Per chi fosse interessato, i dati completi sui Top 100 possono essere consultati qui
Ormai è stato scritto ad nauseam, ma a pochi giorni dall’inizio di un nuovo anno di tennis occorre tirare fuori di nuovo il truismo: la stagione 2020 è stata unica nella storia del gioco, e per certi versi non è stata una stagione ma due, visto il baratro di cinque mesi solcato dal coronavirus fra marzo e agosto. Il blocco ha causato una temporanea riforma del ranking, che ha un po’ gattopardescamente assicurato la permanenza al top anche a chi, per vari motivi, non è sceso in campo alla ripresa o ha reso al di sotto delle aspettative, offuscando parzialmente la natura competitiva e meritocratica delle classifiche – a scanso di equivoci, non si tratta di una critica, il modello scelto è stato il migliore possibile date le circostanze.
Per questo motivo, è interessante guardare a chi ha fatto meglio tra agosto e novembre, così da vedere quali possano essere le gerarchie attuali del gioco e se i risultati degli ultimi mesi possano avere un valore predittivo per il 2021, soprattutto in termini di attendibilità. Per fare una valutazione si sono scelti tre valori: percentuale di vittorie, vittorie totali e punti totali.
I DATI
Di seguito si possono vedere i 15 giocatori con la più alta percentuale di vittorie sull’ATP Tour da agosto a novembre, con fra parentesi i tornei in cui hanno vinto più della metà delle partite giocate:
- Djokovic 82,14 (Cincinnati, US Open, Roma, Roland Garros)
- Rublev 78,79 (US Open, Amburgo, Roland Garros, San Pietroburgo, Vienna)
- Zverev 78,57 (US Open, Roland Garros, Colonia 1, Colonia 2, Bercy)
- Nadal 77,78 (Roma, Roland Garros, Bercy)
- Medvedev 76,92 (Cincinnati, US Open, Vienna, Bercy, Finals)
- Thiem (US Open, Roland Garros, Vienna, Finals) e Raonic (Cincinnati, US Open, San Pietroburgo, Anversa, Bercy) 76,19
- Sinner 72,73 (Roma, Roland Garros, Colonia 2, Sofia)
- Hanfmann 70 (Kitzbuhel)
- Bautista Agut 68,75 (Cincinnati, US Open, Amburgo, Roland Garros, Colonia 1)
- Humbert (Roma, Amburgo, Anversa, Bercy) e Carreno Busta (US Open, Roland Garros, Bercy) 66,67
- Davidovich Fokina (US Open, Colonia 1, Colonia 2, Bercy) e Dimitrov (Roma, Roland Garros, Vienna) 64,7
- Tsitsipas 64 (Cincinnati, US Open, Amburgo, Roland Garros)
La parola d’ordine qui è continuità. Come si può notare, infatti, i primi sei di questa classifica fanno parte della Top 8 del ranking, segno che sostanzialmente i migliori hanno continuato a macinare vittorie, incluso Rublev che si è guadagnato il posto alle Finals da agosto in poi ma che aveva comunque vinto due tornei (Doha ed Adelaide) a inizio anno – non era scontato che questo succedesse, ed è indice di un approccio costruttivo ai mesi di interruzione del circuito.
Gli unici intrusi oltre il 70 percento di vittorie sono Milos Raonic, che ha dimostrato di essere ancora competitivo ai massimi livelli se sano (ha fatto bene in particolare nei 1000 di Cincinnati/New York e Bercy), Yannick Hanfmann, favorito dal gran torneo giocato a Kitzbuhel ma comunque solido anche quando il campione si estende a qualificazioni e Challenger (ha vinto due terzi dei match totali giocati) e Jannik Sinner. L’azzurro ha finito la stagione vincendo 13 delle ultime 16 partite (una delle sconfitte è stata un ritiro, e le altre sono arrivate con Nadal e Zverev) e dimostrato una grande continuità che fa ben sperare per il futuro, soprattutto se si considera che, dopo una partenza lenta con i crampi di New York, l’altoatesino ha iniziato ad ingranare sulla superficie meno amata, la terra battuta, e questo è forse l’elemento più confortante.
