Prosegue la serie di pezzi di Ubitennis dedicata al tennis americano. Dopo il contributo di Mark Winters, questa volta è l’amico del sito e Hall of Famer Steve Flink a cercare di rispondere a diversi quesiti: perché non ci sono più giocatori americani in cima alle classifiche ATP? C’è luce in fondo al tunnel? Questo e altro nel video.
00:00 – Ubaldo: “Il miglior giocatore americano, Isner, ha 35 anni ed è fuori dai top 20 del ranking e l’unica vera promessa sembra essere il diciannovenne Brandon Nakashima (per quanto Korda, ndr…). Questo potrebbe essere il punto più basso per il loro tennis maschile”. Steve: “I fatti sono chiari così come era chiaro da moltissimo tempo quale fosse la tendenza. Vorrei dire una cosa, però. Credo che ci siano un po’ più giocatori che potenzialmente potrebbero esplodere. Credo che Taylor Fritz abbia una possibilità, anche se ha deluso quest’anno”.
02:30 – Ubaldo: “Quando il ranking è stato introdotto, c’erano 23 giocatori americani nei primi 100, sei nella top 20 e tre nella top 10. Oggi abbiamo soltanto 9 statunitensi nei 100 e zero tra i primi 10 e 20. Quali sono le ragioni principali?”. Steve: “Credo che il vero punto di svolta in negativo per il tennis americano ci sia stato quando la generazione di Sampras, Agassi, Courier e Chang (con l’aggiunta anche di Martin e Washington) ha dominato gli anni 90. A loro sono succeduti Roddick e Blake, poi il nulla. Non so se sia stato il nostro sistema che è calato o i grandi miglioramenti fatti nelle altre nazioni. Ci sono atleti da tantissimi Paesi ora, lo sport è più popolare. Noi facciamo fatica a portare i nostri migliori atleti verso il tennis piuttosto che verso il basket, il football o il baseball, dove hanno maggiori chance di guadagno”.
06:10 – Ubaldo: “Vorrei sapere se il denaro è il fattore principale per cui gli statunitensi provano prima altri sport, magari anche perché nel tennis soltanto i primi 100 guadagnano discretamente”. Steve: “Sì, i tennisti, se arrivano ad un certo livello, trovano degli sponsor e guadagnano fuori dal campo, ma un sacco di giocatori non hanno questa possibilità e devono arrangiarsi con i premi, mentre gli atleti di baseball, basket, football e hockey vengono contrattualizzati, spesso su basi pluriennali, dalle squadre. Questo certamente attrae di più molti dei nostri giovani”.
07:40 – Ubaldo: “In Europa lo sport principale è il calcio e almeno 6000, forse anche 8000 atleti europei giocano nei campionati principali e guadagnano più di 300.000 euro l’anno. C’è una grandissima differenza tra il riuscire ad essere uno di quei 6000 calciatori e uno dei primi 100 tennisti al mondo, il primo è certamente un cammino più facile. Penso che in America ci sia una situazione simile con i quattro sport principali. Ho l’impressione che l’USTA non abbia un buon sistema per aiutare i giocatori giovani ad emergere, altrimenti ci dovrebbe essere una base di giocatori di buon livello che invece non c’è. In Italia, ad esempio, le cose hanno cominciato a cambiare quando la FIT ha deciso di aiutare anche coloro che hanno allenatori privati. Mi chiedo se questo avvenga anche negli Stati Uniti o se la USTA privilegi soltanto i propri centri federali, senza aiutare i giovani che hanno percorsi differenti”.
12:16 – Steve: “Da noi ci sono moltissimi centri di allenamento federali, il principale ad Orlando, e molti allenatori che seguono giocatori importanti. Ma non sono sicuro che il problema siano loro. Il programma di sviluppo per i giovani è stato creato nella seconda metà degli anni 80, quando Connors e McEnroe hanno iniziato a calare. Poi in pochi anni è uscito quel gruppo con Sampras, Agassi, Chang, ma questo aveva probabilmente poco a che fare con il programma federale, semplicemente loro erano ottimi giocatori. In parte questo è un fenomeno ciclico, arriverà un momento in cui noi avremo un buon gruppo di giocatori come quelli che avete ora in Italia. Sono rimasto sorpreso della piega che il nostro tennis ha preso dopo l’addio di Roddick e non so bene se sia a causa del nostro sistema, o semplicemente dovuto al miglioramento delle altre nazioni, dove il tennis ha una priorità più alta”.
