Un fendente di rovescio ad una mano incrociato, improvviso e fulminante, tirato rigorosamente da fermo, su un campo in terra rossa. Quando un appassionato di tennis pensa a Nicolas Almagro, è facile che gli venga in mente questa immagine. E molto presto non sarà altro che un ricordo. Il 33enne tennista iberico, ormai da un anno e mezzo praticamente fermo per problemi fisici ha deciso di dire addio al tennis professionistico in maniera definitiva. Lo farà di fronte al suo pubblico, a Murcia, sua città natale, nel torneo Challenger in programma questa settimana. Omaggiato di una meritatissima wild card, all’esordio affronterà il connazionale Mario Villela Martinez, n.262 del ranking ATP. Non proprio il massimo per chi è stato tra i primi 10 del mondo nel 2011 (n.8 per la precisione) e nei primi quindici per le tre stagioni seguenti. Tuttavia, l’iberico non ha nessun rimpianto riguardo alla sua carriera ed è contento che possa finire così.
I numeri di certo non sono affatto male. In 16 anni da professionista, Almagro ha vinto quasi 400 match e conquistato 13 titoli sul circuito maggiore. La curiosità è che tutti i suoi trofei e la maggioranza dei successi è arrivata sulla terra rossa. La differenza nel suo record è quasi straordinaria considerando la recente omogeneizzazione tra le superfici. Mentre sulla terra rossa il suo bilancio è nettamente positivo (65% di vittorie) sul cemento ed erba è leggermente negativo (all’incirca il 47% di vittorie su entrambe le superfici). Sull’amato mattone tritato, al Roland Garros, Almagro ha anche disputato tre dei suoi quattro quarti di finale Slam, nel 2008, nel 2010 e nel 2012 (l’altro lo ha raggiunto in Australia nel 2013). Peccato che dall’altra parte della rete, si sia ritrovato in ognuna di queste circostanze l’unico e vero re della terra rossa, Rafa Nadal, che lo ha sempre sconfitto, sempre in tre set. E chissà che con un incrocio diverso in tabellone non staremmo qui a raccontare un’altra storia.
Oltre ad un pizzico di sfortuna, un altro paio di elementi hanno sicuramente condizionato la carriera del talentuoso giocatore di Murcia. Il primo sono sicuramente stati gli infortuni. Nel 2014, in un momento in cui ormai aveva consolidato una posizione di classifica di tutto rispetto, ha subito un’operazione al piede. Ci ha messo due anni per tornare competitivo. Quando sembrava profilarsi una seconda parte di carriera comunque interessante, e poco dopo essere diventato papà, a fare crack è stato il ginocchio: Nico è stato costretto ad accasciarsi sul campo in lacrime durante il primo turno del Roland Garros contro Juan Martin del Potro, uno che di infortuni ne sa qualcosa. “Gli infortuni fanno parte del gioco e influenzano qualsiasi atleta professionista, bisogna accettarlo e affrontarli in maniera positiva”, ha detto in una intervista alla vigilia del suo ultimo torneo. “Ma è vero che ho avuto una serie di infortuni particolari, come la fascite plantare, che non è molto comune per un tennista. Mi sono rotto lo scafoide in una caduta. E poi sono arrivati i problemi al ginocchio, che erano più gravi, due anni fa. Sono state quattro operazioni e quando questo accade a te, o diventi più forti o ti ritiri”.
L’altro fattore che l’ha forse frenato è sempre stato una dedizione non proprio ascetica alla propria professione, soprattutto se paragonata a quella dei connazionali Nadal e Ferrer. E nel tennis di oggi purtroppo è una condizione necessaria per primeggiare. Nonostante il suo metro e ottantatré di altezza, Almagro non si è mai mosso con grande rapidità in campo, preferendo fare affidamento sui suoi colpi dalla forza poderosa, servizio e rovescio in particolare. I suoi incontri erano spesso molto divertenti e ricchi di punti vincenti. Ma, d’altro canto, non sempre pieni di alta intensità fisica e strenue difese. Essendo fin troppo maligni, si poteva talvolta scorgere anche qualche chilo di troppo nel suo fisico.
Ma, guardandosi indietro, Almagro non ha di certo rimpianti per gli infortuni o per non aver fatto qualche ora di preparazione atletica in più. “Se faccio il punto su ciò che è successo nella mia carriera sportiva penso ai tredici titoli ATP, alle dieci finali, al titolo in doppio, alla partecipazione alle Olimpiadi, al successo in Coppa Davis (nel 2011 anche se non fu convocato in finale, ndr) … Beh, cosa potevo chiedere di più?”, ha affermato. Forse vivere in un’altra epoca? Senza Nadal ma anche Federer, Djokovic e Murray? “Loro erano intoccabili. Gli altri potevano solo stare dietro. Tuttavia, se avessero detto a qualcuno intorno a me cosa avrei ottenuto, avrei firmato per metà della metà”. Insomma, è contento così l’iberico. E ha tanti motivi per esserlo.
Se poi qualcuno ha nostalgia del suo meraviglioso rovescio può andare su Youtube o assistere dal vivo a uno dei tornei di veterani nei quali si cimenterà in futuro. E dove finalmente Nico sarà libero di non rincorrere la palla degli avversari.