L’ATP 500 di Washington in programma questa settimana è il quinto torneo a cui Nick Kyrgios parteciperà in questa stagione. E anche il quinto dall’inizio dall’inizio della pandemia. Tanto basterebbe a ricordare non solo il conflittuale rapporto del ventiseienne di Canberra con il tennis, bensì anche come “bolle” e restrizioni varie – in primis, riduzione del numero degli spettatori, quando non spalti completamente vuoti – abbiano avuto un forte impatto sulla sua attività professionistica.
Dopo l’infortunio agli addominali e il conseguente ritiro contro Auger-Aliassime al terzo turno di Wimbledon (il suo primo torneo fuori dall’Australia in un anno e mezzo), Kyrgios è rientrato ad Atlanta, sconfitto al secondo incontro da Norrie. Ora, dicevamo, si prepara a dare battaglia al Citi Open, dopo aver arricchito il media day con alcune dichiarazioni, al solito non banali, in cui ha tra l’altro ripreso e ampliato i temi citati in apertura, a partire dal rapporto con il pubblico che, nel suo caso, diventa spesso un interagire diretto. Lo ricordiamo proprio a Washington due anni fa, infatti, chiedere a una fan dove servire sul match point contro Gombos, scenetta che hai poi replicato con lo stesso successo contro Tsitsipas e in finale contro Medvedev.
Nick inizia allora spiegando che nell’evento della capitale Usa si sente quasi come se giocasse in Australia e aggiunge: “È che amo i fan. Puoi sentire l’energia attorno ai campi”. Perché il torneo, cancellato nel 2020, quest’anno si svolge a piena capacità per quanto riguarda il pubblico.
L’entusiasmo australiano pare tuttavia subire un repentino arresto parlando del suo ritorno a tempo pieno nel Tour: “Accidenti, non mentirò. Non è che mi manchi più così tanto. Cioè, ovviamente è bello essere rientrato, specialmente in questi tornei dove sono estremamente a mio agio e c’è tanto pubblico. È un abbastanza folle, non so. Quando vengo qui a giocare, sento delle vibrazioni. Ogni volta che sono a un torneo, sento che potrebbe essere la mia ultima volta che vengo a giocare. Mi sentivo allo stesso modo ad Atlanta. Non sono sicuro della mia attuale situazione. Mi sento strano riguardo alla carriera in questo momento. Ma ovviamente adoro essere tornato, vedere i miei amici nel Tour, farne parte. Amo interagire con i fan in questi giorni. So che con il Covid è rischioso. L’ho fatto per 45 minuti fuori dal torneo ad Atlanta. Penso che sia fantastico, è la parte migliore. Viaggiare non mi mancava per nulla, ma va bene lo stesso”.
Visto che, dopotutto, si tratta di competizioni per professionisti dove si contano i punti e i risultati, diventa pressoché obbligatorio domandargli se abbia ancora obiettivi da raggiungere nel circuito o se sia a posto così. Kyrgios : “Mi sento come se non giocassi più solo per me stesso ma per tante persone che possono identificarsi con me. Come quando ero giovane, non puntavo davvero a vincere Slam o cose del genere. Voglio dire, non amavo il tennis. Certo, immagino di essere diventato abbastanza bravo. Poi ho battuto tutti i top player e vinto qualche titolo. Ho la sensazione di essere piuttosto emblematico nello sport, nel senso di fare le cose a modo mio. Ora mi piace giocare per divertirmi. Essere semplicemente con i fan, dare loro qualche speranza è la parte che preferisco della mia carriera“.
“Non sogno di avere l’occasione di giocare contro un top player, di mettere più topspin nel dritto, di diventare più forte domani” prosegue Kyrgios. “Non ho desideri del genere, anche se è impossibile da credere per gli appassionati. Non sto dicendo che vincere uno Slam non sarebbe fantastico, ma non è ciò a cui do valore. Di sicuro, mi piacerebbe affrontare Novak Djokovic allo US Open, è probabilmente il più grande di tutti i tempi. Però non ripenserò alla mia carriera dicendo, oh, no, non ho vinto quel match. Un incontro di tennis non vale quanto una sana relazione con la mia ragazza o con il mio migliore amico, che significano davvero qualcosa per me”.