14:00 – Ubaldo: “Tutti quei nomi che hai citato prima, Sampras, Agassi, Chang, sono tutti figli di immigrati, molto motivati. In Italia abbiamo avuto un gruppo di ottimi giocatori, Panatta, Barazzutti, Bertolucci, che provenivano da famiglie modeste e avevano forse maggiore motivazione rispetto ad altri più agiati. Questo conta. Oggigiorno negli USA e anche in Europa le famiglie benestanti non spingono i loro figli a dedicarsi sei ore al giorno ad un unico sport, preferiscono che pratichino tre o quattro attività diverse e quindi, se hai queste origini, è più difficile dare tutto te stesso per diventare un tennista”. Steve: “È un punto molto valido, quello della fame e del bisogno di avere successo, credo che abbia senz’altro un ruolo. Ma qui, con tutte le strutture di allenamento messe in piedi dalla USTA, ci si aspetterebbe di vedere emergere dei giocatori che possiedono quella dedizione, quell’ossessione di emergere. Ecco, forse è proprio l’ossessione di emergere che manca, ma non so il motivo”.
18:42 – Ubaldo: “Forse non ci sono abbastanza incentivi. In America più che altrove il denaro è molto importante. Mark Winters ritiene che i giovani americani non abbiano abbastanza fame, che quando dicono di stare lavorando molto, siano più parole che fatti. Sei d’accordo?” Steve: “Io rispetto molto Mark e suo ruolo nello sviluppo della generazione di cui abbiamo parlato prima, che continua oggi nell’Associazione della California del Sud. Non so se sono d’accordo, ma credo lui sappia quello che dice”.
20:40 – Ubaldo: “La politica spesso è importante nello studiare il sistema, gli incentivi e i metodi per aiutare i giovani. Perché oggi, a differenza di venti o trent’anni fa, se non sei un grande talento, riesci ad arrivare a vivere economicamente di tennis soltanto attorno ai 23-25 anni. Chang, Wilander e Becker, invece, sono diventati ricchi a da teenager. Se inizi a competere attorno ai 10-12 anni, prima di riuscire a guadagnare abbastanza per mantenere te stesso e il tuo team, devi lavorare e allenarti per una dozzina d’anni”.
22:35 – Steve: “C’è un altro fattore. Una volta a 30 anni un giocatore pensava di avere già dato. Oggi la generazione attuale sta dimostrando che le carriere possono durare molto di più nella parte finale. Federer sarà ancora della partita a 40 anni”. Ubaldo: “Vero, ma questo non aiuta la creazione di nuovi giocatori. Una volta che sei arrivato, rimani in vetta più a lungo e continui a guadagnare, ma il problema è che, se non sei economicamente indipendente e i tuoi genitori non sono ricchi, non ti puoi permettere di aspettare i 12 o 14 anni necessari per arrivare ad un buon livello”.
24:15 – Ubaldo: “Le federazioni nazionali dovrebbero trovare il modo di aiutare i giovani per questi 12-14 anni, finché costruiscono la propria carriera. Qui è dove è importante la politica. In Italia la situazione è molto critica per tutte le federazioni sportive, perché le persone nelle poltrone importanti vogliono rimanerci per sempre. Ed è sbagliato a mio parere. Ma è anche sbagliato ciò che accade nella USTA, dove si cambia presidente ogni quattro anni e manca la continuità. Se una persona rimane al proprio posto per quattro anni, non ha alcun interesse a costruire un sistema che durerà molto più a lungo della sua carica”. Steve: “Sì, ma noi abbiamo anche i direttori esecutivi che possono fare più attenzione allo sviluppo dei giocatori rispetto al presidente, perché rimangono al loro posto per più tempo. Ma hai ragione nel dire che il sistema è problematico in riferimento alla leadership”.
