Meno male che non sono potuto andare a Montecarlo! Si dirà magari che faccio il verso alla volpe e l’uva “Non ci arrivo, ma tanto è troppo acerba”.
Però ho sentito dire da Fabio Fognini che faceva un freddo boia, c’era un vento dal mare che avrebbe messo in imbarazzo lo skipper di Luna Rossa Spithill, un’umidità da tagliare con il coltello. E, per una volta, mi sento di condividere tutte le parole di Fabio dalla A alla Z. Se ne è rimasto quasi sconvolto lui che è nato e vive da quelle parti, oltre ad aver vissuto lì la più grande soddisfazione della sua carriera, figurarsi come lo sarei stato anch’io che al Country Club ho preso su quelle tribune sopraelevate e scomode più mal di gola che nel resto dei miei giorni. Costa Azzurra? Costa Nera semmai.
Del resto bastava guardare la TV per capire da quei volti incappucciati e non solo infelicemente mascherati, dai passamontagna da rapinatori senza pistola, dai piumini stra-abbottonati, che quei pochi che erano assiepati a bordo campo lì sotto i tendoni verdi che restituivano a Rolex tutta quella visibilità strapagata non erano per nulla dei privilegiati. Non c’era quasi alcuna traccia visibile dei VIP solitamente paparazzati al Country Club. Ricordo che una volta furono ribattezzati very important pigs da Gianni Clerici, certo più indignato che geloso delle rumorose abboffate che facevano sulle terrazze prospicienti il “Ranieri II” come tanti “wannabe” assai fieri di poter gozzovigliare a due passi dalla tavola del principe Alberto, di Nicola Pietrangeli e Lea Pericoli, con l’elite dei più ricchi cortigiani italo-monegaschi.
Problemi climatici a parte, questo torneo era nato sotto una cattiva stella fin dal giorno del sorteggio. E l’avevo subito scritto. Da una parte si celebrava il record delle nove partecipazioni azzurre in un 1000, dall’altra una sfiga bestiale negli accoppiamenti, nei corridoi che non c’erano o che, se c’erano, erano toccati ai nostri meno in forma. Reincarnatomi mio malgrado nelle scomode vesti bruciacchiate di Cassandra, purtroppo ho visto accadere tutto quel che temevo. Dal k.o. dell’ancor peso leggero Musetti contro il bulldozer russo Karatsev – già basta quel cognome ad intimorire _ alla morìa degli altri otto piccoli italiani, uno dopo l’altro come in quel celebre film dove invece erano indiani.
Un altro articolo, ahinoi lugubre come un De Profundis, ha tentato di consolare gli inconsolabili, sottolineando la caducità delle umane cose, la rapida transumanza dagli altari di una presunta epoca d’oro per il tennis italiano alle polveri di un crollo che ha coinvolto senza misericordia otto italiani su nove, ultimo superstite dei nostri mohicani, il vecchio irriducibile Fabio Fognini. Gli altri? Tutti cacciati via, quasi senza ritegno e senza set (quasi) dal Principato già entro il secondo turno. Che per il nostro miglior classificato, Matteo Berrettini, top-ten ferocemente accusato di usurpazione, era in realtà il primo. Da Musetti in poi, solo bastonate.
Meno male che non c’ero a pigliar freddo e delusioni, ancorchè attese e pronosticate. E meno male che non ho incontrato Medvedev, certo con un diavolo per quei pochi capelli. Ma si può aver più sfortuna – di sfiga ho già scritto – che l’essere eliminato dal COVID la prima volta che in un torneo sulla terra battuta si è – stando al seeding fatto da un computer che non capisce di tennis – più favoriti di Rafa Nadal, el campeon principe di 11 tornei monegaschi?
Se Daniil fosse andato in hotel come tutti gli altri…a) forse non avrebbe beccato il virus b) gli avrebbero fatto un tampone ogni 4 giorni e intanto sarebbe arrivato a giocare contro Fognini. Con quel Krajinovic che ha dato via libera al nostro “vet” pur sfiduciato dopo la toccata e fuga da Marbella (Munar…), forse anche il Medvedev che odia la terra rossa… perché gli si sporcano i calzini…) – ma se non ha la lavatrice giochi con i calzini rossi! – i quarti li avrebbe probabilmente raggiunti.
Vabbè, dai, non ha senso dire che è stato meglio non andare a Montecarlo solo perché gli italiani hanno perso prima che si facesse sul serio. In fondo in quasi mezzo secolo di trasferte al Country Club, e al Casinò, le volte che i “nostri” mi hanno dato un po’ di soddisfazione patriottica, le posso contare sulle dita di una mano.
