Nelle battute iniziali di Spotlight, Miglior Film agli Oscar del 2016 (e oggi è giornata di Oscar anche per noi, come si è visto), al direttore del Boston Globe viene fatta questa domanda: “Vuole veramente mettersi contro la Chiesa Cattolica? Quelli pensano in secoli!”. Ecco, questo è il modo in cui si devono sentire i vari Thiem, Tsitsipas, Zverev di questo mondo (un po’ meno per Medvedev, che non era annunciato a questi livelli da anni), che si trovano a fronteggiare il corrispettivo tennistico di questa visione, ovvero campioni che pensano, ormai, in decine di Slam. Perciò è normale che molte giovani star del tennis maschile contemporaneo siano accomunate dalla pressione di dover fare la storia a tutti i costi.
A questo poi sono annesse critiche su critiche quando, puntualmente, non riescono a portare via gli Slam ai Big Three, anzi, nel caso del tedesco e del greco gli strali li bersagliano perché non ci vanno nemmeno vicini – entrambi hanno fatto una sola semifinale Slam, con il greco che l’ha persa nettamente e Sascha che si è spento dopo un gran primo set, peraltro contro Thiem e non contro i dioscuri.
Non pare allora casuale che i contenuti della recente intervista di Stefanos al sito dell’ATP abbiano dei toni molto simili alle dichiarazioni di Zverev a Melbourne, in particolare riguardo alla sopracitata pressione che loro per primi si mettono addosso: “Credo di dovermi rilassare di più e di dovermi godere il gioco. Penso anche di non poter giocare ogni punto al massimo. Ho avuto una grande annata nel 2019, e sarà ancora più dura farlo quest’anno, ma con una formula differente. Non voglio replicare quanto fatto, voglio fare meglio – voglio sempre avere di più dal mio tennis”.
Per lui un cambiamento era necessario, soprattutto dopo il periodo buio vissuto fra Wimbledon e lo swing asiatico, quando, Washington a parte, ha perso cinque volte all’esordio, una fase di stanca che lui attribuisce a diverse cose: “Ho avuto un brusco calo la scorsa estate. Cercavo di migliorare, e invece ho iniziato ad andare indietro – succede di lavorare e sforzarsi tanto da ottenere l’effetto opposto da quello voluto. Per cambiare ho avuto bisogno di rilassarmi e abbassare le mie aspettative. Dovevo solo divertirmi, non pensare a stravincere, perché non si può fare tutto alla perfezione. Il ‘burnout’ è un insieme di fattori, come lo stress prima e dopo le partite, o il desiderio di raggiungere gli obiettivi a tutti i costi. Di sicuro è più mentale che fisico, e nel mio caso in particolare viene dal fatto che mi prendessi troppo sul serio, che mi aspettassi troppo, che pretendessi troppo da me stesso. La chiave dovrebbe essere di trovare un buon equilibrio dentro e fuori dal campo, e di vedere il tennis come un gioco, e non come un lavoro. Ora gestisco meglio le energie, so quando spingere e quando essere più saggio”.
L’intervista è stata rilasciata alla vigilia del torneo di Rotterdam, dove Stefanos non ha mai vinto un match in tre partecipazioni, e dove esordirà contro Hubert Hurkacz. La foto da Prima Comunione in apertura è del suo esordio nel torneo, datato 2017, e proprio di quella partita il greco ha parlato: “Ho giocato qui il mio primo match ATP, contro Tsonga, e l’ho perso, anche se ricordo di essere partito bene. Fino a quel momento avevo fatto quasi solo Futures, neanche Challengers, e Richard Krajicek mi diede un’opportunità enorme con una wildcard per un 500. Fu la mia prima esperienza contro grandi giocatori, e Jo andò a vincere il torneo dopo avermi battuto. Mi sentivo una superstar a giocare qui, all’epoca mi vedevo ancora come un junior. Ero elettrizzato e volevo capire come giocassero i migliori. Visto adesso sembra una vita fa, ma in realtà non è passato moltissimo tempo. Di sicuro, però, vedo uno Stefanos molto diverso da quello di tre anni fa, perché imparo di settimana in settimana”.
Il match di primo turno contro il polacco, con cui ha giocato quattro volte lo scorso anno, servirà a Tsitsipas per riportare la stagione sulla retta via, dopo una sconfitta al terzo turno a Melbourne contro Milos Raonic, sorteggio peraltro sfortunatissimo contro uno che vale molto più del suo attuale ranking. E proprio a testimonianza di un approccio atto ad evitare lo stesso grado di surmenage, di sovraccarico da eccessivo allenamento, il N.6 ATP si è fermato in Australia per un paio di giorni dopo la partita, tornando solo successivamente in Francia per allenarsi. Vedremo se la sua nuova filosofia (e chi lo segue su Instagram sa che la filosofia, ancorché quella dei truismi, non gli manca) lo aiuterà a confermare successi come quello delle ATP Finals. Nel frattempo, c’è uno zero nella casella delle vittorie a Rotterdam da cancellare.