da Parigi, il nostro inviato
[5] A. Zverev b. [9] F. Fognini 3-6 6-2 6-2 7-6(5)
Avremmo voluto fortemente Fabio Fognini nei quarti di finale. Lo avremmo voluto anche per poter dire che finalmente, dopo 40 anni, c’era un italiano tra i primi 10 della classifica. L’ultimo a riuscirci, Corrado Barazzutti nel 1979, sedeva oggi in tribuna nel Lenglen. Malgrado il risultato di Fabio, con la sconfitta di Del Potro contro Kachanov, l’obiettivo sembra comunque raggiunto a meno che Stan Wawrinka non vinca il torneo (il che può voler dire battere Federer, Nadal e Djokovic in sequenza). Per un obiettivo che pare raggiunto, però, un altro certamente tramonta. Ai quarti ci va Zverev, meritatamente. O forse “demeritatamente” perché sono anche gli errori di Fabio a spedircelo. Tanti, troppi errori. Lo avremmo voluto perché l’unica volta in cui il nostro ci era riuscito nel 2011, non poté disputare il suo match contro Djokovic, distrutto dalla maratona contro Montanes. Il destino ci portava ancora tra le braccia del serbo, e ci saremmo sentiti tutti noi otto anni più giovani o otto anni più anziani.
Del resto nei match che contano, quelli ad eliminazione diretta, la Germania non è mai riuscita a battere l’Italia. Ai mondiali di Messico ‘70 ci provarono a lungo. A quelli di Spagna ‘82 non ci credevano poi tanto. A quelli giocati in casa nel 2006, ci credevano e come, e per questo fu ancora più bello. Certo, abbiamo negli occhi i rigori del 2014, la patetica rincorsa di Zaza e la sbruffonata di Pellé. Ma al 90° e al 120°, eravamo ancora là. Invicti. Il precedente di Montecarlo ci rincuorava, anche perché lo Zverev degli ultimi giorni non sembrava diverso da quello fiacco visto in costa azzurra. Ma la ragione portava ad essere prudenti e lo sguardo di ghiaccio di Sasha, incrociato l’altro ieri in conferenza stampa, era quello di chi non mentiva quando diceva di stare meglio, di stare bene.
Non a caso si partiva con Fabio in difficoltà sul suo servizio. Tre palle break di marca germanica, con un “bonjour” dato al pubblico del Lenglen col fallo di piede. Il ligure comincia a giocare con un minuto di ritardo e le cancella quasi con indolenza. Sul successivo turno di servizio è Zverev ad esibirsi nel tentativo di rimonta dallo 0-40. Ma gli riesce molto peggio con due doppi falli che mandano avanti 2 a 0 Fognini. La superficie del Lenglen (che Federer aveva definito “a little more slippery”) unita alla pioggia che va asciugandosi sulle linee, fa scivolare un paio di volte il nostro sui suoi repentini cambi di direzione. Poco conta, perché si va 3 a 0. Non può essere così facile, ma è bello farsi illusioni. Illusioni, perché Zverev inizia a far pesare i 20 cm di differenza al servizio.
Una brutta volée di Fognini e un dritto fuori in manovra riportano tre palle break in casa tedesca. Un doppio fallo del nostro a dir poco chilometrico e il servizio è ceduto con annesse prime lamentele verso il proprio box. Fognini sceglie di rispondere distante alle prime di servizio di Zverev, il quale se ne accorge e apre gli angoli in battuta. In campo però gioca molto più avanti del tedesco, comandando lo scambio e capovolgendo l’ordine dei fattori, con quello alto che corre e quello piccolo che picchia. Si fa politica dagli spalti, con un francese che grida inneggiando al “genio italiano” contro “l’austerità tedesca”. La Merkel non apprezza e commissiona a Zverev una risposta vincente di dritto.
Fabio tiene il servizio del 4-3 e va al cambio campo iniziando la sua faida contro qualcuno negli spalti dal lato tribuna stampa. Le parole di Fabio non le cogliamo bene: c’è chi pensa che abbia detto “è reato!”, e chi pensa abbia detto qualcosa in esperanto. Il clima italiano ispira Zverev ad imitare l’atleta di casa nostra che più ammira, iniziando a servire come Errani e realizzando ancora due doppi falli in fila. A questi si aggiunge un stecca di dritto ed arriva ancora un break che manda Fabio a servire per il set. Il tedesco è furente e grida contro il mondo in lingua russa, di certo non per citare Torguenev o Tolstoj. A Fognini basta tenere l’iniziativa nel successivo game e Paolo Rossi segna il primo gol nella finale dell’82.