A veder Nicola Pietrangeli trionfare le sue tre volte infatti ci andò mio padre, non meno appassionato di me. E poi mia madre al Casinò vinceva sempre. Io ero ancora troppo piccolo. Più grandicello mi ricordo a malapena Barazzutti prendere una discreta stesa da Borg nel ’77 (6-3 7-5 6-0) ma era pur sempre una finale eh, e lungo il percorso aveva battuto bei giocatori (Okker, Taroczy, Kodes). Corrado l’anno dopo andò ancora bene, fino alle brutta semifinale persa 6-3 6-1 con un non irresistibile Tomas Smid. Mi ricordo poi Panatta e Bertolucci vincere a sorpresa il torneo di doppio del 1980 (6-2 5-7 6-4) in finale su McEnroe-Gerulaitis. Quella dei due amiconi newyorkesi era per la verità una coppia anomala, forse più affiatata nella vicina discoteca del Jimmy’z che sul campo da tennis, ma i nomi erano altisonanti. Eppoi Supermac era Supermac. Il suo abituale partner Peter Fleming aveva pronunciato, proprio più per convinzione che per umiltà, una “quote” rimasta celebre: “La coppia più forte di sempre? JohnMcEnroe e un altro”.
L’anno dopo Adriano Panatta arrivò in semifinale. Lo aspettava Vilas che lui aveva battuto nella finale di Roma nel ’76. Solo che Adriano la sera prima andò a letto alle 4 del mattino e… indovinate il risultato. Sciagurato Adriano? No, sciagurati i suoi due amici, Paolo Villaggio e Ugo Tognazzi che per vederlo giocare partirono da Roma troppo tardi. Non riuscirono ad arrivare a Montecarlo (anziché all’ora prevista, le 21) prima di mezzanotte. Di fatto lo costrinsero ad aspettarli. Mangiarono lautamente, annaffiando il tutto senza risparmio con del vino d’annata da Rampoldi, davanti al Casinò, e fra frizzi e lazzi fecero le due.
Quando Adriano sta finalmente per mettersi sotto le coltri pronto a riposare come il Principe di Condè, ecco che arriva una chiamata di soccorso. Tognazzi, l’ideatore dello “Scolapasta d’oro” e gran bella forchetta aveva esagerato a cena e si era sentito male. Era steso a terra in un giardino davanti all’hotel. Villaggio, preoccupatissimo, riuscì a rintracciare Adriano. Che non potè restare indifferente. Si alzò, rivestì, andò in soccorso dell’amico, lo sollevò di peso, lo portò al suo hotel, fino in camera arrivando a spogliarlo. “Andai a letto alle 4 e il giorno dopo – ha raccontato la vera vittima di quella serata di non programmata baldoria – con quel cagnaccio di Guillermo non ci fu gara. Finì 6-2 6-2”.
Da quel 1981 al 1995, alla semifinale che Andrea Gaudenzi avrebbe dovuto vincere ma perse (6-3 7-6) con l’amico di cui era sparring-partner Thomas Muster, a Montecarlo ho vissuto sporadici exploit azzurri, tipo un Pistolesi che sorprende uno spento Wilander – forse anche lo svedese era stato da Rampoldi a cena la sera prima – ma niente di davvero memorabile fino a Fognini che centra la prima semifinale nel 2013 e poi il trionfo del 2019 quando però… seguito il torneo fino ai quarti, avevo lasciato Montecarlo per il Rajasthan e un viaggio con la famiglia.
Insomma, vi avevo detto, tanti ricordi monegaschi in azzurro come la Costa quante le dita di una mano, dito più o meno. Commentavo in TV, questo sì, e questo oggi mi manca più delle imprese azzurre che non ci sono quasi mai state. Ma torno ab ovo e al mio meno male che non sono andato a Montecarlo quest’anno. Eh sì, perché passi che gli italiani non ci abbiano regalato un solo risultato a sorpresa, un exploit degno di tal nome, però chi se lo poteva aspettare che Djokovic – il virgolettato riferisce parole sue dopo il k.o. più inatteso con Dan Evans – avrebbe giocato “una delle più brutte partite che io abbia mai giocato in vita mia”? Già che c’era …non era meglio se la giocava altrettanto brutta contro Sinner?
E chi poteva aspettarsi che Rafa Nadal, 11 volte principe a Montecarlo, fosse capace di perdere sette volte il servizio in tre set contro Rublev perdendo primo e terzo 6-2 dopo essere stato sotto 3-1 e palle break anche nel secondo set poi miracolosamente recuperato? “Il mio servizio è stato un vero disastro… e con il rovescio non ricordo di aver fatto un punto!” ha detto invece Rafa Nadal senza che nessuno potesse smentirlo. Io sarò anche come lo smemorato di Collegno, ma non ricordo un solo torneo importante giocato da Djokovic e Nadal in cui entrambi abbiano giocato così male, vere controfigure di se stessi. Imbarazzanti. Sospetto che non sia un problema di memoria. Credo non sia mai successo.
