Rispettivamente ad Amburgo (terra rossa) e a Newport (erba), sono tornati a battere un colpo Pablo Carreno Busta e Kevin Anderson, i protagonista di una semifinale Slam allo US Open 2017 che condusse poi il tennista sudafricano alla finale persa contro il famelico Rafael Nadal. Da allora il sudafricano è incappato in una serie di problemi fisici, mentre lo spagnolo aveva piazzato l’unico acuto allo US Open 2020, anche in parte facilitato dall’harakiri di Djokovic agli ottavi di finale. Che sia arrivato per entrambi il momento di vivere una seconda giovinezza tennistica?
17 – le settimane trascorse sinora in carriera da Pablo Carreno Busta nella top ten del ranking ATP. Una fascia di classifica alla quale il nativo di Gijon è di nuovo vicino, grazie all’attuale 11° posto in classifica – posizione che non raggiungeva da maggio 2018 – occupato nuovamente dallo scorso lunedì. Un piazzamento conquistato anche grazie ai 500 punti garantiti dalla vittoria del torneo di Amburgo, il titolo sinora più importante vinto in carriera, arrivato curiosamente proprio nella settimana in cui lo spagnolo ha compiuto 30 anni.
Carreno, esploso nel grande tennis nel 2013 – anno nel quale dopo aver trascorso gran parte del 2012 in infermeria a curare un’ernia al disco, fu eletto Most improved player of ATP, grazie a una scalata in classifica di oltre 600 posizioni – punta ormai quantomeno a raggiungere di nuovo il best career ranking di n.10 ATP, occupato per la prima volta nel settembre 2017. Quasi quattro anni fa lo spagnolo entrava in top 10 dopo aver raggiunto a sorpresa la semifinale agli US Open, superando prima quattro qualificati e poi Schwartzman nei quarti. In quella circostanza Pablo aveva però già una classifica da top 20, guadagnata grazie a tre titoli vinti – nei mesi precedenti allo Slam newyorkese – in condizioni di gioco tra loro molto differenti e appartenenti alla categoria ATP 250 (Winston Salem, Mosca e Estoril), contando anche sui punti della finale raggiunta sulla terra rossa dell’ATP 500 di Rio de Janeiro.
Dopo aver confermato nel 2018 che il suo exploit nell’anno precedente non era stato casuale (ha chiuso la stagione in una buonissima posizione, 23 ATP), a causa di un infortunio alla spalla destra nel 2019 Pablo è però uscito dalla top 50, fascia di classifica nella quale è poi rientrato solo nel settembre di due anni fa, vincendo il torneo di Chengdu, successo che gli ha dato la spinta per chiudere in top 30 la stagione. Un’inerzia positiva continuata anche nella scorsa stagione, nella quale Pablo ha fatto molto bene chiudendo al decimo posto di una ipotetica Race che conteggi esclusivamente i risultati conseguiti da gennaio a novembre 2020.
Prima di giocare la scorsa settimana ad Amburgo, quest’anno Carreno aveva vinto il suo quinto titolo nel circuito maggiore, imponendosi ad aprile sulla terra di Marbella, e raggiunto anche le semi a Barcellona e Maiorca, ma è nello storico torneo tedesco declassato dal 2010 ad ATP 500 che si è tolto una delle soddisfazioni più grandi della carriera. Lo spagnolo ha tra l’altro vinto l’Hamburg European Open in maniera netta: se è vero che non ha dovuto affrontare nessun top 40 nella sua corsa verso il titolo, va anche detto che ha avuto degli avversari piuttosto insidiosi (nell’ordine, Taberner, Lajovic, Del Bonis e Krajinovic) ai quali non ha concesso nemmeno un set, perdendo per la strada verso la vittoria un totale di 32 game. Avere trent’anni nel tennis attuale vuol dire essere nel pieno della maturità e godere di lecite speranze di dover ancora vivere la parte migliore della carriera: non a Wimbledon (dove non ancora ha mai vinto un incontro), ma su tutte le altre superfici ha già dimostrato di essere molto competitivo.
Oltre ai sei titoli sopra elencati, vanta due semifinali agli US Open, due quarti di finale al Roland Garros e una semifinale a Miami e a Indian Wells. Deve però migliorare il proprio bilancio negli scontri diretti contro i più forti: nelle 23 occasioni in cui ha affrontato colleghi nella top 5 del ranking ATP, ha vinto solo in due circostanze. Ci è riuscito contro Dimitrov a Barcellona nel 2018 e contro Djokovic lo scorso anno agli US Open, a seguito della celebre squalifica rimediata dal serbo dopo aver colpito involontariamente un giudice di linea con una pallina scagliata nervosamente dopo un errore. Ce la farà Carreno a stabilirsi con continuità in classifica subito dopo i più forti, una volta divenuto trentenne? Non resta che scoprirlo nei prossimi mesi.