In tribuna stampa assieme agli odori del fast-food incorporato nello stadio, inizia a diffondersi un cauto ottimismo tra gli italiani, mentre il sole fa capolino asciugando l’aria e il campo, fatto che avvantaggia indubbiamente Zverev. Fabio vince una faticosa diagonale di dritto, Zverev gioca ancora col telaio e siamo un gioco pari. Dopo 40 minuti il tedesco già schiuma di rabbia berciando improperi in russo. Fabio modifica posizione in risposta, avanza di più, ma soffre a contenere le bordate perennemente sopra i 200 all’ora del Maestro 2018. Così, pian piano, si allontana in risposta. Forse non lo sa ancora, ma questa scelta gli si ritorcerà contro.
Fognini si impigrisce e offre un’opportunità a Zverev. Sulla timida seconda di Fabio, Zverev decide di non giocare e manda fuori di un metro la risposta. Altri due errori tedeschi e gioco per noi. I trenta gradi di ieri sono solo un ricordo. Il vento è freddo ma almeno tiene lontane le nuvole.
Il lunghissimo quinto gioco del secondo set si rivela un crocevia decisivo per le sorti del match. Zverev fa e disfa con la battuta, ma arriva a concedere una palla break con un errore madornale di rovescio. I due si scambiano cortesie per la parità e per una nuova palla break per Fabio. Ace per annullarla e ancora doppio fallo, perché di servire con continuità a Sacha proprio non gliene viene. La terza opportunità se ne va con un bellissimo passante di dritto di marca tedesca. Da lì Zverev inizia ad essere più lucido accorgendosi di un Fognini in posizione troppo arretrata e facendo uso dello schema servizio e volée. Fabio non digerisce l’affronto e pennella una palla break perfetta continuando a fissare con aria di sfida l’avversario che sbuffa per l’impossibile recupero. I punti giocati aumentano e Zverev si esibisce nel miglior colpo di giornata, il doppio fallo (siamo a sette). Poi arrivano gli ace (5 e 6) e di vedere un po’ di tennis giocato non se ne parla. Ancora serve and volley di Zverev ma Fognini se ne accorge e la volée amburghese è da dimenticare.
Il ventesimo punto del game è un dropshot chiuso a rete da Fabio che viene però sorpreso dal serve and volley sulla seconda del tedesco (o forse dal fatto che la sua seconda entri in campo). 22 punti, quattro palle break, eppure game Germania. Gol mancato, gol subito, perché Sasha tiene ora maggiormente l’iniziativa e si procura due palle break. Un colpo fortunato di Zverev obbliga Fabio ad un ricamo di dritto che pochi, davvero pochi, saprebbero fare. Ma il secondo errore di rovescio in lungolinea cede il break. Sembra ci si possa mettere una toppa nel game successivo perché Fabio va avanti 0-30 con un passante incrociato di dritto di bellezza abbacinante. Senza fare i conti con l’efficienza tedesca, che porta Zverev di nuovo avanti. Giusto il tempo di una esibizione da man di cemento del 21enne di Amburgo, il quale rimedia però il game con l’ennesimo rovescio in rete del nostro e con un suo tocco sbagliato.
L’inerzia è ora tutta del biondo numero 5 del mondo. Fabio ha perso il registro del rovescio e il filo del gioco. Gli errori sono troppi e lo sfogo verso il pubblico che lo disturba alle sue spalle è dei peggiori (“fa come gli struzzi quello lì… ma gli dici qualcosa tu o glielo dico io? co@#*&ne…”). Non serve neanche questo. Zverev trova una gran risposta e la Germania pareggia col 6-2.
La posizione in campo del nostro appare il suo tallone d’Achille. In difesa è troppo distante e Zverev ne approfitta attaccando la rete. In attacco gioca sulla linea di fondo, non riuscendo però a spingere adeguatamente, ed esponendosi spesso all’errore. Zverev dal canto suo appare aver risolto i suoi problemi al servizio. Ne risolve anche uno a Fabio graziandolo in uno scambio ravvicinato a rete. Un vincente di dritto ritrovato da Fabio interrompe la striscia di cinque giochi a zero del tedesco.
