Un lettore genovese ci scrive: “leggendo il pezzo più recente sulla classifica ATP mi sono posto una domanda: ma il primo statunitense in classifica chi è? In che posizione si trova? Quando ho scoperto che è John Isner al numero 23 ho pensato: sic transit gloria mundi. Quando ero ragazzo io (all’epoca del Congresso di Vienna) gli Yankees dominavano in lungo e in largo insieme agli australiani, che mi sembrano a loro volta in disarmo. È solo una mia sensazione? Se non lo è, quali potrebbero essere le cause del declino? Potreste scrivere qualche cosa su questo argomento”.
Poiché ci sembra che l’argomento possa essere di interesse comune, abbiamo deciso di cogliere questo invito e provare almeno a dare una risposta alla prima parte della domanda partendo da alcuni dati statistici ricavati dalla:
- classifica fondativa dell’attuale sistema;
- prima classifica dei quattro decenni successivi agli anni ’70;
- classifica più recente.
Ecco il risultato:
Facciamo subito una prima osservazione. Il primo rapporto globale pubblicato dall’ITF nel 2019, alla cui elaborazione hanno contribuito 195 federazioni nazionali, dice che nel mondo ci sono circa 87 milioni di praticanti (2 in Italia); nelle zone di nostro interesse la distribuzione numerica è la seguente:
USA | EUROPA | AUSTR. | |
N. praticanti (milioni) | 18 | 27 | 2,3 |
di cui uomini | 8,2* | 16 | 1,4 |
* unica nazione al mondo in cui le praticanti superano i praticanti.
Di seguito, le altre osservazioni:
Attualmente, in Europa, ogni 235.000 bipedi di sesso maschile c’è quindi statisticamente un tennista presente nella top 100; in Australia uno ogni 280.000; negli Stati Uniti uno ogni 911.000 (numeri sui quali crediamo sia opportuno riflettere, cari genitori e cari ragazzi, quando siete sul punto di decidere se provare a intraprendere o meno la strada del professionismo).
IL DECLINO USA
Nel 1973 gli Stati Uniti occupavano 23 delle prime cento posizioni e 6 delle prime venti; all’inizio del decennio successivo la sua superiorità sul resto del mondo era schiacciante. Negli ultimi trent’anni, però, tale superiorità è venuta progressivamente a mancare, prima sotto il profilo quantitativo e poi qualitativo: l’ultimo statunitense a occupare la prima posizione mondiale è stato Andy Roddick il 26/1/2004 e l’ultimo top ten John Isner il 27/01/2019.
Le nuove leve non lasciano presagire l’avvento di un imminente Rinascimento tennistico statunitense; tra i nove giocatori oggi presenti nella top 100 il più giovane è Frances Tiafoe che compirà 23 anni il prossimo gennaio e che occupa la posizione numero 63. Il teenager meglio posizionato in classifica è il diciannovenne Brandon Nakashima al numero 203 e il secondo è il suo coetaneo Jenson Brooksby al numero 299; il terzo gradino del podio è occupato da Govind Nanda, numero 709. Con questi presupposti sarà difficile per i nord-americani rendere più cospicuo il numero di vittorie in Coppa Davis fermo a 32 dal 2007.
AUSTRALIA? NON VA TROPPO MEGLIO
L’Australia non si può ancora definire una nobile decaduta dal momento che in tempi non remoti vantava il miglior giocatore del mondo: LLeyton Hewitt il 12/05/2003; Hewitt è stato anche l’ultimo australiano a fare parte della Top 10 nel mese di luglio del 2006. Tuttavia possiamo considerare remoti i tempi in cui questa nazione contendeva agli Stati Uniti lo scettro di padrona del tennis mondiale. Per dare un’idea più compiuta di ciò che l’Australia rappresentò in passato per il tennis basti dire che tra il 1950 e il 1967 conquistò la coppa Davis per 15 volte (le restanti 3 gli USA); dal 1973 ad oggi gli allori sono stati complessivamente sei con l’ultimo colto nel 2003. Per il futuro più prossimo gli australiani possono contare sul ventunenne numero 29 del ranking Alex de Minaur e sulla voglia di giocare di Nick Kyrgios attualmente appisolato sulla poltrona numero 43; per quello più lontano, in piccola parte, su Alexei Popyrin, coetaneo di de Minaur ma più acerbo ad alti livelli e in gran parte sulla Divina Provvidenza dal momento che il teenager australiano meglio classificato è il diciannovenne Hijkata al numero 672.
I numeri ci dicono che l’Europa dal ’73 ad oggi ha camminato su sentieri opposti a quelli percorsi dall’Australia; all’inizio degli anni ’80 il tennis maschile del Vecchio Continente attraversava un periodo di forte crisi dal quale ha saputo brillantemente risollevarsi. Per quanto riguarda il nostro Paese, le ragioni sottostanti la ripresa sono già state esposte in un altro articolo; dal mese di febbraio del 2004 il Vecchio Continente occupa senza soluzione di continuità la prima posizione del ranking.
A livello di squadra dall’inizio del nuovo millennio le rappresentanti europee hanno alzato la Coppa Davis per 16 volte su 19 edizioni disputa. All’orizzonte non appaiono alternative credibili a questa dittatura sportiva; tra i giovani solo Shapovalov (peraltro extra-europeo solo per adozione) pare avere le potenzialità per potersi aspirare ai massimi allori. Allargando l’analisi ai giovanissimi – ovvero ai primi dieci tennisti in classifica tra coloro che non hanno ancora compiuto vent’anni – la musica non cambia dal momento che sei di loro sono europei, inclusi i tre più promettenti. Di questi, come è ormai noto, i primi due sono italiani.
Al successo del tennis europeo stanno da tempo dando un significativo contributo i Paesi appartenenti al blocco dell’ex Unione Sovietica; attualmente sono 19 i rappresentanti di queste nazioni presenti nella Top 100 e sono così distribuiti:
- 5 Serbia
- 3 Russia
- 2 Ungheria
- 2 Croazia
- 1 Slovenia
- 1 Polonia
- 1 Moldavia
- 1 Lituania
- 1 Repubblica Ceca
- 1 Bielorussia
- 1 Bulgaria
Al termine di queste osservazioni crediamo di poter affermare che le sensazioni del lettore genovese siano state ampiamente confermate. Resta però irrisolta la seconda parte della domanda che ci ha posto, ovvero la più importante: se davvero USA e Australia sono in declino,quali ne sono le cause?
Il Direttore e il suo sodale Steve Flink dall’alto della loro profonda conoscenza dei massimi sistemi tennistici potrebbero porla al centro di uno dei loro futuri dialoghi e provare a dare una risposta.
Noi umili scribi della redazione – privi di tali conoscenze e consci del fatto che la visione che si trae dai numeri che abbiamo presentato è parziale dato il campione limitato preso in esame – speriamo che il nostro lavoro possa almeno offrire qualche interessante spunto di riflessione.