È in gran spolvero, Garbiñe Muguruza, che raggiunge la terza finale dell’anno dopo lo Yarra di Melbourne e quella di pochi giorni fa a Doha, anche se entrambe perse. A farne le spese in questa occasione è stata Elise Mertens, incapace di contenere l’aggressività, invero non esattamente continua, della spagnola. Non un incontro straordinario, ma reso appassionante dalla tensione crescente nel finale, con i match point spagnoli che sfumavano uno dopo l’altro e lo spettro di un non troppo incredibile ribaltamento dell’esito si stava materializzando durante quello che invece è stato davvero l’ultimo punto. Non riesce così a Mertens la rimonta del turno precedente contro Pegula a cui aveva annullato tre match point per poi assistere al suo crollo. Un’Elise probabilmente troppo rinunciataria, anche se viene da domandarsi cosa sarebbe successo se fosse stato premiato quell’ultimo recupero.
Si comincia con lo scambio di break, poi Muguruza risale da 15-40 e comincia a prendere il sopravvento degli scambi con un rovescio particolarmente centrato. Mertens cerca di intrappolare l’avversaria nella sua ragnatela, alternando altezze e variazioni, ma la sua palla non fa male, non la sposta a sufficienza, e Garbiñe non ha difficoltà a girare l’inerzia del punto. L’allungo sembra rivelarsi insufficiente quando, sul 5-3, la numero 16 WTA non sfrutta un set point al servizio in un game in cui vengono fuori le sue incertezze nei pressi delle rete, tra cui l’innaturale tentativo di volée di rovescio in allungo (per modo di dire) senza staccare la mano sinistra. Una mezz’ora dopo riuscirà a togliere la mano per una perfetta drop volley, ma non corriamo troppo. Ci pensa la ventisettenne nativa di Caracas a rimettersi in corsa scatenando rovescio e risposta con la complicità di una prima battuta belga non pervenuta e il primo parziale va in cantiere per 6-4.
Non cambia molto la situazione tattica dopo il riposo, con Elise che resta fedele al proprio piano, fiduciosa che saranno gli errori dell’altra a spostare la direzione del match. In effetti è meno continua, Mugu, che alterna traccianti a colpi fuori misura, mentre la grafica ci mostra che rispetto ai turni precedenti ha avanzato di oltre un metro il punto di impatto del rovescio, ora dentro il campo, con ottimi risultati.
L’equilibrio si rompe all’ottavo gioco a partire dal solito rovescio scatenato di Garbiñe. Di nuovo con il servizio a disposizione sul 5-3 e di nuovo fallisce, nonostante un match point che pareva cosa fatta, ma Elise si supera difendendo un paio di possenti rovesci lungolinea e, formichina, ribalta lo scambio per la chiusura nel campo vuoto. Sembra destinato a ripetersi nell’esito del primo set anche il game successivo, invece altri due match point svaniscono consecutivi, poi un altro ai vantaggi. Grazie a un paio di slice esiziali, Mertens mette addirittura il naso avanti – non succedeva dal primissimo gioco –, ma l’aggressività di Garbiñe a partire dalla risposta e una decisa finalizzazione a rete rimandano tutto al tie-break.
Mertens parte meglio, ma alla rispostona vincente che subisce accompagna un poco sorprendente doppio fallo. Stavolta tocca a Mugu contrattaccare con un gran rovescio sull’incrociato belga che pareva decisivo e si issa sul 6-3. La suspense aumenta quando fallisce la prima (quinta totale) delle tre palle per chiudere, poi un’altra affossando un rovescio e l’ultima fallendo… no, la volée incerta passa, e proprio perché un po’ trattenuta rende poco efficace il recupero di Mertens che finisce con il capitolare al settimo match point. Muguruza fa una faccia come a dire “ci voleva tanto”, ma tira un gran sospiro di sollievo.
D’altra parte, la sensazione è che in finale questa volta non possa proprio sbagliare contro l’esordiente – a questi livelli – Barbora Krejčíková, venticinquenne pluri-titolata in doppio (otto in totale con due Slam, vinti back to back a Parigi e Londra nel 2018) ma capace di giocare e perdere una sola finale in singolare, a Norimberga nel 2017, e di entrare in top 100 soltanto sul calare della stagione 2020. La giocatrice ceca ha approfittato di un tabellone da stropicciarsi gli occhi, per essere un WTA 1000, considerando che per arrivare a sfidare Jil Teichmann in semifinale ha dovuto battere una sola testa di serie – Maria Sakkari al primo turno. D’altro canto, non ha lasciato per strada neanche un set e ha ben pensato di mantenere l’abitudine anche contro l’avversaria odierna (7-5 6-2), quella Teichmann che sembra aver capito d’improvviso come si gioca anche sulle superficie veloci.
Vittoria in due set sì, per la ‘più doppista che singolarista‘, ma c’è mancato poco che la partita assumesse traiettorie completamente diverse dal momento che Teichmann ha sciupato due set point sul 5-4 del primo set prima di accartocciarsi attorno ai suoi stessi eccessi di passività. Mancina, dotata di un punch inferiore alla sua avversaria ma più capace nella costruzione dello scambio (non oggi, però), non ha fatto molto per convertire quelle due palle set e ha finito per esporsi con troppa regolarità all’aggressione di dritto della sua avversaria, vincendo appena tre punti nel primo set dopo le occasioni fallite. E alla fine, pur essendo Teichmann una giocatrice dal pedigree superiore, il dato drammatico delle 10 palle break fallite su 11 ha deciso la partita assieme allo squilibrio di valori sulla diagonale destra, quella che ha visto il dritto ceco prevalere sul rovescio svizzero.
Come ha raccontato anche il nostro AGF, Teichmann rimane una giocatrice alquanto insondabile; Krejčíková invece sfrutta alla grande il tabellone e si presenta in finale con tanto di ingresso in top 40. A 25 anni, potrebbe persino pensare di affiancare all’ottimo curriculum da doppista (è stata anche numero uno del mondo) una discreta carriera da singolarista.