Le puntate precedenti di Grand Slam: Australian Open e Roland Garros
Wimbledon, Greater London – Lunedì 27 giugno
Una folla di decine di migliaia di tifosi, giornalisti, organizzatori, volontari riempiva l’All England Club per il giorno tennisticamente più bello dell’anno: il lunedì degli ottavi. Da tempo tradizionalmente sedici incontri di altissimo spessore tecnico, con in campo i favoriti in testa a testa intriganti, dentro o fuori. Otto incontri maschili e otto femminili. Dopo l’incredibile stagione sulla terra la sorpresa Siles era salito alla posizione numero sei del ranking, ma il celebre “algoritmo verde” lo relegava alla nona testa di serie. Il suo tennis sorprendentemente si era fatto valere anche sull’erba fino a quel momento. Se aveva vinto il Roland Garros mostrando una condizione fisica e mentale superiore, sull’erba pareva aver compiuto enormi progressi tecnici. Non tanto per la gestione di scivolata e passi su questa superficie ostile, quella è un dono innato, ma sul timing e la pulizia dei colpi.
Quei rimbalzi inesatti che tanti problemi creavano agli altri, e che con il passare dei giorni e il logoramento del manto sarebbero divenuti sempre più frequenti, per lui erano quisquilie. Leggeva la palla come nessun’altro, come se arrivasse regolare esattamente come su terra o cemento. Non steccava mai, mai un colpo a metà campo. La precisione di un laser. E a rete sorprendeva ancora di più con riflessi felini, passarlo era quasi un’impresa. In un mese il suo tennis da terra era divenuto un ottimo gioco da erba, e questo era un risultato ancora più sorprendente delle sue recenti vittorie. Perché se qualche maligno vociferava che sotto la sua performance sulla terra rossa potesse nascondersi l’ombra del doping, qui era chiaro davanti a tutti che Siles era un giocatore trasformato anche sul piano tecnico. E non c’è doping che possa aiutarti in questo.
Al bancone di uno dei tanti chioschi del parco, Vassily Demtchenko piluccava le sue strawberries affondandole con le dita nella cream sorseggiando Pimm’s, un vero gentleman ossequioso delle tradizioni del Club di Church Road. Era rimasto per la seconda settimana nonostante il suo pupillo Claude Groen fosse già eliminato. Ma con un risultato di prestigio: un terzo turno. Figlio di una maratona vinta al quinto set nel primo incontro e un fortunato walk over nel secondo. Poi Domratchev lo aveva massacrato nel terzo 6-3 6-3 6-2, ma poteva tornare a casa soddisfatto. Vassily in ogni caso era lì ad assistere al torneo Junior che cominciava proprio quel lunedì. I recenti risvolti lo avevano convinto a provare ad allenare ancora un paio di stagioni, ora che Sandor Kiraly era una celebrità e i medici avevano ufficialmente dato il benestare al suo rientro dopo mesi e mesi di controlli.
Sandor era sotto contratto per lui fino alla fine della stagione successiva e con qualche buon risultato a conferma di quanto visto in Australia, il nome di Demtchenko sarebbe tornato in auge. Certo non si illudeva che Kiraly sarebbe rimasto con lui. Ma sperava che qualche risultato al rientro, magari a New York, potesse dargli morale. Se lo meritava, dopo l’episodio di Melbourne anche la sua personalità era cambiata. Il giovane piacente era diventato cupo, rattristato da questa spada di Damocle che la disfunzione cardiaca rappresentava. Le analisi avevano mostrato come il cuore non fosse minimamente danneggiato e con le dovute attenzioni e farmaci anticoagulanti l’ungherese sarebbe tornato non solo a una vita normale, ma persino in campo, in totale sicurezza.