Zverev a tratti sembra David Ferrer sportivamente reincarnato, correndo su tutto e ributtando tutto di là. Fabio gioca estemporaneo perché la difesa di Zverev è a dir poco frustrante. Un litigio con l’avversario per interposto giudice di sedia precede un errore ed un grido “Muoviti!” rivolto a se stesso e alle sue gambe. Alle parole non seguono i fatti, Fabio resta immobile dopo il servizio e sbaglia un dritto. Sulla palla break è bravissimo Zverev e siamo sotto anche nel terzo.
Fabio dal lato della tribuna stampa ha un avversario in più. Nel pubblico qualcuno continua a dargli fastidio ed in francese Fognini gliene dice un paio. Capiremo in conferenza stampa che le parole erano rivolte al fisioterapista di Zverev, e che il resto è arrivato negli spogliatoi. Oramai il soliloquio fa passare quasi inosservato un meraviglioso pallonetto del nostro ed una orribile volée del tedesco. Zverev però macina ancora servizi e punti e quando concede l’occasione, Fabio sbaglia la risposta ma scaglia bene la racchetta a terra. I nervi sono oramai saltati e saltano per aria anche le racchette in panca. Arrivano nell’ordine un warning ed il fisioterapista per Fabio che le prova tutte per far perdere ritmo e convinzione all’avversario. Una nuova fasciatura al polpaccio e si torna in campo giusto per vedere un erroraccio di Zverev al volo e un bel dritto incrociato di Fognini. Finalmente una risposta fuori di Sascha ed un game di servizio chiuso con una delicata palla corta.
Nono ace e nono doppio fallo per il tedesco. Fabio continua a non cercare la palla con i piedi ed a giocare a qualsiasi altezza da terra senza portarsi avanti o indietro per trovarla all’altezza del busto. L’atteggiamento è così evidente che il ligure si becca consigli tattici persino dalle tribune. Arrivano ora due errori di marca tedesca, ma la palla break viene cancellata da un ace ed il 5-2 è di Zverev ancora col servizio. Zverev si muove bene lateralmente, ma fatica a recuperare i tocchi corti di Fabio. Il nostro esplode un bellissimo dritto in corsa ma è ancora col rovescio che non trova il campo. I piedi restano ancora fermi al palo, mentre di controbalzo inizia a scentrare anche il dritto. Palla break che è set point: arriva un doppio fallo che seppellirebbe chiunque, tranne Zverev che incamera il 6-2 e si solleva due set a uno.
Il tedesco del primo set è un lontano ricordo. Quello che si vede ora sul Lenglen è un regolare picchiatore, opportuno nelle scelte tattiche e con la mente sgombra da sovrappensieri. Zverev sa bene che non deve fare altro che mandarla di là, cercando il rovescio di Fabio e coprendo l’incrociato. Perché il lungolinea di rovescio, Fabio, non lo trova neanche in palleggio. Due palle break annullate dal signor Pennetta e altro game fiume in cui tre buone discese a rete issano il nostro sull’1-1.
I doppi falli di Zverev ci fanno compagnia, ma il tedesco oggi gioca tutto il resto ad altissima percentuale. Quando poi prende due righe su seconda di servizio e dritto, le blasfemie di Fabio un po’ le condividiamo. La lezione di palla corta per l’allievo di Lendl non è finita, ma quella di rovescio non è finita per Fabio. Se qualcuno poi si rendesse disponibile per una lezione di seconda di servizio per Zverev, il tedesco eviterebbe l’undicesimo doppio fallo. Altra riga crucca e al cambio campo Fabio lancia la racchetta a terra, dosando magistralmente la forza: quanto basta per sfogarsi, quanto basta per evitare che si rompa ed arrivi il penalty point.
In ogni caso Fabio è tornato in partita. Un turno di servizio tenuto a zero, con due palle corte vincenti. Qui Zverev compie il suo capolavoro tattico, intuendo che non può più limitarsi a rimetterla e decidendo di cambiare registro. E lo fa bene. Arrivano vincenti, il serve and volley ed un game tenuto a zero. Gli alti e bassi visti contro Lajovic sono rimasti sul campo Simonne Mathieu due giorni fa. Il diciottesimo errore non forzato di dritto di Fabio è seguito dal diciassettesimo di rovescio. Fa impressione notare sulla grafica del tabellone che Zverev ne ha rispettivamente 6 e 8. Ma Fabio continua ad esserci, manovra offensivamente e affonda il dritto incrociato.
