C’è un non detto che emerge tra le righe delle riflessioni sul futuro della stagione sportiva. Il calcio – se dovesse ripartire entro l’estate – lo farebbe necessariamente a porte chiuse. Un po’ viene dato per sottinteso, un po’ si cerca di tenere sotto traccia il prezzo da pagare per quello che sarebbe comunque un grande momento di ripartenza. A oggi, tutt’altro che scontato. Tra i vari pareri scientifici, è andato dritto sul tema l’epidemiologo di fama mondiale Pierluigi Lopalco, richiamato in Puglia per coordinare in questi giorni la task force per combattere il coronavirus. Con il suo parere scientifico, dovrà fare i conti anche l’ipotesi di slittamento degli Internazionali ad agosto. “Prima di ottobre penso sarà impossibile riavere gente allo stadio – ha dichiarato a Repubblica – la mia previsione è che le misure restrittive dureranno almeno fino all’estate: ci potrà e dovrà essere una mitigazione delle misure, torneremo a lavorare, a uscire, ma si dovrà fare tutto con molta calma e cautela“.
PIANETA CALCIO – Convivere con gli effetti della pandemia, quindi. Non se ne potrà fare a meno anche nei mesi che verranno, quando l’emergenza sarà cessata ma comunque sarà impossibile riportare il mondo a un punto di ripristino. Chiaramente vanno pesati gli interessi, che ogni stakeholder cercherà – sempre nella migliore delle ipotesi – di tutelare: nel calcio di vertice, il peso dei contratti televisivi (e dell’ossigeno che deriverebbe dal rispettarli) è decisamente maggiore rispetto a quello degli introiti dei biglietti. La trasmissione in TV delle partite avrebbe indiscutibilmente anche un valore sociale: uno spiraglio di normalità, qualche ora di svago per chi è stato costretto a lungo in casa. Scendendo man mano di categoria, al contrario, gli stadi vuoti diventerebbero un peso sempre meno sostenibile per le casse dei club. Che potrebbero quindi preferire una chiusura anticipata, anche per non dover sostenere altre spese da qui a fine stagione.
QUASI TABU’ – La sensazione è che nel tennis, in ogni caso, l’ipotesi porte chiuse venga discussa con meno familiarità. Probabilmente perché si posizionano lontano dall’immaginario, non essendoci mai stato bisogno di collaudarle per ragioni di ordine pubblico. Ma anche qui siamo tra spinte contrapposte: il pubblico dei tornei è sempre più globale, non riconducibile alla provenienza geografica di due sole squadre come nel calcio o in altri sport di squadra. Teoricamente, il margine di rischio negli spostamenti potrebbe aumentare. Comunque, da qualsiasi lato si voglia prenderlo, il tema sta diventando sempre più d’attualità. Prima dello stop imposto fino al 7 giugno, i tornei spagnoli – in un Paese dove il peggio, forse, deve ancora arrivare – già avevano provato a rimanere in calendario con il lucchetto alle tribune. Al contrario, da Wimbledon – a oggi, regolarmente in programma a luglio – fanno trapelare che i cancelli dell’All England Club, se torneo ci sarà, rimarranno aperti. Probabilmente, un altro esempio dell’approccio non proprio allarmistico dei giorni scorsi in territorio britannico, anche se proprio nelle ultime ore il premier Johnson ha disposto un lockdown simile a quello italiano.
FATTORE ROMA – In mezzo al guado, come accennato, c’è Roma. Che spera di poter far sponda sul rinvio dell’Olimpiade appena ufficializzato per provare a riciclarsi come torneo estivo. In quelle date il Foro Italico potrebbe aprire le sue porte (ma più difficilmente le tribune), con il piano B rappresentato invece da uno straordinario spostamento autunnale in altra sede (e su altra superficie). L’ostinazione – apprezzabile – del presidente Binaghi nel provare a non smantellare il più importante torneo italiano va letta alla luce dell’enorme importanza che gli Internazionali hanno per il bilancio federale. Il torneo romano, dall’ultimo bilancio disponibile, produce il 60% del fatturato FIT. E nell’ultima edizione ha incassato dai soli biglietti 13,2 milioni.
DUE FORZE IN CAMPO – Questo caso di studio (che ci sta a cuore) palesa nell’immediato una delle due forze in campo. I tornei, quelli in programma dopo il 7 giugno o comunque pronti a prendersi le date olimpiche, faranno tutto il possibile per disputarsi regolarmente con i tifosi. Anche a costo di bruschi slittamenti, sul modello Roland Garros. Dall’altro lato della corda c’è però il tennis inteso come organizzazione globale: ATP e WTA hanno l’interesse a ripartire prima possibile per sbloccare il meccanismo delle classifiche (più rimangono ferme, più la ricaduta diventa pesante anche sul 2021), soluzione che tutelerebbe in parallelo anche l’ampio mosaico dei diritti TV.
Non è da escludere una soluzione di compromesso. L’intenzione rimane provare a far ripartire il circuito con la stagione su erba, ma nessuna decisione verrà presa prima del mese prossimo. “La realtà è che questa situazione cambia rapidamente e non c’è altra possibilità se non affrontarla di giorno in giorno, di settimana in settimana” è il fresco punto di vista del chairman ATP Andrea Gaudenzi. Se così fosse, ipotizzare nel mese di giugno un graduale percorso che possa andare dalle porte chiuse dei primi appuntamenti a più miti forme di distanziamento sociale non sarebbe assurdo. Si potrebbe arrivare così al primo Wimbledon – il cui inizio, lo ricordiamo, è previsto per il 29 giugno – con qualche posto lasciato obbligatoriamente libero sulle tribune. Un’altra delle fotografie di questi giorni che finirebbe nei libri di storia.