Smash Headquarter, Londra – Mercoledì 6 aprile
“E questo è quanto, signor Siles – disse Mister Madison spalancando una porta – Non c’è bisogno di sottolineare che tutto ciò che ha visto e di cui abbiamo discusso oggi rimarrà sotto stretta confidenza”. Il tennista boliviano era tanto affascinato quanto dubbioso da ciò che aveva visto e sentito nell’ultima ora. Andava oltre le sue capacità di comprensione e la sua conoscenza in materia. L’offerta della Smash era allettante, ma certamente illegale. “Quindi questo secondo voi non sarebbe doping?” “Diciamo, signor Siles, che secondo la definizione posso essere d’accordo con lei: se intendiamo per doping qualunque sostanza o procedimento atto a migliorare le performance di un atleta, questo è indubbiamente doping. Ma per la legge sportiva non lo è: non è mai stato discusso un capitolo riguardate le nanotecnologie invasive”. “E perché mai?” “Perché nessuno sa che esistono. Alcuni organi all’interno della WADA hanno cominciato a ipotizzare studi e sanzioni per un remoto futuro in cui impiantare microrobot nel corpo umano potrà essere possibile… Senza sapere che lo è già”. “Una tecnologia del genere applicata in campo medico potrebbe salvare milioni di vite…”.
“Miliardi. Potrebbe salvare ogni vita. E questo sarà il futuro prossimo. Ma di ogni nuova tecnologia vanno studiati gli effetti su un corpo umano. Su vari corpi umani. Su quelli deficitari, su quelli normali, su quelli atletici. Paragonare tempi ed efficacia di risposta e così via”. “Quindi io sarei la vostra cavia?” “In cambio di gloria e onore tennistico”. “Come fate a essere certi che questi nanorobot possano davvero trasformarmi in un tennista superiore?” “Ricostruendo in pochi secondi microfibre muscolari logorate dall’acido lattico. Riattivando sinapsi mandate in standby dal cervello per il sovraccarico e rendendolo più lucido, aumentando i suoi riflessi e la sua capacità di percezione della realtà rispetto a un umano standard. Oliando le sue articolazioni con atomi di potassio, costruendo connettori artificiali paralleli al nervo ottico per raddoppiare la risposta neuronale nella coordinazione mano-occhio. Nulla, non c’è nulla che questi nanorobot non possano migliorare. Dopodichè, si dissolveranno biologicamente all’interno del corpo in sole cinque ore”. “Deduco che sia pericoloso, non avendolo ancora testato su un campione ampio di persone”. “I rischi sono minimi. Lei non è la prima persona, né il primo tennista, su cui abbiamo fatto dei test. Nel precedente caso c’è stato un intoppo, lo riconosciamo. Ma è difficile indagare se sia stato dovuto alla terapia o a un agente esterno. Forse un errore che abbiamo fatto è stato di correre un po’ troppo. Se lei accetterà, andremo per gradi”. “Si trattava di Kiraly, vero?”
Wimbledon, Greater London – Giovedì 30 giugno
“Tre, due, uno… Live” compitò senza emettere suono, come un pesce, il capo produzione fissando Gwen Ridle. La tennista irlandese, ex top ten ma senza trofei di gran peso, aveva ottenuto maggior successo con la sua seconda carriera, quella da giornalista sportiva. Affiancata al grande campione del passato Sebastien Coudre era divenuta la metà di una coppia indissolubile e i loro appuntamenti mattutini e serali, a precedere e seguire gli incontri del giorno, erano un appuntamento imperdibile per tutti gli appassionati. La Ridle guardò in macchina sfoggiando il suo sorriso perfetto e diede il via alla trasmissione. “Benvenuti cari ascoltatori ad un altro episodio di Gwen, Seb and Match. Abbiamo ottime notizie perché, come potete vedere dietro di noi, il cielo non è così grigio come le previsioni indicavano e giove pluvio potrebbe risparmiarci per questa giornata. Una giornata di grande interesse, dico bene Seb?” “Certamente, ci attendono due semifinali femminili di altissima qualità e fra mezz’ora se il meteo regge ne vedremo delle belle”.
