Sono stato schivato per un pelo da una laurea in Storia e agito la racchetta dall’età di otto anni. Nessuna sorpresa quindi se ho sempre avuto un debole per il tennis del passato, i suoi miti, riti e luoghi. Certo, la scarsità di immagini obbliga a ricostruire le atmosfere di quei tempi solo attraverso le parole dei testimoni e qualche foto spesso seppiata e sgranata, ma questo è sempre un esercizio affascinante. Libera dalla noiosa incombenza di registrare incessantemente attraverso gli occhi, la mente può dedicarsi all’immaginazione e l’incantesimo è tutto qui. Il resto lo fanno loro, quei grandi che hanno scritto la storia del nostro gioco ma sono condannati a una sorta di limbo perché la loro maestria è stata catturata dalla dea televisione in poca parte o punta.
Sarà strano ma in un certo qual modo varcare immaginariamente l’Atlantico con i Doherty Brothers alla caccia della Davis, allenare per un inverno intero il rovescio insieme a Big Bill Tilden o il servizio con Power Jack Kramer è un modo come un altro per sentirsi eternamente giovani. Perché lo sarai sempre più di loro. Il problema sorge quando il passato di cui scegli di scrivere per te si è svolto l’altro ieri o quasi. E le consolazioni del buon senso comune per cui l’età è solo un fatto anagrafico e l’importante è come ci si sente dentro, non appaiono magre bensì scheletriche. Soprattutto se la mattina seguente al consueto doppio con gli amici del giovedì sera l’unica parte che non duole sono i lobi delle orecchie. Ma prima o poi doveva capitare.
Siamo esattamente a metà degli anni ottanta, il Secolo Breve iniziato con la Prima Guerra Mondiale volge al termine ma nessuno se ne accorge mentre Freddy Mercury e Bono Vox dominano la scena al Live Aid di Londra. Lo spettacolo viene chiuso da un Paul McCartney reso afono da problemi al microfono per tutta la prima parte di “Let it Be”. Un chiaro segno che i tempi “They are a changing”. Il tennis attraversa un’età dell’oro iniziata con il trio Connors-Borg-McEnroe, in rigoroso ordine cronologico, affiancati dal cecoslovacco Ivan Lendl. Ma all’epoca dei fatti una nuova leva di campioni si fa avanti a dettare legge fino all’avvento di Sampras e Agassi, tutti nati nell’arco di poco più di tre anni nella vecchia Europa.
Il primo colpo d’ariete lo scaglia a Parigi un diciottenne svedese di nome Mats Wilander, che nel 1982 batte in sequenza Gerulaitis, Clerc e Vilas per prendersi la coppa dei Moschettieri. Tre anni dopo Boris Becker, pel di carota e piedoni enormi, fa ancora meglio centrando Wimbledon prima di poter guidare l’automobile. E non è ancora finita perché in quello stesso autunno un giovane cavaliere biondo che non avrebbe sfigurato alla Tavola Rotonda di Camelot vola fino all’altra metà del mondo per prendersi la sua prima gemma Slam. Si chiama Stefan Edberg, è svedese fino al midollo ma quando scende in campo sembra un californiano cresciuto sul cemento del LA Tennis Club. Attacco, attacco e poi ancora attacco, dietro a un servizio carico di spin o a un rovescio che se non è stato il migliore di sempre poco ci manca. Poi, una volta passata la linea del servizio, ecco la vera meraviglia. Mezze volate, approcci, volée di tocco o potenza perfette e naturali come un sorso d’acqua fresca. Sempre in equilibrio dinamico, sempre in armonia. Nureyev con una Wilson nera.
È stato l’unico tennista a chiudere il Grande Slam juniores, che per lui non sarà mai un buon ricordo. Il 10 settembre 1983 infatti, nel corso della finale di New York contro l’australiano Simon Youl, una sua prima di servizio colpisce in pieno l’inguine del giudice di linea Dick Wertheim, che cade all’indietro sbattendo violentemente la nuca sul cemento. Morirà cinque giorni dopo in ospedale. Quando lo seppe Stefan fu a un passo dall’abbandonare il tennis.
Sono passati poco più di due anni da quei fatti quando Edberg varca la soglia della storia del gioco per non uscirne mai più. Siamo in Australia, da qualche anno il torneo è stato spostato a dicembre e i fasti del passato sono consunti dal tempo come il terreno spelacchiato e gibboso del Koyoong Stadium di Melbourne. Mats Wilander ha sconfitto il bombardiere jugoslavo Bobo Zivojinovic, giustiziere di McEnroe, e attende calmo in finale. Domenica 8 dicembre, a tre anni esatti dalla morte di John Lennon, sul glorioso Centrale ci si gioca il diritto di vedersela con lui per il trofeo che fu di Norman Brookes.