Kyrgios, che poco sorprendentemente si definisce “un giocatore part-time, al momento” e non dà più per scontato alcun incontro o torneo, non ha mai smesso di tenere d’occhio quello che accade nel circuito, come dimostrano i suoi tweet, l’ultimo quello con cui ha preso di mira Casper Ruud per i suoi successi troppo facili. Ma la realtà che Nick ci offre è lontana dalle occasionali schermaglie sui social con qualche collega a tempo pieno. “Vado al mio ritmo” spiega. “Non ho voglia di competere davvero, di tentare di scalare la classifica o vincere tornei. Posso mettere in scena uno spettacolo durante l’allenamento nel mio giorno di riposo, rendere felici i fan coinvolgendoli. Mi sento come a inizio carriera, senza preoccupazioni, ma allora ovviamente c’erano i coach, gente che mi diceva cosa fare, i punti da guadagnare. Ora, onestamente non me frega un c…, vado in giro, gioco qualche torneo. Così mi diverto”.
Se qualcuno si chiede se andarsene in giro tranquillo e rilassato sia una cosa realmente possibile per un tennista professionista, la risposta del nostro toglie qualsiasi dubbio: “Lo faccio ormai da sette anni…”. E riprende la questione Ruud, stavolta con un’analisi più seria, per dimostrare che i giocatori sono diversi tra loro e ciò che funziona per qualcuno può essere deleterio per altri. “Guarda Casper. Vincere tre tornei di fila non è affatto facile. È un grande giocatore con una disciplina eccezionale. Se quello è ciò che funziona meglio per la sua carriera, è fantastico. Altri giocatori preferiscono il divertimento. Credo che l’importante sia averli entrambi, un equilibrio che il mondo del tennis ha faticato ad accettare in passato. Ora però i tornei capiscono l’importanza di giocatori come me, altrimenti non mi userebbero tanto per la promozione. Si prendono cura di me perché sanno che io faccio tutto quello che posso per loro. Credo di essere una sorta di esempio che dimostra come il tennis abbia bisogno di includere anche certe personalità e far sentire tutti benvenuti. Ne avrà solo da guadagnare”.
Si può naturalmente obiettare che, con cinque tornei disputati da febbraio 2019 a oggi, non è che Kyrgios sia stato granché disponibile per quell’inclusione da lui auspicata. Ci deve essere un modo per aumentare le sue presenze sui campi. Kyrgios dribbla quella che potrebbe essere una domanda trabocchetto per chi va fiero del suo part time, spiegando il ruolo che hanno avuto la pandemia, i suoi rischi e i suoi effetti nel tenerlo lontano dal Tour. Ma, ribadita la necessità di avere certe ‘personalità’, arriva a parlare di salute mentale. “Nel profondo, so di essere fantastico per lo sport. E so di essere forte dal punto di vista mentale. La quantità di odio. di razzismo e di stronzate che mi sono preso dal Tour, dai fan, da tutto, avrei potuto… Sono stato venti volte peggio – opinione personale – rispetto a persone come Naomi Osaka che adesso parlano di disagio mentale”.
Qui Kyrgios pare scivolare nell’impossibile confronto “il tuo mal di testa è nulla confronto al mio”, errore peraltro non dissimile rispetto a coloro che si approcciano all’argomento salute mentale con scetticismo per via della sua “invisibilità”: se la radiografia non mostra nulla di rotto, non sei rotto. In ogni caso, prosegue: “Tutto quello che ricevono è stampa positiva, non messaggi pieni di odio. Non ricevono multe ridicolmente memorabili per aver tirato palle fuori dallo stadio e per violazioni del codice. Invece di emarginare e quasi crocifiggere una personalità, potreste dire, va bene, questo ragazzo è diverso, comportiamoci in un certo modo e non trattiamolo come un Roger Federer o un Marin Cilic. Dico solo che lo sport avrebbe potuto trascinarmi in un luogo buio e ci sono anche stato per un po’. Quanto è difficile mentalmente per un diciottenne essere uno dei tennisti più famosi in Australia, venire totalmente martellati dai media. Adesso sono cresciuto abbastanza da capire che sono tutte cazzate“.