512- la serie di settimane consecutive di Kevin Anderson in top 100 ATP, interrotta nel gennaio 2020. Una conclusione quasi inevitabile, seguita a una lunga sequela di problemi fisici (tra ginocchio sinistro, spalla e gomito destro) e di operazioni a cui l’ex 5 ATP si è sottoposto negli ultimi cinque anni (una alla caviglia, nel 2016, e ben due al ginocchio destro tra settembre 2019 e febbraio 2020). I guai fisici hanno iniziato a condizionare la carriera del sudafricano in maniera decisiva solo a partire dal 2019, stagione in cui -pur partito bene con la vittoria in gennaio a Pune del quinto titolo della carriera – il sudafricano nato a Johannesburg nel maggio 1986 ha dovuto sospendere l’attività agonistica e sottoporsi al calvario della doppia operazione al ginocchio che sinora ha condizionato il suo rendimento.
Interventi chirurgici resisi indifferibili poco dopo che Kevin aveva raggiunto l’apice della sua carriera: il 2018 è stata infatti l’unica stagione terminata da Anderson in top ten, la sola chiusa con due titoli in bacheca (l’ATP 250 di New York e il 500 di Vienna) e con il record personale di partite vinte nel circuito maggiore (47), di cui ben cinque arrivate contro top ten. In tale conteggio sono compresi i due per lui indimenticabili match giocati tre anni fa a Wimbledon: la vittoria per 13-11 al quinto dopo aver recuperato uno svantaggio di due set contro Federer in quarti di finale e il 26-24 con cui dopo sei ore e mezza di semifinale sconfisse al quinto set John Isner.
Dopo la vittoria del titolo a Pune a inizio 2019 l’ex 5 ATP ha invece imboccato una sorta di via crucis tennistica, iniziata poco dopo i quarti di finale raggiunti a Miami due anni fa: due mesi dopo quel buon piazzamento il sudafricano si arrendeva ai dolori e decideva di operarsi dopo aver giocato male a Wimbledon, saltando così il resto della stagione. Nel 2020 Kevin rientrava nel circuito senza cogliere risultati di rilievo sino alla pausa per la pandemia; la sconfitta all’ATP 250 di New York contro il tennista di Taipei Jung, 131 ATP, era sintomatica in tal senso del suo mediocre livello di forma in quel periodo. A seguito della ripresa del circuito avvenuta lo scorso agosto, Anderson piazzava l’unico acuto a Vienna, il solo torneo – prima della settimana scorsa – in cui negli ultimi due anni e mezzo era riuscito a vincere tre partite di fila. Tra l’altro con successi di un certo spessore tecnico: quello proprio su Carreno Busta e poi su Medvedev, unica vittoria del sudafricano contro un top ten da fine 2018 ad oggi.
L’avanzare dell’età, gli acciacchi e la classifica modesta sembravano essere un fardello troppo grande per una ripresa del sudafricano a buoni livelli, impressione che sembrava confermata dopo i pessimi risultati da lui colti sull’amata erba lo scorso mese: prima di perdere al secondo turno di Wimbledon contro Djokovic, sui prati Kevin è incappato in tre sconfitte contro giocatori non compresi tra i primi cento del ranking ATP. Invece, dopo aver deciso di tornare a giocare il torneo di Newport, dove mancava dal 2008, il tennista sudafricano ha trovato il rendimento necessario per vincere il suo settimo titolo (primo della carriera sull’erba, dopo i quattro conquistati sul cemento e i due sul duro indoor).
Lo ha fatto anche legittimando tecnicamente il salto in avanti di 39 posizioni compiuto in classifica dallo scorso lunedì con la vittoria del titolo (in Rhode Island ha giocato da 113 ATP): dopo i successi su giocatori abbondantemente fuori dalla top 100 come Marchenko, Ofner e Sock (al quale ha rimontato un set), Anderson ha infatti avuto la meglio in semifinale sulla testa di serie numero 1 Bublik (al kazako, per battere il sudafricano, non è bastato essere avanti di un set e di un break) e, in finale, sul Next Gen locale in grande ascesa in classifica, Brooksby.
Dopo la vittoria dell’ Hall of Fame Open – primo titolo conquistato con la presenza durante la premiazione della moglie Kelsey e della loro piccola figlia, Keira – Anderson ha dichiarato di pensare ancora in grande e puntare agli obiettivi che ancora gli sono sfuggiti (la vittoria di un titolo del Grande Slam o di un Masters 1000) e di non essere pago di quanto già fatto (le finali agli US Open 2017 e Wimbledon 2018, le semi nei Masters 1000 di Madrid e Toronto tre anni fa). La stagione sul cemento nord americano saprà dirci già molte cose su quanto sia realistico il suo progetto.