Ivan Lendl è il re del tennis, spalle larghe come una forca e potenza devastante. La mitologica vittoria contro McEnroe a Parigi dell’anno prima lo ha definitivamente liberato dalle catene della paura e niente sembra poterlo fermare. A fine estate si è preso anche gli US Open stendendo nuovamente Supermac a botte di dritto e servizio. Il favorito è lui. Oltre la rete Edberg è uno dei pochi a non essere d’accordo sul pronostico. È ormai un top ten e la sconfitta subita al WCT di Dallas mesi prima dopo aver condotto due set a uno brucia ancora parecchio. Vuole vendetta e l’avrà.
In Italia è notte fonda quando inizia il palleggio di riscaldamento. A rivederle oggi è pura nostalgia, le racchette di legno sono ormai estinte ma il bianco predomina nelle divise da gioco e i calzoncini sono ancora attillati. Agassi non era ancora giunto, Nadal in canotta e pinocchietti neanche nato… La gloriosa erba che vide i canguri dominare la Davis per un ventennio mostra vuoti nelle tribune e tutti gli impietosi segni del tempo. Ma il fascino signori miei è sempre intatto. Come per Marlon Brando o Elvis, chili in più e rughe non contano nulla.
Stefan apre al servizio e il suo stile di gioco scintillante ruba l’occhio per tutto il primo parziale. Lendl soffre dannatamente a centro set per difendere la battuta e in un’occasione finisce pure sotto 0-40 sforacchiato da rovesci lungolinea che giungono da ogni angolo del campo. È il granito della sua forza di volontà a tenerlo a galla fino al sei pari e nel tie break esce dalla trincea. Edberg mette solo una prima palla in campo, Ivan spara al corpo come amava fare contro McEnroe e si prende il vantaggio con un netto 7-3.
Nel secondo set lo svedese svela l’acciaio del suo carattere, insospettabile in tanta purezza formale di movimenti. Ora è il suo turno per soffrire le pene dell’inferno sotto un cielo che si fa sempre più inquietante. Lendl si è fatto spavaldo in risposta e le palle break fioccano ma Stefan non cede e quando Lendl serve sotto 5-6 le sue spalle sono curve sotto il peso delle tante occasioni mancate che avrebbero potuto portarlo sopra di due set. Mentre il cecoslovacco lancia la palla sul primo punto del game una motocicletta passa a tutto gas vicino al campo: doppio fallo. Com’era quel detto sul buongiorno e il mattino? È una maratona di nervi, Ivan recupera ma sul 40-30 commette ancora doppio fallo – alla fine del game saranno quattro – e la rabbia comincia a montare. Un altro vantaggio interno si schianta sul cavo d’acciaio che regge il nastro, sarebbe stato un passante vincente.
Nella roulette russa delle occasioni incrociate il primo a trovare la pallottola è Lendl. E si tratta proprio di un suicidio perché Ivan sbaglia quattro servizi in fila, disturbato sul primo, a onor del vero, da un bambino (svedese? Non si seppe mai) che pensa bene di mettersi a piangere fra prima e seconda palla. Lancillotto Edberg chiude così il set al servizio, non prima di aver impartito una lezione sui mille usi della voléè di rovescio. Il punteggio è 15-30 perché Ivan ha appena piazzato una fucilata di dritto delle sue. Battuta esterna e approccio in avanzamento su risposta secca e bassa, Lendl gioca un cross stretto e veloce in back e qui la pennellata del capolavoro. Stefan fa mezzo passo in avanti d’istinto e in allungo piazza un delicato colpo con taglio a uscire nei pressi della riga del corridoio. La veronica dorsale che chiude lo scambio è una bazzeccola.
Un modo inglorioso di cedere le armi e il cecoslovacco passa uno di quei momenti, non rari in carriera, nei quali non riesce a scorgere bene la pallina fra i fumi della rabbia. Lo spicchio di cielo sopra il catino di Kooyong si riempie di nuvoloni neri al seguito di un teso vento da Nord Ovest mentre Edberg sale in paradiso e incamera un comodo 6-1. Lendl appare completamente fuori controllo e dallo 0-3 pesante smette di giocare. Ha anche qualche problema al ginocchio sinistro, conseguenza di un recupero in scivolata innaturale. Dopo la sosta Ivan chiede – in modo poco urbano, invero – l’intervento di un medico, dopodiché riprende a giocare come nulla fosse. Una spettacolosa sua risposta di rovescio in allungo e anticipo, con la pallina che corre imprendibile lungo la riga mostra che lui è lì in spirito e corpo. Visto com’era andata in precedenza, se Edberg non fosse nato in Svezia ma diciamo più giù, per esempio a Napoli, avrebbe dovuto iniziare a preoccuparsi dal secondo gioco in poi, quando non riesce a sfruttare per primo un 15-40. E infatti subito dopo si imbarca in un lungo gioco ai vantaggi, lascia per strada tre doppi falli e il quarto gli è fatale.