La sua ascesa è ancora più evidente, peraltro, se si guarda ai 15 giocatori che hanno vinto più partite (sempre nel circuito maggiore), con Sinner ad occupare la quinta piazza:
- Rublev 26
- Djokovic 23
- Zverev 22
- Medvedev 20
- Thiem, Tsitsipas, Raonic, Schwartzman e Sinner 16
- Nadal, Humbert e Carreno Busta 14
- Shapovalov 13
- Mannarino e Coric 12
Sinner non è l’unico Next Gen a comparire in una delle due classifiche (due nomi di giocatori in forte ascesa ma forse non ancora troppo noti, la cui presenza in queste liste può quindi colpire, sono quelli di Alejandro Davidovich Fokina e di Ugo Humbert), mentre la presenza di giocatori sopra i 30 anni (al di là di Nadal e Djokovic, ça va sans dire) inizia a rarefarsi – gli unici altri nomi sono quelli di Bautista Agut e Mannarino.
Per riassumere, in ogni caso, il rapporto fra i due dati è rappresentato nel seguente grafico, che include chi ha vinto almeno il 60 percento dei propri match:
Il primo dato che salta agli occhi è che gli stessi giocatori occupano il podio nelle due categorie, con Djokovic e Rublev a darsi la staffetta al comando e Zverev subito dietro. Mentre Nole però gioca e vince quasi solo nell’acme dei tornei (1000, Slam e Finals), il russo e il tedesco hanno diversificato un po’ di più: Rublev ha vinto 15 partite (su 15) nei tre 500 giocati, quindi più della metà delle 26 ottenute, mentre Sascha (che pure ha raggiunto due grandi finali a Flushing Meadows e a Bercy) ha rimpolpato il suo bottino con otto vittorie consecutive nel quindicinale di Colonia, un doppio torneo creato quasi solo per lui.
In virtù di questo approccio bottom-up e più dimesso dei due, le cose cambiano quando si guardano i 15 leader per punti totali, con Zverev che scivola al quinto posto e Rublev al sesto:
- Djokovic 3870
- Medvedev 3545
- Thiem 3260
- Nadal 2940
- Zverev 2690
- Rublev 2565
- Schwartzman 1750
- Tsitsipas 1735
- Carreno Busta 1360
- Raonic 1275
- Shapovalov 990
- Sinner 865
- Coric 850
- Ruud 740
- Humbert e Bautista Agut 720
Ciò che colpisce in un ranking tanto circoscritto è che i vincitori Slam (intestatari di assegni da 2000 punti cadauno) siano esclusi dai primi due posti, cosa che ci dice molto di quanto portare a casa quei sette match da tre su cinque costi dal punto di vista fisico.
Dopo aver vinto Flushing Meadows, Thiem (primo sia dalla ripresa che in tutto il 2020 per punti conquistati negli Slam) ha saltato Roma, è crollato nel quinto set contro Schwartzman a Parigi, ha giocato Vienna con un problema al piede, ha saltato Bercy, e si è espresso al meglio solo alla O2 Arena; Nadal, di contro, ha scelto (giustamente) di concentrarsi sul suo Slam preferito, vincendo un numero relativamente basso di partite ma chiaramente ottenendo ciò che voleva dalla propria filosofia programmatica (a parte forse vincere un grande torneo indoor dopo 15 anni). Entrambi sono superati da Medvedev, che ha avuto un rendimento per certi versi opposto a quello del connazionale Rublev: nei 500 ha avuto un ruolino da sole tre vittorie ed altrettante sconfitte, mentre fra 1000, Slam e Finals ha vinto 17 match su 20 (10 su 15 per Andrey).
Detto questo, si noterà come Djokovic conduca sia per percentuale di vittorie che per punti totali. Fa dunque sorridere che si possa considerare il post-lockdown come un fallimento per Nole, perché se è vero che non è riuscito ad accorciare le distanze da Federer per il record totale di Slam vinti (perdendo anzi terreno da Nadal) o a raggiungere lo svizzero per vittorie alle ATP Finals, ha comunque vinto due Master 1000 (negli eventi maggiori ha vinto 21 incontri, più di tutti, ed è secondo solo a Medvedev per percentuale, 85 percento a 84) e si è assicurato il sesto titolo di numero uno di fine anno, pareggiando il record Open di Sampras e avvicinandosi sempre più al record di settimane in vetta. Ciononostante, sorge spontaneo il quesito su quale approccio sia stato migliore, se quello più tradizionale del serbo o quello più calibrato di Nadal, che ha deciso di dosarsi giocando (e stravincendo) un solo Slam – la risposta non può che essere soggettiva in questo caso.
