Abbiamo sognato e i sogni stavolta non si sono realizzati. Ma hanno vinto i più forti, Rafa Nadal e Iga Swiatek. È la legge dello sport. Tuttavia non ci possiamo davvero lamentare di questo Roland Garros. Non avevamo avuto due azzurri nei quarti che nel ’73 (Panatta e Bertolucci) e nel 2011 (Fognini e Schiavone), ma in semifinale c’erano andati solo Adriano e Francesca (che, campionessa in carica, sarebbe approdata alla finale persa con la Li Na).
Nel video realizzato stamattina ho già detto cosa penso delle due partite dei ragazzi italiani, Jannik Sinner e Martina Trevisan, e li ho ringraziati pubblicamente per averci fatto divertire e sognare. Si sono battuti ai limiti delle loro possibilità, anche se in cuor loro entrambi penseranno di aver mancato qualche opportunità per far meglio e sarà loro dispiaciuto di non aver vinto neanche un set. Sinner per aver servito invano sul 6-5 del primo set e per essere stato in vantaggio di un break, 3-1, nel secondo. Martina per essere stata in vantaggio anche lei per 3-1, nel primo set, prima di subire una striscia negativa di otto game consecutivi all’interno dei quali però per due volte si è trovata 15-40 sul servizio di Swiatek.
E il sogno continua anche se a giocare le semifinali saranno il solito Nadal, che ha celebrato battendo Sinner la sua centesima partita al Roland Garros – ne ha perse solo 2 e ha vinto 292 set – e il per nulla solito Schwartzman. L’argentino venendo a capo del campione dell’US Open Thiem alla fine di una maratona incredibile e rocambolesca di 5 set e 5 ore e 8 minuti, ha conquistato in un colpo solo – anzi, per la verità in un migliaio di colpi e centinaia di corse – la sua prima semifinale in uno Slam, per la prima volta un posto tra i top-ten e per la seconda volta lo scalpo di un top-five dopo averci perso 24 volte su 24 fino a che a Roma due settimane fa non batté per la prima volta Rafa Nadal.
Lo dovrà affrontare nuovamente venerdì e forse con un pizzico di fiducia in più (se le gambette non gli faranno ancora male). “Ma Rafa qui è il re!” ha messo le mani avanti l’argentino al quale ci sono almeno due persone che chiedono il favore di “matare” Nadal: Federer che guarda le partite dal salotto di casa sua e Djokovic che vorrebbe dapprima prendersi oggi la rivincita su Carreno Busta che ha osato dire che a New York non si sentiva affatto battuto in partenza (“In fondo ero avanti io 6-5 e servizio… quando c’è stato l’incidente di Nole con la giudice di linea”), poi domare chi vincerà fra i giovani leoni rampanti Rublev e Tsitsipas e, infine, evitare di imbattersi nello spauracchio Nadal in finale.
Certo Thiem rimpiangerà di non aver chiuso il match in quattro set, ma è anche vero che sul 5-4 “El Peque” – che è comunque più alto di Maradona – aveva avuto tre setpoint consecutivi e di andare almeno al quinto set se lo meritava proprio. Thiem, che del decimo argentino capace di conquistare una semifinale a Parigi (cito a memoria Vilas, Clerc, Nalbandian, del Potro, Coria, Gaudio…) è grande amico ha detto alla fine con grande sportività, e dopo averlo abbracciato sul campo a sprezzo del COVID: “Diego ha meritato di vincere”.
Perché allora il sogno azzurro continua? Perché Sinner ha 15 anni meno di Nadal e a 19 anni non si può fare meglio di quanto ha fatto contro il miglior “terraiolo” di tutti i tempi. Chiunque abbia visto il match se ne sarà reso conto. Per le prime due ore, fino al 6-7 e 4 pari ha giocato meglio di Rafa, costretto ad impegnarsi allo spasimo e a caricarsi come quando sente che può anche perdere. Jannik ha perso per una pura questione di inesperienza, di difficoltà a concretizzare le opportunità favorevoli. E sul 4 pari 40-15 è stato anche parecchio sfortunato. Un net clamoroso e vincente di Nadal gli è praticamente costato il break del 5-4. E anche nell’ultimo game il nastro gli è stato nemico perché gli ha bloccato un dritto forse vincente.
Che però Sinner sia qualcosa di più di una promessa credo si possa sostenerlo ragionevolmente con chiunque. Del resto lo pensano tutti i campioni che si sono espressi sul suo conto. Ma come dice Piatti occorre aver pazienza. Un paio d’anni? Chissà, potrebbe bastarne anche uno solo.
