Qui l’intervista originale di ubitennis.net
Nonostante i 30 anni compiuti da poco, il nome di Daria Abramowicz è già annoverato fra quelli dei migliori psicologi dello sport nell’ambiente del tennis femminile. Ex-velista polacca, è stata allenatrice e prima ancora atleta. Laureata in psicologia presso la SWPS University of Social Sciences and Humanities, si è specializzata in psicologia clinica prima di focalizzarsi su quella sportiva nei suoi studi post-laurea, e ha lavorato con le nazionali di nuoto e ciclismo, oltre che con i tennisti. Il suo nome è salito alla ribalta quando la sua assistita Iga Swiatek ha vinto il Roland Garros del 2020 – la prima polacca ad aggiudicarsi un Major, peraltro senza perdere set. Pochi giorni fa Swiatek ha vinto – dominando la finale – anche gli Internazionali d’Italia, terzo titolo della sua giovane carriera.
“Mi ha resa più intelligente, grazie a lei ora conosco di più lo sport e la psicologia. Posso capire i miei stati d’animo ed esprimerli senza paura”, ha detto Swiatek in merito al suo lavoro con Abramowicz. Ecco la nostra intervista a Daria mentre ci avviciniamo alla nuova edizione dell’Open di Francia.
Daria, hai lavorato in molti sport. Cosa mette il tennis in risalto rispetto agli altri dal punto di vista di uno psicologo dello sport?
Ogni sport è unico, con dettagli e specificità diverse. Il tennis è basato sulle pause, sui momenti di sosta: c’è un breve intervallo fra gli scambi, i punti, i giochi, i set, gli incontri. Poi, da una prospettiva più ampia, ci sono le pause fra tornei. Questo è molto rilevante per quanto riguarda l’approccio mentale: quando e come utilizzare le abilità mentali su cui ti sei allenato? Come si rimane concentrati, come si regolano le emozioni, e come si tiene sotto controllo lo stress?
Una grossa differenza è anche rappresentata da alcune qualità del tennis che vanno al di là dello sport giocato. Il tennis è infatti estremamente legato alla gestione delle proprie finanze, è uno di quegli sport in cui è importante che i giocatori capiscano come unire le due cose, e questo include anche la capacità di gestire il proprio tempo e vari tipi di scenario. Inoltre, le prestazioni di alto livello da esprimere sono un unicum: si viaggia in tutto il mondo per otto o nove mesi all’anno, per quindici o venti anni nell’arco di una carriera. Tutto questo è una sfida.
Ci sarà molta pressione su Iga Swiatek nei prossimi mesi, a cominciare dalla difesa del titolo a Parigi. In che modo la preparerai rispetto allo scorso autunno?
Sicuramente parliamo di altissime aspettative, sia dall’esterno che ovviamente da parte sua. Facciamo un sacco di cose come le avremmo fatte se non avesse alzato il trofeo. Abbiamo discusso del recupero e delle singole prestazioni. Che tutto sia cambiato è un po’ un mito, molte cose sono simili a prima. Si tratta di una combinazione delle due cose: se l’atleta è capace di concentrarsi solamente sulla performance e sulla qualità del singolo compito da portare a termine, allora il fatto che abbia vinto l’anno precedente perde di rilevanza, e si abbassano anche le aspettative, credo.
Come si sta allenando Iga dopo aver dato forfait a Stoccarda [l’intervista è stata condotta prima dell’inizio del torneo di Madrid, ndr]?
Questa è una parte top-secret. Ci stiamo allenando sulla terra rossa per Madrid, Roma (torneo che Iga avrebbe poi vinto, ndr) e Parigi; il team di Iga ha deciso che questa parte della stagione è assolutamente fondamentale per lei.
Dopo il torneo di Miami, Iga ha scritto un post sui social in cui parlava della sua esperienza in campo durante il torneo; alcuni tennisti sono più introversi, non mostrano le proprie debolezze. Ci vedi una correlazione tra l’essere più espansivi e il miglioramento delle prestazioni in campo? Consiglieresti ad altri di fare lo stesso?
