Quando Fabio Fognini è andato a servire sul 5 a 0 e 40 a 0 in suo favore, Rafael Nadal Parera ha avuto voglia che tutto finisse. Che tutti tornassero a casa. Che i raccattapalle riponessero le palle nei tubi. Che i giornalisti non facessero domande e si accontentassero degli occhi freschi di pianto esibiti in conferenza stampa.
Ha avuto voglia di correre altrove. A pesca, a Manacor. Al matrimonio, con Cisca. Ad abbracciare qualcuno che non fosse sporco di terra battuta. Avrebbe voluto correre ancora, ma non più alla disperata caccia dei colpi del nemico più ispirato che abbia mai incontrato su questi campi.
Quando il pensiero è apparso nitido nella sua mente, ha allora deciso di ardere di un sol fuoco, tirando i colpi più violenti e perfetti del suo torneo. Ciò ha illuso pochi di noi, che vedevamo in quella reazione la stessa reazione che Rafael avrà visto in anni di ami e canne: lo scomposto agitarsi della preda cha ha oramai abboccato, scalpitante, e che riesce in realtà soltanto a conficcare più un fondo alla gola l’amo e prolungare la sua agonia.
Avrebbe voluto spegnere il tabellone del punteggio. Avrebbe voluto fermare lo speaker che gridava al cielo monegasco “Fabio Fognini”. Avrebbe voluto la sordina sulle voci dei bambini che hanno gridato “Rafa” per un’ora e mezza, e poi “Rafa” a partita finita e che torneranno a casa piangendo “Rafa” delusi: perché vaglielo a spiegare a chi ha pochi anni che qualcosa, per davvero, possa finire.
Avrebbe voluto, Nadal, che Wystan Auden parlasse di lui nella celebre Funeral Blues. Fermare gli orologi, far tacere il cane con un osso succulento. E invece deve accontentarsi di chi scrive queste parole con negli occhi non solo la grande impresa di Fognini, ma anche la sconfitta di Rafael Nadal. Sconfitto non tanto perché non ha difeso il titolo del Principato. Gli è già successo in passato e in quelle occasioni ha fatto spallucce ed è tornato. Rafael è sconfitto perché, malgrado il periodo pasquale, sembra essersi stancato di risorgere di nuovo.
C’era stanchezza nelle sue parole, non solo tristezza. La stanchezza per avere compreso di non essere ancora dove vorrebbe stare, dove dovrebbe stare, dove è sempre stato in questo punto della stagione. Sappiamo bene che è tutto giustificato dal ginocchio del quale abbiamo tutti una radiografia nella testa visto che ce ne parla anche dopo le vittorie. E che è giustificato anche dagli anni, di cui però nessuno parla più, perché abbiamo tutti un occhio puntato su Federer e ci consideriamo eterni.
Quando in conferenza stampa ha risposto dicendo che dopo questa sconfitta allenarsi l’indomani sarebbe stato difficile, Rafael non ha soltanto espresso la logica necessità di smaltire la delusione. Ha inteso qualcosa di diverso, di più profondo e compatibile con il suo nuovo stato d’animo. Si è dichiarato consapevole di non essere ancora al meglio della sua condizione e, sai che c’è di nuovo?, di non essere neppure certo di volerci arrivare.
La già vacillante essenza del “nadalismo” del combattere attraverso le difficoltà, del sollevarsi dopo le cadute, del prevalere su chi magari ha qualcosa in più di te nel gioco, ma in meno quanto a cuore, attributi e stimoli, è crollata sotto i lungolinea di Fabio Fognini. La retorica del suo spirito guerriero, di cui ci riempiamo la bocca da quindici anni, appare oggi stucchevole e fuori luogo, irrispettosa delle difficoltà di chi ne è stato ispirazione. Schiavo del suo personaggio, abbiamo da tempo messo la belva in gabbia, additandola ai nostri figli e a chi avesse bisogno di stimoli come esempio a non mollare, mai. Forse Rafael se ne accorge solo adesso, e così dopo che ha ceduto il fisico di un tennista che sarà tra i più grandi della storia, inizia a cederne persino l’incrollabile metafisica.
Sappiamo bene che le messe in requiem per lo spagnolo sono state cantate infinite volte, e mai a proposito. Al toro, cui lo si associava quando era ragazzo in smanicato e pinocchietto, abbiamo sostituito da tempo l’araba fenice. Per questo non diciamo che “Nadal è finito”. Perché affermare ciò presuppone l’ovvio, quel che se non accade oggi accadrà domani, roba che un campione destinato a proiettarsi nella Storia non merita.
Nadal non è finito, ma Rafael è stanco. Il Nadalismo vive e lotta con noi, ma Rafael ne cede il copyright, non ne vuol più fare parte. I due si sono scissi, sotto i nostri occhi, tagliati in due dai colpi di Fabio. Il sottile legamento che teneva unita la persona Rafael ed il mito Nadal è stato reciso dal dritto che ha dato la finale al nostro giocatore. Chi non era sul campo non se ne può essere accorto. Nel momento in cui la palla di Fabio atterrava nei pressi della linea, si è sentito un sottile “tac”, distinguibile anche nel boato del Court Ranier III. L’eco di quella frattura è arrivata in conferenza stampa e da quel momento, l’uomo ed il giocatore, hanno cominciato a procedere per vie separate.
Rafael è stanco perché non di solo mito si alimenta l’uomo. Perché nutrirsi di se stesso non può servire a guarire da un male incurabile: che è il tempo, gli infortuni, gli avversari e su tutto l’essere miserabilmente umano. Aspetteremo Parigi, dove Djokovic arriverà al suo meglio e Federer arriverà con il mito ancora ben saldato all’uomo. Chissà se questo appuntamento lo aspetta anche Nadal, o per la prima volta ne teme l’arrivo. Nel frattempo è a Barcellona, andrà a Madrid e a Roma. Ci smentirà, ne siamo certi, ma non potrà mai più smentire le parole dette a caldo dopo la semifinale.
Se poi come ha fatto sabato, contro ogni logica ed aspettativa, contro la sorte, contro i rimpianti, contro le ginocchia fragili e gli occhi stanchi, Rafael Nadal Parera volesse di nuovo infiammarsi e ardere in un momento, ebbene, sarebbe bello essere invitati. Nessuno, neanche il suo più accanito detrattore, potrà accampare scuse e trattenere un inchino quando divamperà una nuova ultima fiamma, brillante come quelle che consumano ogni cosa e non lasciano residuo. Svuotati di ogni dolore, prossimi all’infinito balzo, Rafael e Nadal torneranno a essere uno, come in un respiro che espelle e riassorbe. Lì vorremmo essere presenti ancora, invitati a ballare intorno ai fuochi, testimoni di una storia sportiva che resterà negli anni, per celebrare il campione e per abbracciare l’uomo.