CONCLUSIONI
Torniamo però alle domande iniziali: le classifiche di questi tre mesi sono una rappresentazione fedele dei valori del tennis maschile? Possono darci indicazioni per il futuro? Come sempre, la risposta non è manichea. Da un lato, si è fatta menzione della superiorità manifesta dei top player che sono scesi in campo validando la propria posizione di preminenza, e questo sembrerebbe far pensare che tutto sommato il gotha del gioco sia consolidato, e probabilmente è così.
D’altro canto, però, ci sono dei caveat altrettanto evidenti, rappresentati dall’assenza di molti grandi giocatori e dalle condizioni psico-fisiche di altri, talmente negative da non poter essere oggettivamente considerate dei trend a lungo termine. Da agosto, quattro top 100 non sono mai scesi in campo: Federer, Kyrgios, Tsonga e Pouille. Altri non hanno vinto neanche una partita in assoluto: Basilashvili (zero su nove!), Monfils e Querrey sono rimasti a secco, mentre quelli che hanno vinto delle partite ma non nel tour principale sono Chardy, Sousa, Ymer, Kohlschreiber e Mager.
In Top 50, inoltre, diversi sono rimasti sotto i propri standard, spesso per ragioni specifiche: tra loro Fognini (reduce da un doppio intervento alle caviglie), Paire (la cui non abnegazione durante il lockdown non è mai stata in dubbio), Edmund, e in misura minore Goffin, unico altro Top 25 oltre al ligure e a La Monf a rimanere sotto il 50 percento di vittorie – nel suo caso i preparativi per le nozze e la susseguente positività al Covid-19 sono le probabili cause.
In sintesi, pertanto, molti giocatori hanno dovuto prendere questa fase (loro malgrado) come un periodo transitorio in cui risolvere i propri problemi fisici con il conforto del nuovo ranking, per molti altri è possibile che le motivazioni siano venute a mancare, e per la sicurezza in classifica e per la mancanza del pubblico, e per altri la condotta durante il lockdown potrebbe non essere stata ineccepibile. Inoltre, la distribuzione dei tornei a livello di superfici è stata un po’ diversa dal solito, senza erba, con una percentuale di molto inferiore di tornei sul cemento all’aperto e con delle condizioni probabilmente irripetibili su terra – giocatori che hanno fatto bene soprattutto indoor, come per esempio Mannarino, o sul rosso pesante dell’autunno appena passato, potrebbero non riuscire a ripetere gli stessi risultati nel 2021.
La somma di questi fattori fa quindi pensare che il declino dei delusi possa essere solo temporaneo, anche se va sottolineato che molti dei tennisti elencati fra gli inattivi o fra quelli dal rendimento negativo sono decisamente avanti con gli anni, e come detto gli ultratrentenni in grande spolvero da agosto non sono stati molti – è possibile che la lunga pausa abbia consumato gli ultimi scampoli della competitività della gran parte dei veterani.
CHALLENGER E QUALIFICAZIONI
Diamo una breve occhiata, infine, a chi è stato particolarmente continuo nelle aree ancillari al tour principale. Di seguito si trova un grafico che mette in relazione vittorie totali e percentuale fra coloro che includendo qualificazioni e Challenger hanno raggiunto il 60 percento di vittorie:
Tolti Stan Wawrinka, che ha deciso di giocare i due Challenger di Praga invece di giocare a New York, finendo per affrontare avversari ben al di sotto del suo livello, e Ricardas Berankis (troppe poche partite per fare una valutazione), gli altri (Cecchinato e Martinez in particolare) hanno tutti vinto in maniera consistente, spesso trovando degli exploit anche nel circuito maggiore. E nel 2021 aver chiuso così tante partite potrebbe spingerli a salire ulteriormente in classifica, perché una vittoria è una vittoria a qualsiasi livello, e trovare continuità ed autostima in una fase con così pochi tornei potrebbe garantire loro un vantaggio, al netto, urge ribadirlo, di condizioni che potrebbero essere molto diverse.