Dall’10 al 17 maggio, se non fosse intervenuto il coronavirus a complicare tutto, si sarebbero giocati gli Internazionali BNL d’Italia. Per lenire un po’ la nostalgia, e sperando che il torneo possa essere recuperato quest’anno, abbiamo preparato una serie di articoli sui Sette Re di Roma da pubblicare fino a domenica, il giorno in cui si sarebbe disputata la finale. Abbiamo selezionato i sette tennisti che più degli altri hanno contribuito a scrivere la storia di questo torneo in Era Open.
Infandum, regina, iubes renovare dolorem (tu mi costringi, o regina, a rinnovare un indicibile dolore) Virgilio, Eneide, II, 3
Queste sono le parole che Virgilio fa pronunciare a Enea quando Didone gli chiede di raccontare la vicende relative alla caduta di Troia. Queste sono le parole che mi sono venute in mente (con qualche imprecisione) quando ho iniziato la stesura di questo articolo sui successi di Ivan Lendl agli internazionali di Roma.
Non per i successi in questione (due, dei quali parleremo a breve) dei quali a essere sincero ricordavo poco o nulla; bensì perché associo istintivamente il nome di Ivan Lendl a quella che per me rappresenta la seconda più dolorosa catastrofe sportiva di tutti i tempi: la sconfitta (e non la vittoria di Lendl) di John McEnroe nella finale del Roland Garros 1984; la più dolorosa sarebbe giunta 35 anni, un mese e quattro giorni dopo, ma è una storia che esula da questo contesto.
Indipendentemente dai punti di vista nessuno può negare che Ivan Lendl, soprannominato con poca fantasia ma molto appropriatamente “il terribile”, sia stato un campione tra i più importanti nell’era Open, tra i migliori quattro o cinque tennisti degli ultimi 50 anni su terra rossa e sintetico, nonché un innovatore della tattica di gioco.
Il cecoslovacco fu infatti il primo numero uno del mondo ad applicare sistematicamente uno schema definito di “attacco da fondo campo“. Borg, Vilas e i loro epigoni soprattutto sulla terra usavano i colpi di rimbalzo come arma di difesa e non di offesa; facevano della regolarità il fulcro della loro tattica; vincevano per sfinimento dell’avversario. Lendl no.
Lendl con il diritto e – da un certo punto della carriera in poi – con il rovescio sapeva chiudere il punto sfondando le difese dell’avversario dalla linea di fondo campo grazie alle impressionanti velocità e alla potenza che sapeva imprimere alla palla, prevalentemente colpita di piatto. Molti punti gli venivano anche direttamente dal servizio, colpo di ragguardevole potenza e precisione che Lendl calava dall’alto dei suoi 188 cm di altezza dopo estenuanti (per pubblico ed avversario) pause di riflessione dedicate – tra le altre cose – all’auto-sfoltimento delle sopracciglia.
A questo stile di gioco fu complice – o compagna – l’evoluzione dei materiali. Lendl apparve sulla scena professionistica proprio nel momento in cui i telai in lega metalliche stavano mandando in soffitta quelli fatti in legno, materiale con il quale Lendl semplicemente non avrebbe potuto tirare le sue proverbiali bordate di diritto.
Esaurita la premessa introduttiva veniamo al tema dell’articolo: le vittorie di Lendl agli Internazionali d’Italia. Ivan Lendl è il terzo giocatore più vincente dell’era Open alle spalle di Connors e Federer, grazie ai 94 titoli conquistati in carriera, 28 dei quali su terra rossa. Tra questi ultimi – dopo i tre successi ottenuti al Roland Garros – spiccano per importanza quelli di Monte Carlo, Madrid, Amburgo e Roma.
