È la voglia di eroi ad alimentare l’immaginario collettivo. E scrivere di grandi personaggi assume i toni di quel feuilleton tanto in voga nell’800, capace di fidelizzare moltitudini di lettori cavalcando l’enfasi. Chissà cosa avrebbe scritto Honoré De Balzac, esponente di spicco di quel piacere narrativo, pur di tenere alta l’emotività su Roger Federer. Alla luce di quanto visto a New York il racconto avrebbe preso diversi sentieri: le occasioni perdute, gli acciacchi dell’età, l’appagamento sottile.
Con un buon adattamento, avrebbe anche descritto un Federer alle prese coi postumi di una finale londinese andata in malora e ricorrendo ai numeri avrebbe raccontato due verità: quella di un primo semestre eccellente con tre vittorie e altrettante finali e un’altra semivuota originata con una domenica di metà luglio, finita malamente in un campo della Grande Mela. Tantissimo, per un giocatore normale! Poco per uno abituato a smarrire scampoli di match e forse abbastanza per immaginarlo in un tunnel alle prese con qualche fisima di troppo.
Il cliché dell’eroe invincibile pone tasse salate da pagare poiché i trionfi sono dati per scontati mentre le sconfitte rimarrebbero scolpite sulla pietra. Alla luce di quanto visto a New York, la metafora migliore sarebbe quella di un meccanismo inceppato senza apparente ragione. Ma, narrando, narrando, anche Balzac riferirebbe di un tennista che ama giocare molto sul crinale, in preda a un’adrenalina foriera di cose strabilianti anche quando sarebbe il momento di altre più concrete. Racconterebbe di un eroe troppo spesso inseguitore e come spunto lascerebbe andare la penna sul disastro compiuto a metà del quarto set su un centralone intitolato ad Arthur Ashe. Sarebbe tornato sui maledetti match point smarriti in Church Road e sulle tante finali gettate alle ortiche per quel lirismo tecnico talora tracimante in troppi punti persi.
Poi, verso il finale, la storia riprenderebbe il filo confessando di un Federer che piace al mondo proprio perché tale! Un eroe che si esalta in piena turbolenza tracciando rotte inesplorate dove per lungo tempo ci ha librati e che oggi, forse, sta pensando a come approcciare un morbido atterraggio. Direbbe di moltitudini di fan appesi all’aria bucolica di un re tanto amato che tutti vorrebbero replicare all’infinito spingendo il suo abbandono a un lontano babbo morto. E issandosi in un ultimo svolazzo, il feuilleton ci disperderebbe tra le righe dove, come falene nella luce, ci lascerebbe girare come impazziti intorno all’utopia dell’eterno campione.
Perché il finale ideale ha sempre fame di protagonisti accattivanti e così come un romanzo, anche lo sport, senza di eroi da incensare, non sarebbe che un mestiere qualsiasi da espletare.
A cura di Massimo D’Adamo
Massimo D’Adamo è maestro di tennis, giornalista pubblicista ed organizzatore di eventi sportivi. Già Direttore Tecnico del Foro Italico e del Centro Nazionale di Riano, è stato Responsabile in Italia della formazione Junior, selezionatore e capitano di tutte le rappresentative nazionali. Coach internazionale, vanta collaborazioni con giocatori di Coppa Davis di Italia e Giappone. Ha già pubblicato due libri: “…IN VIA DELL’IDROSCALO” nel 2013 e “VAGABONDO PER MESTIERE” nel 2016