L’elettricità crepita nell’aria e fra i giocatori, Lendl è tornato minaccioso ma proprio mentre le prime gocce colpiscono il terreno Stefan infila un pregiata risposta di rovescio dal centro a uscire che gli vale il pareggio a quattro. Non ricordo se il padre di Ivan si chiami Peleo, ma di certo la furia del cecoslovacco mentre raccatta le sue cose e torna negli spogliatoi è degna di Achille. La pioggia arriva a secchiate. La sosta per non annegare è un balsamo per i delicati nervi del Terribile, che al rientro mostra con i fatti di aver digerito il boccone e si prende subito il servizio dell’avversario e poco dopo il set del pareggio.
John McEnroe raccontava che lui e Borg nelle esibizioni si accordavano nello spartirsi i set iniziali per poi darsele in quello decisivo. E accade proprio così. Il quinto set sarà un’ordalia, un duello all’alba, una sfida all’OK Corral, scegliete voi. I due mettono subito in chiaro che non ci si fermerà al primo sangue e lo scontro finale si apre in modo perfettamente simmetrico, quasi musicale a un orecchio allenato. Perfettamente in linea col carattere dei due. Primo game, servizio Edberg. Ivan scappa 15-40 piantando le gambone nel prato e sparando a tutto braccio un rovescio all’altezza del plesso solare dell’uomo a rete, che si salva per grazie ricevuta. Poco dopo Stefan restituisce la pariglia con i suoi modi, perché lui era un tipo cui piaceva vincere per merito. Sul 15-30 Lendl scende dietro a una bomba centrale e Edberg gioca nel giro di otto secondi due colpi difensivi e due d’attacco coprendo tutto il campo. Una risposta in allungo di rovescio, un passante in corsa di puro polso e un attacco prima di chiudere con lo smash. Il boato della folla arriva ben prima che lui colpisca la pallina.
Scorrono i giochi e pian piano Edberg prende il sopravvento. Lo svedese è nato per giocare sull’erba mentre Lendl deve scontare anche la fatica mentale di forzarsi continuamente al serve & volley. Stefan potrebbe di fatto chiudere con il break del 5-3, quando sul 30-40 gioca quasi col sorriso e in piena scioltezza una risposta lungolinea di rovescio su tremante seconda del ceco. Quando si accorge che la palla è fuori di un dito crolla sdraiato e incredulo. Ma è sul 5-4 che Stefan Edberg da Vastervik, provincia di Camelot, mostra a diciannove anni di avere un cuore a prova di infarto dentro al petto. Il cuore di un campione. Accade che lo svedese si procuri due match point consecutivi e li sprechi malamente col suo colpo migliore. Un raro dritto vincente gliene vale subito un terzo. Quel punto Ivan il terribile lo gioca con addosso solo il suo orgoglioso coraggio.
Si butta dietro a un servizio lentissimo e sulla sassata che gli torna fra le stringhe è bravo anche solo a metterla di là. Il pubblico comincia ad alzarsi e a gridare quando Edberg carica il rovescio e muove il primo passo verso la pallina che rimbalza docile e centrale nei pressi della linea di battuta. Ha il tempo di guardare negli occhi il suo avversario per attimi interminabili, come i pistoleri di Sergio Leone. Poi spara e la palla esce. Lendl era andato dall’altra parte. Stefan non mostra emozioni e cerca di continuare a pensare. Non c’è tie break, finché non perde il servizio è in gioco (Kramer Dixit) e lì concentra quel che gli rimane. Nei tre turni di battuta che lo portano sul punteggio di 8-7 non rischia mai nulla mentre l’avversario sbuffa per tenergli dietro. Per poi crollare di schianto.
Un doppio fallo di Lendl e un incredibile contro-smash fanno intravvedere la luce a Edberg, che sul 40-30 chiude gli occhi e si affida al suo braccio. Pareggio con una serie di tre rovesci in avanzamento chiusi da una volée incrociata e vantaggio su un passante in corsa di rovescio. Il momento è ora. Ivan mette una prima solida ma Stefan lo inchioda di rovescio prima di scrivere la parola FINE col dritto. Da brividi, e io l’ho visto.