Quanto a Martina siamo onesti: aveva fatto anche troppo. Da n.159 si ritrova adesso a n.83 e con il diritto di entrare nei tabelloni degli Slam, con un conto in banca finalmente importante, 283.000 euro cui potrà aggiungere come minimo i premi spettanti agli sconfitti nei primi turni di un paio di Slam, forse anche tre perché pesanti cambiali da pagare fino al luglio 2021 non ne ha. 150.000 euro in più? Io credo che lei abbia il talento per non accontentarsi più di un semplice primo turno, ma per fare più strada, anche se non quanto Swiatek cui è facile pronosticare un avvenire da top-ten. Aggiungo che Swiatek, pur più giovane di Martina, aveva molto più gare di livello alle spalle, molta più esperienza. Martina, che avrà sofferto non poco anche la lunghissima attesa (“Avevo mangiato e mi sono riscaldata tre volte aspettando la conclusione di Scwartzman-Thiem… sembrava potesse finire in 4 set”) dovrà lavorare duro con il suo coach Catarsi –nomen omen – per migliorare l’efficacia del servizio, soprattutto in termini di percentuale di prime palle.
Il suo non è un caso Errani, sia chiaro. Anzi, da mancina quando batte nei punti dispari può giocare traiettorie esterne per nulla banali. Può buttare le avversarie fuori dal campo e aprirsi spazi vincenti, o anche rifugiarsi in bei kick quando la palla rimbalza più che su terreni pesanti come quelli di questa Parigi quasi invernale, con 9 gradi e un’umidità da portar via. Inciso: Nadal, sceso in campo alle 22:39 davanti a non più di 300 persone che alla fine saranno state sì e no un’ottantina, ha detto: “Non mi ha dato tanta noia lo scendere in campo così tardi, anche se l’idea di programmare cinque incontri sul centrale era un rischio e lo si poteva immaginare, quanto il freddo che faceva. È facile farsi male in certe condizioni…”. Per uno che aspira a conquistare qui il ventesimo Slam e a eguagliare Roger Federer sarebbe una bella beffa, in effetti, fermarsi per qualche dolore muscolare.
Ma, riprendo un concetto accennato sopra, si può sognare
azzurro, io credo, anche grazie a Lorenzo Sonego che ha fatto vedere contro
Fritz di essere un ottimo tennista, anche se non un top-ten come Schwartzman. E
sono persuaso che anche Berrettini, con il servizio e il dritto che si
ritrova, possa confermarsi sui livelli che gli hanno permesso di salire così in
alto. In Italia, soprattutto dacché siamo infestati dai leoni da tastiera
che imperversano sui social, si fa presto a demolire chi subisca una sconfitta,
come a esaltare chi vince due o tre partite. Il computer non capisce di tennis,
come diceva sempre Rino Tommasi, ma la classifica non te la regala. E quella classifica
non la si costruisce con due o tre risultati, ma lungo tutto un anno.
Questo è stato un anno molto particolare, non tutti sono stati capaci di
allenarsi come avrebbero voluto e di fare i progressi necessari per restare ai
vertici delle classifiche mondiali. Berrettini, poi, a mio avviso non ha
nulla da rimproverarsi se ha perso al Masters di Cincinnati-New York da un
Opelka che giuro non avevo mai visto servire così bene, a New York da un Rublev
che vale certamente la top-ten e non a caso ha vinto Amburgo, mica il torneo di
Cincirinella, e quindi ci possono perdere in tanti, tantissimi. (Inciso: già
oggi Rublev concede la rivincita del match vinto in finale dieci giorni fa
rimontando da 3-5 al terzo). Poi a Roma Matteo ha perso da quel Ruud che tutti valutano
un top-ten della terra rossa o giù di lì. Quindi alla fin fine… ok, il romano
ha perso da questo Altmaier che per via della sua modestissima classifica
(dovuta agli infortuni di cui è stato vittima e non perché non sappia giocare a
tennis assai bene) è sembrato ai non addetti ai lavori un disastroso passo
falso. Io, che Altmaier non lo avevo mai visto giocare – colpa mia! In
Italia ha giocato a Todi, Trieste, Cordenons… con alterne fortune – pensavo
superficialmente che Matteo avrebbe vinto a spasso.
Ma dopo aver visto la partita, che Matteo ha giocato spento e privo di ogni reattività come non lo avevo mai visto, mi sono ricreduto sul conto di questo Altmaier che ha un rovescio a una mano che mi ha ricordato quello di Guga Kuerten, più ancora che quello del suo idolo Stan Wawrinka. Insomma, i soliti facili fustigatori depongano la frusta e abbiano fiducia. I tennisti che ho appena citato, più alcuni di quelli che stanno giocando l’interessante challenger di Parma – Musetti su tutti – ci daranno altre soddisfazioni… se non pretendiamo subito la luna, dopo aver visto per 40 anni soltanto “the dark side of the moon”.