La diagonale buona oggi è sicuramente quella dritto contro dritto per Fabio: ce ne accorgiamo noi, se ne accorge Zverev che di dritto cerca spesso il lungolinea, mentre Fognini non ne pare persuaso. Sarebbe stato un vantaggio servire per primi almeno in questo quarto set, ora che Zverev è avanti 4-3 ed a due soli game dal match. Sascha, di là, sembra un muro. Più novello Lendl che suo discepolo. Fabio riesce ad acciuffarlo ancora per il 4-4, con due palle corte che fanno l’occhiolino all’arte.
Nei suoi turni di servizio Zverev prende campo e spesso la rete, alternando pregevoli volée ad errori piuttosto marchiani. Il dropshot è un colpo da bottega artigianale, non da industria pesante e quando Sasha lo esegue i risultati lasciano a desiderare. Un servizio e volée di rovescio non proprio degni di Edberg concedono a Fognini una palla break che il nostro gioca passivamente e che il rovescio del tedesco cancella. Ancora la prima seguita dal rovescio per il vantaggio interno. Parità su un colpo steccato di Fabio che finisce sulla riga della buona sorte. Ma è il servizio di Sasha che oramai fa la differenza, e che fa accomodare Fognini al cambio campo con la consapevolezza di dover servire per stare nel match. Nessun problema, Fabio sfrutta anche le palle nuove e tiene il servizio a 15.
Se può scegliere Fognini continua ad andare sul rovescio del suo avversario, ma spesso gli dice male. Un rovescio lungolinea (assa fa’…) destabilizza Zverev. Sul 30-30 arriva, opportuno come il caffè, il dodicesimo doppio fallo, ma Fabio gioca la palla break esattamente come quella sul 3-3, lasciando campo alla sua destra e consentendo l’affondo di rovescio del rivale. Fabio serve sotto 6-5 ma tiene a zero, entrando nel tie break con una palla corta con su scritto: “Forse la vinci, ma questa non la sai fare”.
Ed è tie break dopo due ore e 48 minuti: passante fuori di Fabio su Zverev ancora a rete, poi stecca di Zverev e bel punto italiano con la volée acrobatica di Fognini. Zverev insiste nel cercare la rete e anche stavolta lo fa bene costringendo all’errore il ligure. Il deficitario rovescio lungolinea di Fabio continua a causargli danni e col doppio fallo da sinistra, siamo sotto di un mini break. Bella profondità col dritto di Fabio e si resta attaccati con le unghie e con i denti al 3-4. Poi errore (orrore) con il rovescio lungolinea giocato talmente male da arrivare a malapena alla rete. Zverev non deve fare null’altro che metterla di là ed attendere l’errore di Fabio che va sotto di tre match points. Il primo lo annulla col servizio. Il secondo col dritto. Il terzo andrebbe bene annullarlo anche col manico. La prima di Zverev non entra: cosa daremmo ora per uno di quei bellissimi doppi falli, made in Germany, che tanto abbiamo a cuore? Zverev lo sa e gioca la seconda a 130 all’ora, insegue qualche colpo di Fabio a destra e a manca lasciando all’errore di Fabio il compito di regalargli il match. Dritto fuori di un metro e non resta che andare a stringere la mano.
Zverev si dichiara soddisfatto del suo gioco e felice di aver sconfitto uno dei migliori sulla terra battuta. “Ginevra è il punto da cui dove sono partito per avere queste nove vittorie di fila. Senza la fiducia che mi ha dato non avrei giocato così”. Quanto ai numerosi serve and volley ci risponde dicendo: “Sì, Fabio è uno che risponde dietro, e che questo era parte del mio piano tattico“. Chiedere a Fabio in conferenza stampa quale fosse il suo non era poi così importante. Ci ha detto che doveva essere più aggressivo sulle palle break del nono e undicesimo gioco del quarto set, che magari le avrebbe sbagliate come ha sbagliato il match point, ma che “dovevo portarla al quinto, mi meritavo di farlo… poi magari perdevo lo stesso ma me la giocavo“. E gli crediamo, perché lo abbiamo avuto sotto agli occhi senza però capire quale fosse la strategia usata per scardinare Sascha il macigno.
Fabio ha giocato da artista, come del resto sa fare e sa fare innamorare. I suoi colpi, tutti i più belli del match, sembravano arrivare in campo direttamente da una mansarda del Quartier Latin. Zverev ha giocato solido, lo ha detto anche in conferenza stampa, ma noi vorremmo pensare che sono solidi gli edifici, le automobili e gli amori, non il tennis. Chiedere a Kant se l’estetica è anche morale. Anzi no, evitiamo: Kant è tedesco, per oggi lasciamolo stare.