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Si legge nel primo libro di Samuele: “Dall’accampamento dei Filistei uscì un campione, chiamato Golia, di Gat; era alto sei cubiti e un palmo”.
Beh Reilly Opelka, 102 kg è alto 6,11 (in feet e inch), 2 metri e 11 cm per noi indigeni. Più o meno ci siamo. Golia Opelka non aveva in testa un elmo di bronzo, né sul corpo una corazza a piastre, ma con la sua lancia – una racchetta che in quelle braccia pareva minuscola e roteava battute spaventose che sovrastavano con il rimbalzo il piccolo Thomas Davide Fabbiano – era capace di scagliare 67 frecce, chiamate volgarmente anche ace. E Golia Opelka ha fatto tutto ciò. Di più non poteva. Ma non è la prima volta che un italiano si traveste da… Davide e fa fuori il Golia di turno, senza scoraggiarsi all’infuriar degli ace. Ricordo Bracciali mettere k.o. Karlovic a Wimbledon anni addietro. Seppi l’australiano – che non è lontano parente del Seppi americano: qui ha raggiunto già 4 volte gli ottavi di finale, negli USA mai – far fuori lo stesso Karlovic lo scorso anno qui. E nel suo piccolo anche Renzo Furlan far lo stesso qui a Melbourne con Goran Ivanisevic che non era alto due metri ma serviva meglio che se lo fosse, essendo per di più terribil mancino. Eppoi, comunque, fra lui e Renzo una ventina di centimetri c’erano tutti.
Mai però 38 cm come fra il ventunenne della Florida Reilly Opelka, 2m e 11cm come ho accennato, e il nostro Davide delle Puglie, Thomas Fabbiano, 1 metro e 73. Guai a dire ancora che è piccolo, d’ora in avanti. Sissignori, è lui il vero gigante, non certo Opelka che al di là del servizio e di terribili mazzate di dritto quando se ne sta fermo, sa fare abbastanza poco. Le gambone e i 104 kg soffrono se c’è chi riesce a rispondere al suo servizio spaventoso e soprattutto a non demoralizzarsi se ti piombano addosso, anzi sopra la testa, gragnuole di noci di cocco a velocità ultrasuoniche. E se i game perfetti, fatti di 4 aces, si susseguono.
Ricordo di aver visto esibirsi il vero gigante, l’ex ragazzino di San Giorgio Ionico oggi quasi trentenne, una dozzina di anni fa, semifinalista junior all’US Open. Tanti dubitavano che avrebbe sfondato da professionista. Era troppo piccolo. Il suo metro e 73 sembrava un handicap insuperabile. Eppoi l’altro ragazzo italiano giunto in semifinale in quello stesso torneo, Matteo Trevisan, sembrava in prospettiva di un’altra categoria. L’espertissimo coach Sven Groenevald, allenatore di una miriade di campionesse e campioni (Seles, Sanchez, Pierce, Ivanovic, Sharapova, Stich, Haas, Kiefer, Rusedski…) mi aveva pronosticato proprio qui in Australia quattro mesi dopo quello US Open junior un avvenire da top-ten per Matteo, il ragazzo di Santa Croce, il fratello maggiore di Martina: “Ha servizio e dritto esplosivi”. Ma Thomas aveva altre qualità che, con il tempo, si sono mostrate più decisive. Testa, intelligenza superiore alla media, umiltà, solidità mentale, grinta, attitudine al lavoro e al sacrificio, costanza, capacità continua di apprendimento.
Sconfiggere un bestione (più che una giraffa) di due metri e 11 cm come il ventunenne americano della Florida Reilly Opelka, giustiziere al primo turno dell’altro gigante John Isner (solo 2m e 8 cm) è stato un exploit pazzesco per Thomas Fabbiano che, entrato all’ultimo tuffo in tabellone quando temeva di esserne rimasto fuori– questa settimana è n.102 – si ritrova al terzo turno di uno Slam per la terza volta. E ne è più che legittimamente orgoglioso, fiero di poter sottolineare la propria completezza tecnica: “Esserci riuscito in 3 Slam diversi, l’US Open nel 2017, Wimbledon l’anno scorso e ora qui in Australia è è già una gran bella soddisfazione anche se… non mi vorrei fermare qui”. Si è pure tolto la soddisfazione di mettere a segno due ace. Anche se se ne ricorda uno solo.
All’US Open Thomas perse da Lorenzi (a sua volta sconfitto dal futuro finalista Anderson). A Wimbledon l’anno scorso trionfò su Wawrinka in 2 manches e 3 set nel corso dei quali annullò ben otto set point al campione svizzero di 3 Slam per il risultato migliore di sempre. Al prossimo turno a Melbourne Park trova quel Dimitrov che qui in Australia ha raggiunto una semifinale e due quarti di finale. Sarà dura, durissima. Intanto Thomas che non si nasconde dietro atteggiamenti ruffiani: “Se tutto il tennis fosse quello che gioca Opelka io non l’avrei mai giocato, anzi non l’avrei mai nemmeno guardato. Non è tennis”. In effetti è un altro sport.