A Roma, nell’arco di 17 stagioni comprese tra il 1978 e il 1994, l’ex cecoslovacco si presentò ai nastri di partenza per otto volte. Lo specchietto che segue riassume l’esito delle sue fatiche romane:
ANNO | 1979 | 1980 | 1981 | 1986 | 1987 | 1988 | 1992 | 1993 |
RISULTATO | R16 | QF | SF | V | R16 | V | 2T | 1T |
Dagli ottavi del 1979 Lendl passò ai quarti l’anno successivo e arrivò in semifinale nel 1981 dove si arrese a un giocatore che potremmo definire un Basilashvili ante litteram ma molto più forte: Josè Luis Clerc. Il picchiatore argentino si tolse anche il lusso di vincere un set senza concedergli un gioco per poi riservare in finale la medesima cortesia ad un altro sudamericano: Victor Pecci.
Dopo un ottavo, un quarto e una semifinale era lecito per progressione aritmetica attendersi da lui una vittoria; vittoria che infatti giunse, ma dopo quattro anni di assenza dall’Italia. Lendl non ebbe mai un buon rapporto con il pubblico in generale e con quello italiano in particolare, che già dalla sua prima apparizione risalente alla Davis del 1979 – quando subì da Adriano Panatta un duplice, mortificante “sei zero” nel terzo e nel quarto set – lo aveva preso in antipatia.
Nel maggio del 1986 Ivan Lendl decide comunque di tornare a Roma; all’epoca aveva 26 anni, occupava da oltre otto mesi la prima posizione del ranking mondiale ed era la prima testa di serie del torneo. Il 18 maggio superò in finale Emilio Sanchez con il punteggio di 7-5 4-6 6-1 6-1 al termine di quasi tre ore di gioco.
Rivedi la finale per intero: prima parte – seconda parte – terza parte
La partita di gran lunga più bella del torneo e per Lendl più impegnativa fu però quella che lo vide impegnato in semifinale contro un avversario che per caratteristiche tecniche e caratteriali era il suo esatto opposto e con il quale correva pessimo sangue: Yannick Noah. Lendl annullò un match point al francese con un ace sul punteggio di 4-5 nel terzo set e infine la spuntò al tie break. A proposito di quel match vi rimandiamo ad un articolo che pubblicammo alcuni anni fa e che descrive molto bene il clima nel quale si svolse.
L’anno successivo Lendl si arrese al terzo turno a Joakim Nystrom ma, considerando che nei quarti di finale Gioacchino (copyright Gianni Clerici) dovette poi affrontare e battere il connazionale Kent “il diavolo” Karlsson nella partita forse più noiosa di tutti i tempi, è forse più corretto scrivere che il ceco inflisse allo svedese una vittoria.
L’appuntamento con Karlsson era però rimandato solo di un anno. Nel 1988 Lendl – ancora saldamente al primo posto della classifica ATP e reduce da una sosta di due mesi per un problema al piede – se ne liberò piuttosto facilmente in semifinale con un duplice 6-3 per poi vedersela in finale con un diciottenne argentino dalla mano pesante quanto quella di un suo omonimo connazionale campione di boxe.
Il diciottenne tennista in oggetto era Guillermo Perez Roldan il cui record dice tutto sulle sue attitudini: nove tornei vinti e undici persi in finale; tutti su terra rossa. Come sopra detto Lendl non era in perfette condizioni fisiche, ma non c’è dubbio che indipendentemente da questo Perez Roldan si rivelò per lui un avversario durissimo che – sospinto dal tifo calcistico a favore di circa il 99.9% degli spettatori – lo costrinse a rimanere in campo per 4 ore e 37 minuti prima di trionfare con il punteggio di 2-6 6-4 6-2 4-6 6-4.
Rivedi la finale per intero: prima parte – seconda parte – terza parte
Il successo del 1988 non fu ripetuto.
Dopo una pausa di tre anni il Foro Italico rivide una sbiadita imitazione di Lendl nel 1992 e una ancora più incolore nel 1993 quando al primo turno un onesto mestierante dell’argilla – l’uruguaiano Marcelo Filippini – lo accompagnò all’uscita del torneo e della storia degli Internazionali d’Italia lasciandogli la miseria di tre game. Il “terribile” non faceva più paura a nessuno.