26:50 – Ubaldo: “Quante sono le persone davvero responsabili del tennis americano, a parte il presidente della USTA?” Steve: “I direttori esecutivi stanno al loro posto a lungo. Non so se abbiano contratti per un numero preciso di anni, ma rimangono lì molto tempo e questo dà loro la possibilità di pensare di più ai giocatori, ai giovani e a portare il tennis statunitense di nuovo al livello in cui tutti vogliamo che torni”.
27:45 – Ubaldo: “Hai idea di quanti soldi siano investiti in questi settori? Immagino che avere gli US Open, un’autentica fabbrica di soldi, sia importante per avere risorse da redistribuire”. Steve: “Non ho le cifre precise, ma so che gli allenatori federali sono pagati molti soldi, non c’è dubbio che investano molto. Si è dovuto fare qualche aggiustamento a causa della pandemia, ma fino a quest’anno, il problema non credo fossero le risorse. Il fenomeno è in parte inspiegabile, per me: abbiamo ottimi allenatori e programmi molto buoni e, malgrado la fuga dei giovani verso altri sport, ci sono sempre numerosi giovani promesse. Sul perché non siano diventati dei nuovi Andy Roddick, non lo so. Davvero”.
30:27 – Ubaldo: “La situazione di un allenatore che riceve un salario fisso da una federazione indipendentemente dai giocatori che riesce a produrre è molto differente rispetto alla situazione europea, in cui molti team privati iniziano praticamente senza soldi e investono su sé stessi facendo una scommessa. È una grossa differenza in termini di motivazione e la fame degli allenatori diventa anche la fame dei giocatori. Non so se gli allenatori federali che hai nominato tu abbiano o meno lo stipendio garantito senza riguardo ai loro successi, né se in America ci siano team privati o magari dei genitori che investono, come nel caso del padre di Sofia Kenin o di Stefano Capriati [padre di Jennifer, ndr]. Mi chiedo se negli USA queste realtà, genitori che investono nei loro figli come il padre delle Williams ci siano ancora”. Steve: “In molti casi ci sono. Credo che questo ci riporti alla vecchia questione se i campioni lo siano per nascita o possano essere costruiti. La verità è che è un qualcosa che viene da dentro”.
35:15 – Steve: “Oggi ci sono anche diverse ragazze eccellenti, come Madison Keys o Sloane Stephens, che si sono formate negli stessi programmi di cui parlavamo prima. In generale il tennis femminile oggi è a livello più alto di quello maschile”. Ubaldo: “Ma allora dobbiamo capire il perché tra i migliori teenager ci sono soltanto Nakashima e Brooksby…”. Steve: “Guarda, davvero non riesco a trovare un senso. Alcuni atleti, come Isner, giocano al college e vengono fuori più tardi, forse questo è parte del motivo per cui noi non abbiamo giovani come Sinner. Ma davvero, me lo sto chiedendo da 15 anni e non riesco a trovare molte valide spiegazioni, se non che potrebbe cambiare tutto in breve tempo. Nei prossimi anni, quando meno ce l’aspettiamo, potrebbero uscire improvvisamente tre giocatori che oggi hanno meno di 16 o 14 anni e di cui non sappiamo ancora nulla. Sul finire degli anni 80 nessuno si aspettava che quel gruppo di giocatori fosse anche solo lontanamente così forte come poi è stato. Non ho perso la speranza”.
39:10 – Ubaldo: “Un tempo negli USA avevate i college che costruivano i campioni del futuro, non soltanto americani, perché c’erano anche giocatori stranieri che venivano a giocare là. Oggi, i giocatori non vogliono attendere così tanto e non pensano nemmeno di poter diventare buoni giocatori dopo il college, a 24-25 anni e quindi non ci provano nemmeno…”. Steve: “Quello che cercavo di dire prima è che penso che alcuni dei giovani oggi, guardando a Federer, Nadal, Djokovic, ma anche Wawrinka e molti altri, che giocano alla grande ben oltre i trent’anni, potrebbero fare valutazioni differenti. Potrebbero pensare di avere la possibilità di andare al college, finirlo a 22 anni e avere ancora a disposizione 10-15 anni di tennis professionistico davanti a sé”. Ubaldo: “In quel caso servirebbero due fattori concomitanti. Primo, un ragazzo maturo ed intelligente, paziente abbastanza e senza la fretta di far soldi. Secondo, l’organizzazione del college e l’aiuto che la USTA dovrebbe dare agli istituti che sviluppino un buon programma”.