Con i 67 ace Opelka si piazza al quinto posto nella graduatoria degli ace in un match, dietro i 113 di Isner e i 103 di Mahut nella celebre maratona di 3 giorni a Wimbledon 2010 (70 a 68 nel quinto set che non potrà mai più essere battuto altro che al Roland Garros, l’unico torneo a conservare il long-set decisivo). E poi dietro un 78 e un 75 aces di Ivone Karlovic. Intanto con questo risultato Thomas intasca 155.000 dollari australiani che non gli faranno schifo e rallegreranno anche il suo ultimo coach Federico Placidilli: “Non ho avuto troppi coach: dopo il mio primo maestro per 12 anni, Pierri, ci sono stati Brandi, Magnelli, Gorietti e gli altri a Foligno, ora Placidilli ma mi danno mano anche Sartori e Piatti” – sale (virtualmente) a n.84. Il suo best ranking è stato n.70 nel 2017, dopo quell’US Open appena ricordato.
Con Fabbiano a Dubai un anno fa Ubitennis ha pubblicato una bellissima intervista scritta dal nostro validissimo Ferruccio Roberti e come me la sono letta e riletta io spero lo facciate anche voi. Se poi vorreste fare un ripassino di quanto accadde a Wimbledon e delle cose interessanti e intelligenti che disse Thomas, leggete qua. Nel segnalare il risultato, 6-7 (15-17) 6-2 6-4 3-6 7-6 (10-5), sottolineo un particolare: sono stati giocati 47 punti di tiebreak (17-15 più 10-5). E Thomas è stato particolarmente bravo ad assorbire il brutto colpo di un primo set perso nonostante un abbrivio di 4-0 nel tiebreak e di cinque setpoint, peraltro tutti sul servizio di Golia Opelka. 67 ace… è come non aver toccato palla per quasi 17 game di risposta. Il problema non era non deprimersi: era previsto. Era giocare con un’incredibile tensione addosso i propri game di servizio. Perderne uno con tutta probabilità voleva dire perdere un set. “E sono contento di averne perso uno solo. Non mi è capitato spesso”.
Merito suo. E non solo. Oggi si può dire… meno male che c’era il tiebreak. Ma ieri Thomas avrebbe preferito che non ci fosse: “Lui ne ha giocati certamente di più… e nel tiebreak molto dipende da quanti servizi gli entrano. Avrei preferito un long-set, ma ora non mi lamento davvero. Anzi, meglio così. Non sono nemmeno stanco. Forse è ancora l’effetto dell’adrenalina”. Bene. Fabbiano ha scongiurato anche la maledizione del quinto set che aveva colpito Cecchinato con Krajinovic, Vanni con Carreno Busta e Travaglia con… Fabbiano. I primi due avevano condotto due set a zero, il terzo due a uno. Se il derby francese di primo turno fra Chardy e Humbert non fosse stato vinto dal primo per 10-6 al tiebreak decisivo, quello vinto dal ragazzo pugliese sarebbe stato storico. Il primo. Invece è il secondo.
Scusate se, per evitare di addormentarmi ad una prossima conferenza stampa (magari di qualcuno meno amico e meno spiritoso di Nadal) liquido in poche battute il resto. Appunti sparsi. Federer soffrendo un tantino, ha subito un break del quale si è poi lamentato con se stesso, e Nadal hanno vinto tutto sommato senza mai dare l’impressione di poter perdere. Con De Minaur sarà più dura? Forse no. Mi pare ancora troppo leggerino. “Abbiamo provato a far piangere gli australiani con Laaksonen, ma non ci siamo riusciti” mi ha detto il collega svizzero dal nome italiano, Visentini, mentre con un altro collega svizzero, Laurent Ducret ho registrato il quotidiano video in inglese appuntato in particolare su Federer ai primi passi e i suoi ricordi nonché su Wawrinka (che secondo lui batterà Raonic).
Le teste di serie eliminate sono quasi tutte nel “quarto” di Nadal: Anderson n.5 da Tiafoe (Seppi non si lamenta di certo), Isner n.9 l’altra notte come Edmund n.13. E Schwartzman si è salvato per miracolo visto che perdeva 4-1 al quinto da Kudla. Invece l’altro americano Fritz ha sorpreso Monfils e sarà il prossimo avversario di Federer. Ho salutato i tristissimi colleghi olandesi in partenza: eliminati Haase da un Berdych in rinnovato spolvero e soprattutto Bertens n.9 da Pavlyuchenkova… pagano la crisi economica dei giornali dei Paesi Bassi (ma anche nei Paesi… Alti la situazione non è migliore).
Erano molto più allegri invece i due colleghi greci: per la prima volta registrano il bis contemporaneo al terzo turno, Tsitsipas e Sakkari sugli scudi di… Aiace Telamonio. Hanno goduto di un tifo da stadio. “Mai avuto un sostegno così entusiasta…– ha riconosciuto Stefanos – e aiuta, aiuta davvero. Capisco perché Marcos Baghdatis abbia ottenuto qui i suoi risultati migliori”. A Stefanos ho passato il biglietto da visita del miglior ristorante greco di Melbourne, Jim the Greek Tavern in Collingwood street. Mi ha detto che ci andrà. Non sarà bello ma all’alba delle cinque, trascurando le vittorie facili di Kerber, Sharapova, Stephens, Wozniacki, Barty, Sabalenka, Kvitova vado a letto suggerendo ai curiosi di guardarsi il gestaccio dell’ombrello – con tanto di dito medio indirizzato al pubblico reo di non fare il tifo per lei – di Putintseva all’uscita dal campo dopo la sconfitta con Bencic. Una vera signora.