tenera, e di conseguenza ci si esponeva all‘incrociato di replica; un incrociato che finiva per essere più insidioso del lungolinea stesso. E così ricorrere a un colpo più difficile sul piano tecnico poteva risultare addirittura svantaggioso.
Dopo i primi match le giocatrici se ne sono rese conto, e hanno dovuto adeguare la costruzione dello scambio; e infatti il lungolinea è stato utilizzato raramente in chiave aggressiva, ma più spesso eseguito con obiettivi più modesti: per spostare l’avversaria o per obbligarla a cambiare l’esecuzione da dritto a rovescio o viceversa.
5. Se il lungolinea era poco producente, al contrario era più efficace del solito l’incrociato stretto, dato che la palla tendeva a “morire” dall’altra parte della rete diventando molto difficile da gestire. Nel tennis versione-Singapore la più frequente variazione aggressiva dello scambio non è stata quindi tra incrociato e lungolinea, ma tra diagonale incrociata normale e la stessa diagonale incrociata stretta. Di fatto riducendo la creatività geometrica delle protagoniste, bloccate in logoranti palleggi verso lo stesso angolo.
6. Era molto difficile anche ottenere vincenti con il contropiede, visto che ben presto le giocatrici si sono rese conto che con un campo così lento non era necessario anticipare le intenzioni dell’avversaria; tanto anche prendendosi più tempo, la palla era quasi sempre raggiungibile. Ergo: un’altra opzione utile per chiudere il punto venuta a mancare.
Senza entrare negli effetti tattici secondari legati alla concatenazione di questi aspetti, già i sei elementi presi singolarmente spiegano perché le partite andate in scena la scorsa settimana sono state qualcosa di un po’ diverso rispetto al solito tennis. Probabilmente in WTA hanno pensato che un campo lento avrebbe favorito punti più lunghi, partite più combattute e intense, e per questo più spettacolari. Ma hanno esagerato: queste condizioni hanno provocato una estremizzazione del gioco; quando non incidevano i colpi di apertura (servizio/risposta), gli scambi si allungavano a dismisura, infarciti di colpi interlocutori utilizzati nella speranza che l’avversaria sbagliasse per prima.
Ma forse la cosa più grave è questa: alla prova dei fatti a Singapore 2018 funzionava un solo tipo di tennis, visto che tutti gli altri approcci tecnico-tattici erano svantaggiati. Quindi addio al contrasto di stili e alla varietà di soluzioni, pena la sconfitta. E l’impoverimento ha penalizzato tutte, finaliste incluse. Ha penalizzato anche le giocatrici molto forti in difesa; per esempio Wozniacki e Kerber hanno viste spuntate le loro migliori risorse di contrattacco, vale a dire il rovescio lungolinea e il dritto lungolinea. Impoveriti gli aspetti tecnici e tattici, è emerso un tennis “lacrime, sudore e sangue” in cui contavano soprattutto la tigna mentale e la resistenza fisica.
L’aver reso più difficile ottenere vincenti ha anche avuto una inevitabile conseguenza: l’alto numero di errori non forzati. E infatti quasi tutti i match si sono chiusi con saldi (differenza tra vincenti e gratuiti) ampiamente negativi. Questo significa che chi voleva ottenere vincenti poteva sì raggiungere il proprio scopo, ma a prezzo di sbagliare ancora di più. La giocatrice che ha messo a segno più vincenti in una sola partita è stata Kiki Bertens: 41 (di cui 7 ace) in semifinale contro Svitolina. È davvero un numero alto, che però ha un pesante rovescio della medaglia: 63 errori non forzati. Mentre Svitolina si è aggiudicata l’incontro con appena 12 vincenti (di cui 3 ace) a fronte di 36 errori non forzati.
Del resto le due finaliste, Svitolina e Stephens, sono arrivate all’ultimo match imbattute e, a parte un caso (Stephens contro Kerber), sempre mettendo a segno meno vincenti dell’avversaria. E di nuovo Svitolina ha conquistato la finale mettendo a segno meno vincenti di Stephens. In sostanza: con la superficie che WTA aveva predisposto, era quasi inevitabile che chi prendeva più rischi perdesse il match.
E non abbiamo avuto soltanto molti errori non forzati generici. Sono aumentati anche gli errori clamorosi sui “calci di rigore”: cioè palle da indirizzare a campo aperto, sbagliate in modo incredibile. Conseguenza del fatto che le giocatrici avevano la percezione che per ottenere il vincente fosse necessario metterci comunque qualcosa di più rispetto al solito. Risultato: eccesso di potenza (il classico fuori giri), o esecuzioni strappate, senza la abituale fluidità.
Ecco perché prendersela con le protagoniste per la qualità di gioco espressa a mio avviso significa non avere interpretato il contesto in cui si sono ritrovate, che ne ha fatto le vittime, non le artefici dei problemi. Anzi, malgrado tutto hanno comunque offerto sprazzi del loro talento, ovviando in parte a una situazione poco sensata.
In sostanza alle Finals 2018 è andato in scena uno spettacolo illogico per il tennis femminile, con aspetti autolesionisti. Ora per fortuna ci si sposterà a Shenzhen; e lo dico con la speranza che in WTA ragionino su quanto offerto la scorsa settimana, e vengano definitivamente abbandonate le specifiche del campo di Singapore.
a pagina 2: Le eliminate nel girone: Kvitova, Osaka, Kerber, Wozniacki