E allora, mentre mi domando se le cause possano essere conseguenti ai due mesi di inattività – un bell’handicap soprattutto per giocatori che dell’allenamento agonistico, del ritmo di gara, hanno fatto un percorso religioso – o invece le prime avvisaglie di un possibile declino dovuto all’età.
Dopo che tanti – ricordo bene un articolo sul Corriere della Sera di 7, 8 o 9 anni fa, ma il Corrierone non fu davvero il solo “media” a inciampare fragorosamente– avevano preso un colossale abbaglio intonando anzitempo, molto anzitempo, il de Profundis nei confronti di un Roger Federer da poco over 30, invito tutti e per primo me stesso alla prudenza anagrafica. Non sarebbe la prima volta che Rafa zoppica in alcuni tornei che precedono il Roland Garros – a Montecarlo nel 2014 e nel 2019, a Madrid nel 2918 e nel 2019, a Roma nel 2017 e nel 2020 – e poi a Parigi straccia tutti senza pietà. Non tutti i suoi 13 trionfi sono stati preceduti da percorsi immacolati.
Ciò anche se forse ieri sera è stata la prima volta che ho visto Rafa piegarsi in due dalla fatica, e con la faccia stravolta, dopo gli scambi più lunghi, duri e lottati con Rublev che lo ha bombardato di missili dalla prima palla all’ultima, di dritto come di rovescio. Io mi spiego il nervosismo insolito di Rafa con le stesse sagge parole con cui lo ha spiegato lui “Quando non ti entra mai il servizio e lo perdi 7 volte, quando con il rovescio non ti apri gli angoli ma lo giochi corto… è normale innervosirsi. Giochi male, ti accorgi che l’altro gioca molto meglio di te e merita di vincere, per forza uno si innervosisce, è umano”.
Beh, Rafa negli ultimi 15 anni sulla terra rossa tanto umano non lo è stato, è stato piuttosto un marziano, un extraterrestre. Direi che si tratta di un fatto, non di un’iperbole. Così come è un fatto, altresì, che Rafa viaggia spedito verso i 35 anni e Nole verso i 34. Attenzione, non fraintendete: penso che saranno ancora loro i primi due favoriti al Roland Garros, ma – e l’ho scritto ormai fino alla noia ricordando l’anno del canto del cigno di Stefan Edberg nel ’96 – quando gli anni e l’età incalzano non sono le punte di rendimento a crollare improvvisamente, è semmai la continuità di prestazione a vacillare.
Edberg battè fortissimi giocatori in quell’anno in cui aveva annunciato il suo addio alla racchetta, ma perse anche da mediocrissimi avversari. Ora, intendiamoci, Rublev è il n.8 del mondo e ieri mi è parso anche straordinariamente ispirato – sebbene abbia fatto ‘il Rublev’ sul 3-1 del secondo set fino a perdere il set 6-4 – e non è quindi un mediocre avversario, però ricordate la partita persa da Rafa a Roma con Schwartzman? Anche in quel caso Rafa era stato parecchio tempo fermo, e ha poi innestato la marcia superiore a Parigi dove il solo che gli ha creato una minima apprensione è stato Sinner, e solo per il primo set, però io non credo di sbagliarmi se penso che pian piano sia Djokovic che Nadal, fenomeni e mostri di continuità per tre lustri, incapperanno sempre più in giornate no. Ricordate Djokovic contro Sonego a Vienna?
I bassi non diventeranno troppo presto frequenti quanto gli alti, ma anche perché calerà presto il timore reverenziale dei loro avversari – è accaduto perfino con Federer – quelle che oggi noi non possiamo che definire clamorose sorprese saranno sempre meno clamorose. È inevitabile che sia così.
Molti saranno contenti di assistere ad un cambio della guardia – più o meno prossimo; se è morto perfino il Duca Filippo di Edimburgo… – altri saranno invece più nostalgici dei Fab Four. Per quanto mi riguarda, io sono abbastanza cinico perché data l’età avanzata…(ma mi sono vaccinato, ancora per un po’ reggo!) di cambi della guardia, da Connors, McEnroe e Borg, a Lendl e Wilander, a Becker e Edberg, a Sampras e Agassi… ne ho già vissuti diversi senza troppi patimenti. Però alla fine di questo lungo tormentone, prima delle semifinali Tsitsipas-Evans (e sì che Evans ha un tennis d’antan che mi diverte… certo se penso che in Sardegna ha perso da Musetti il cuor mi si stringe) e della probabilmente più monotona sfida tutta Ru-Ru, Ruud-Rublev, ritorno a far la volpe con l’uva. E mi dico meno male che non sono potuto andare a Montecarlo! Si sta così bene a Firenze.