Quasi tutti gli atleti sono molto estroversi sui social. C’è un sito, “The Players Tribune”, dove ci sono un sacco di post scritti da atleti professionisti. Penso che questo abbia grande valore. A volte può essere un modo per spiegare alla gente cosa pensano, come si approcciano allo sport e cosa significhi per loro. Scrivere può aiutare ad esternare le proprie sensazioni e a risolvere alcune cose; inoltre è una strategia che può ridimensionare gli haters, perché leggendo questi post e articoli le persone si rendono conto che la vita di uno sportivo non è tutta rose e fiori, anzi, è umana e complicata, ci si può sentire soli e a volte privi di aiuto.
Una volta hai detto durante un’intervista che la psicologia sportiva è ancora un po’ stigmatizzata. Cosa intendevi, e cosa pensi possa fare il tennis per superare questo scetticismo?
Intendevo che la psicologia in generale è stigmatizzata, è un qualcosa che riguarda tutta la società, non solo lo sport. Non penso che il tennis da solo riesca a migliorare la situazione, per farlo serve che ciascuno capisca che la preparazione psicologica e la salute mentale hanno la stessa importanza di quella fisica. È importante cercare di promuovere una maggiore consapevolezza in questo senso.
Alcuni tennisti fuori dalle prime cento posizioni del ranking potrebbero non essere in grado di farsi aiutare da uno psicologo a causa delle spese. Cosa si può fare per andar loro incontro?
Lo ripeto sempre, l’allenatore è la persona più vicina ad un atleta. Sa cosa è meglio per il suo assistito, non solo da un punto di vista tecnico ma anche in merito agli aspetti mentali del gioco. Se un atleta non ha la possibilità di farsi affiancare da uno psicologo, ci sono degli strumenti reperibili online, esercizi da svolgere ogni giorno, specialmente durante la pandemia – il web è un aiuto fondamentale in questo senso. Consiglio agli allenatori di investire nel loro rapporto con il giocatore, e credo che anche i sistemi di supporto abbiano un ruolo imprescindibile.
La Polonia ha un top player anche in campo maschile, ovvero Hubert Hurkacz. Ti sei accorta di qualche differenza nell’approccio mentale tra il tennis maschile e quello femminile? Se sì, perché pensi che siano queste differenze?
Potremmo scrivere un libro riguardo alle differenze tra uomini e donne, a partire da quelle relative alla gestione delle emozioni, al controllo dello stress e alla concentrazione. Ma la differenza maggiore è relativa all’allenamento, al recupero e al supporto psicologico. Siamo tutti degli individui, e in definitiva il genere non è fondamentale nel determinare i comportamenti di una persona, ma possiamo dire che gli uomini siano meno inclini a mostrare le emozioni e gli stati d’animo: non a caso abbiamo più materiale a disposizione sulla depressione femminile, perché gli uomini tendono a rimanere più chiusi. In realtà però il genere è solo una questione di biologia e di psicologia sociale, e le differenze si manifestano in quei campi – il singolo andrebbe studiato caso per caso.
Infine, hai lavorato molto sull’aspetto della salute mentale nello sport. È stato documentato che l’attività fisica migliori la salute mentale, e le sigle che governano il tennis stanno facendo progressi in merito a questa tematica negli ultimi anni. Basandoti sulla tua esperienza, cosa pensi possa essere fatto per supportare i giocatori che manifestano alcuni problemi di questo tipo?
Lo sport e la psicologia si stanno evolvendo bene insieme, ed ormai si sta lavorando anche sulla salute mentale dell’atleta a 360 gradi (soprattutto durante la pandemia), non solo in relazione all’utilizzo del potenziale nel corso di una competizione. In generale, gli organi governativi del tennis dovrebbe concentrarsi maggiormente sulla salute mentale. C’è spazio per prendere coscienza di quanto la tecnologia e gli strumenti per allenare la mente possano aiutare questa branca. Per me l’importante è lottare contro gli scettici e far capire l’importanza della cura della salute mentale.
Daria è su Twitter e Facebook, e ha anche un sito in lingua polacca: www.dariaabramowicz.com
Traduzione a cura di Lorenzo Andorlini