“Come ne abbiamo viste delle belle ieri, con dei quarti maschili di alto spessore. Due partite al quinto set e due al quarto. E il numero uno e campione uscente Foley che ha fatto le valigie”. “Indubbiamente quello fra Domratchev e Foley è stato il match del giorno. E domani il biellorusso è chiamato a un test ancora più duro se possibile, perché se la vedrà con Erwin Siles”. “Dici bene Seb. Il Boliviano ha perso il primo set del torneo ieri, al tiebreak. Ma deve ancora perdere il servizio e ora tutti si chiedono: può Erwin Siles fare la doppietta Parigi-Londra?” “Sarebbe incredibile Gwen, ma ancora più incredibili sono i suoi progressi su erba e a questo punto dopo l’uscita di scena di Foley e Maslevic direi che i favoriti sono Siles e Friedrich”. “Seb, se sei d’accordo possiamo parlarne con il nostro ospite odierno; possiamo dire che ogni ospite qui a Gwen, Seb and Match è benvenuto, ma oggi in modo particolare. Perché è un gradito ritorno nell’ambiente tennistico, in attesa che torni a calcare i campi. Diamo tutti un caloroso benvenuto a Sandor Kiraly!”
Il tennista ungherese entrò nel campo della camera dalla quinta parete, mentre un anfiteatro di folla lo applaudiva da ogni lato. Dopo essere stato dimesso dall’ospedale Kiraly aveva concesso qualche intervista qua e là per soddisfare la curiosità dei fan e della stampa. Ma nei mesi successivi si era ritirato sempre di più in isolamento. I giornali si erano progressivamente dimenticati di lui e un po’ di privacy per Sandor era importante: lo stress e l’attesa per i risultati definitivi dopo mesi di analisi e controlli, non sapendo se mai sarebbe potuto tornare a giocare, lo avevano logorato dentro e anche fuori. Era invecchiato di un lustro e ora pareva uno di quei 25enni che si portano gli anni male. L’incidente lo aveva segnato anche psicologicamente. Sicuramente Kiraly era più maturo ora, aveva visto la morte a un passo e in fondo era lui il primo a non voler tornare a giocare. E si chiedeva ancora chi glielo aveva fatto fare di accettare quella proposta della Smash e contaminare il suo corpo con pillole, iniezioni e beveroni che in meno di un mese lo avevano portato ad avere il cuore di un settantenne.
La Smash lo aveva ricontattato per fornire spiegazioni “esaurienti e convincenti” sulla situazione ma Sandor aveva rifiutato ogni colloquio. Non voleva mai più vedere in faccia Mister Madison né alcuno del suo team di dottori pazzi. L’unico accordo fatto tramite terzi era che sarebbe rimasto sotto contratto con la Smash per tutta la stagione, per non alimentare ulteriori sospetti del mondo tennistico con una rottura dal tempismo inaccurato. Agli occhi altrui doveva sembrare che tutto fosse normale e che lo sponsor continuasse a prendersi cura del suo pupillo. A dicembre poi si sarebbero separati senza troppi clamori.
“Grazie mille per avermi invitato”. “Grazie a te Sandor per onorarci della tua presenza. È la prima volta che ti rivediamo nell’ambiente tennistico e tutti, davvero tutti, siamo così contenti”. “Bene Gwen, prima o poi dovevo tornare a occuparmi di questo sport e quale migliore occasione di Wimbledon”. “Hai già incontrato qualche collega?” “Sì certo, in tanti mi hanno fatto le congratulazioni e spero di incontrarli presto sul campo”. “Come procede la riabilitazione?” “Mi sto già allenando, sempre sotto la guida di Vassily Demtchenko. Tutto procede bene e sto riacquistando la forma. Con Vassily abbiamo deciso di puntare al rientro per gli US Open”. “È una grande notizia Sandor. Possiamo chiederti al volo, in chiusura, chi pensi che vincerà questa edizione di Wimbledon?” “Non ho dubbi Seb. Erwin Siles vincerà. Ha delle armi in più rispetto agli altri. Decisamente delle armi in più”.
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