42:20 – Ubaldo: “Negli USA non si possono dare incentivi in denaro agli atleti di college non professionisti, ma bisognerebbe trovare un sistema per garantire un sostegno ai ragazzi al termine dei loro studi. Magari a quelli che riescono ad entrare tra i primi 50 o 80 del mondo, cosicché i giovani studenti avrebbero la motivazione per raggiungere un certo traguardo”. Steve: “Mi piace quest’idea di sostegno ai college e credo sia qualcosa a cui si sta pensando in questo momento, soprattutto visto che l’età del tennis competitivo si sta alzando”.
44:15 – Ubaldo: “Hai detto che credi che ci si stia pensando, ma non lo sappiamo per certo. Io, te o Mark Winters potremmo provare a chiedere o a lanciare la proposta, magari parlando con Stacey Allaster o qualcuno che possa risponderci”. Steve: “Mi piace l’idea. Penso che potrò senz’altro mandare una mail a Stacey Allaster e chiederle di venire a parlare con noi. Perché persone come lei sanno esattamente cosa sta succedendo. Così magari riusciremo ad avere delle risposte”.
47:00 – Ubaldo: ”Da italiano non dovrei nemmeno avere troppo interesse nel promuovere il tennis americano, ma sarebbe un’ottima cosa per il nostro sport se qualche giocatore australiano o statunitense fosse in grado di vincere il proprio Slam di casa”. Steve: “Sono d’accordo, è molto importante che un giocatore americano maschio riesca ad emergere, almeno per essere della partita. Più o meno come accadeva ai tempi di Roddick: ovviamente Federer era migliore di lui, ma era divertente guardarli affrontarsi. C’è bisogno di un miscuglio di nazioni diverse. Qualche americano in mezzo al gruppo aumenterebbe la popolarità del tennis nel nostro paese, ma anche a livello globale, perché il pubblico di tutto il mondo è abituato a vedere giocatori statunitensi di successo”.
48:15 – Ubaldo: “E anche per quanto riguarda il tennis australiano… è un peccato che due nazioni con così tanta tradizione e cultura siano praticamente scomparsi dalle prime pagine. Oltretutto, gli esempi sono importanti. Dopo Borg, altri tre svedesi hanno raggiunto la top 10, a Becker, Graf e Stich sono seguiti i vari Tommy Haas e Kiefer. Ad oggi, sembrano uscire nuovi giocatori croati e serbi quasi giornalmente. Ma c’è anche del lavoro che deve essere fatto dietro le quinte e dovremmo capire cosa stiano facendo gli USA e l’Australia per fermare questo declino”. Steve: “È vero, gli australiani hanno avuto i maggiori successi quando il gioco era prevalentemente su erba, anche se poi sono arrivati Hewitt e Rafter, che erano probabilmente migliori sui campi duri”.
Ubaldo: “Be’ gli altri Paesi, a parte forse il Regno Unito, praticamente non avevano campi in erba, e infatti era normale che americani e australiani dominassero quell’epoca. Ma oggi, che il 75% del tennis è giocato su campi duri, non c’è alcuna ragione per cui Stati Uniti e Australia non abbiano giocatori in Top 20. È una questione di denaro, incentivi, e anche background sociali, se famiglie non ricche preferiscono mandare i loro figli a praticare sport dove è più facile arrivare a guadagnare. Potremmo discuterne con Stacey Allaster, non da politici, ma come interessati al benessere del nostro sport”. Steve: “Sì, e potremmo magari anche parlare con John Newcombe, per sapere un po’ della situazione in Australia”.
Traduzione a cura di Filippo Ambrosi