Il redivivo Murray incorona Musetti: «Il più divertente da veder giocare» (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)
Bisogna avere cura dei ricordi, perché non è possibile viverli di nuovo. È la memoria degli anni gloriosi che furono, dei mille successi, dei brividi che corrono lungo la schiena quando una folla estasiata ti applaude a tenere in vita la fiamma di chi ha conosciuto il paradiso e non vorrebbe tornare sulla terra. Andy Murray ha attraversato gli ultimi 15 anni del tennis da protagonista assoluto, unico in grado di sottrarre il numero uno del mondo alla trimurti Federer-Nadal-Djokovic. Potrebbe godersi la moglie Kim e i quattro figli, oltre all’imperituro rispetto dei sudditi di Sua Maestà che dopo averlo considerato scozzese quando perdeva, lo hanno infine adorato per i due trionfi a Wimbledon (cui ha aggiunto pure uno Us Open), e invece a 34 anni suonati è ancora su un campo a soffrire, a sudare, a pregare che le anche, ricostruite con un supporto in titanio, non lo tradiscano di nuovo. Si chiama passione. Amore inestinguibile per il proprio sport. Muzza sta giocando a Cincinnati dopo aver superato l’ennesimo infortunio, uno stiramento durante il torneo olimpico. Lunedì, nel primo turno, in una sfida dal sapore antico, ha sconfitto Gasquet (che si ritira a fine anno) con un doppio 6-4, ritrovando per qualche attimo l’ebbrezza dei bei tempi: «Una partita certamente diversa rispetto a quella del 2019 (il loro ultimo confronto diretto, ndr), allora ero reduce dall’operazione ed ero sceso in campo con molta apprensione. Direi che mi sono mosso bene, per essere il primo match sul cemento (non giocava dal terzo turno di Wimbledon, ndr). Ho bisogno di fissare obiettivi a breve termine, è questa la cosa importante, perché con tutti i problemi che ho avuto è difficile pianificare qualcosa a medio e lungo raggio». A Cincinnati sembra aver trovato delle risposte confortanti: «Qui mi sento bene di nuovo, ma non ho alcuna certezza che potrò sentirmi così per tre o quattro mesi di fila». Intanto però il forfeit di Wawrinka gli ha aperto le porte degli Us Open senza passare da qualificazioni o wild card: «Sarà un bel test, mi allenerò duramente e vedrò come reagisce il mio fisico». Certo, il tempo sta inesorabilmente chiedendo il conto ai Fab Four, con l’eccezione di Djokovic, e allora può scattare la caccia agli eredi: «Credo che di quella che fu la Next Gen, Medvedev sia il più pronto a prendere il nostro posto, sarà il prossimo numero uno anche se deve migliorare sulla terra rossa. Mi piace anche Tsitsipas, ha avuto un inizio di stagione molto brillante ma adesso deve confermarsi, però se devo fare il nome di un giovanissimo che potrà costruire qualcosa di importante nel futuro, dico lo spagnolo Alcaraz, perché ha un gioco completo e a quanto mi dicono una testa da campione. Ma di quella generazione, il tennista che mi diverte di più è sicuramente Musetti». Un’incoronazione dal Baronetto.
Berrettini vista Slam (Federica Cocchi, La Gazzetta dello Sport)
E’ passato poco più di un mese da quel giorno straordinario per il tennis italiano. Matteo Berrettini, di bianco vestito, che entra sul Center Court di Wimbledon per giocare la finale contro Novak Djokovic. Il risultato non è stato esattamente quello sperato, con il numero 1 al mondo a sollevare il trofeo e Berrettini acciaccato dopo la battaglia, ma adesso per il numero uno italiano è tempo di ripartire. Prima tappa Cincinnati, direzione New York (Us Open dal 30 agosto), dove tutto è iniziato due anni fa, con una semifinale indimenticabile contro Rafa Nadal.
Matteo, la conosciamo per essere una persona riflessiva. Ha metabolizzato la finale di un mese fa?
Metabolizzato… In parte. Diciamo che ci ho pensato più volte, con sentimenti alterni. Per ora comunque è il risultato più importante della mia carriera, non può che essere un punto di riferimento positivo del mio percorso. Sono felicissimo di averla giocata. Non l’ho riguardata tutta, solo qualche passaggio. Anche perché conoscevo già il risultato…
È cambiato qualcosa per lei dopo quel match?
Io sentivo che avrei potuto arrivare a una finale Slam, perché conosco i miei mezzi e le mie possibilità. Forse è cambiata la percezione da parte degli altri. Adesso sanno che ci sono anch’io. E poi mi ha fatto piacere vedere che tante persone si sono avvicinate al nostro sport o sono tornate a seguirlo. Quest’estate, ovunque andassi, c’era gente che mi riconosceva e questo non può che farmi piacere.
Ora come sta la sua gamba?
Adesso sta bene. È stato un periodo difficile, durante la finale di Wimbledon avevo dolore ma non immaginavo si trattasse di una lesione al vasto mediale. Ho dovuto attendere un po’ prima di riprendere perché la ferita doveva saldarsi e ricucirsi prima di tornare ad allenarmi. Mi sono preso qualche giorno di vacanza ma ho cercato comunque di restare attivo, non volevo rischiare di lasciarmi andare, o avrei compromesso il rientro.
E dire che l’hanno accusata di essersi inventato l’infortunio per non andare a Tokyo e riposare dopo le fatiche di Wimbledon.
È stata una doppia sofferenza. Da una parte perché ho dovuto saltare i Giochi, a cui tenevo tantissimo, e poi perché svegliarsi la mattina e leggere cattiverie gratuite sul mio conto mi ha ferito. Ma fa parte del gioco, devo farci l’abitudine. Chi mi conosce non ha mai dubitato di niente e sa quanto male sono stato, ci saranno sempre persone che diranno la loro e parleranno senza conoscere i fatti. E poi io già sono perseguitato dagli infortuni, penso che arrivare a inventarsene uno, dopo tutto quello che ho passato, sarebbe un po’ come tirarmi addosso la iella.
Ora lo Us Open è alle porte. Uno Slam che le è entrato nel cuore.
Intanto voglio capire a che punto è la mia gamba sinistra, come reagisce alle partite vere. A New York, ovviamente, spero di andare avanti il più possibile. Contro Djokovic ho capito che l’esperienza è decisiva in una finale Slam. Dovrò fare tesoro di quello che ho imparato a Wimbledon.
«Provaci ancora Federer». Te lo chiede anche Roddick (Alessandro Mastroluca, Corriere dello Sport)
Provaci ancora, Roger. L’invito dei rivale Andy Roddick, la cui storia rimane legata a quella volée tirata oltre il corridoio a Wimbledon (in una delle sue tre finali perse contro Federer) contro il campione svizzero, racchiude tutto il senso della sua eredità. «Non conta quale sia o sarà il suo livello di gioco – ha detto a Tennis Channel lo statunitense, ex numero 1 del mondo – è importante che possa dire addio come vuole lui, se vorrà farlo giocando un’ultima partita davanti ai suoi tifosi». Federer non ha ancora mai pronunciato la parola «ritiro». Ma l’annuncio della quarta operazione alle ginocchia, la terza dall’inizio del 2020, rende meno sfuggente e lontana la prospettiva dell’addio alle scene. Niente Us Open, niente più tornei nel 2021 (quest’anno ne ha giocati appena 5, per un totale di 13 partite giocate), l’appuntamento con i campi è – speriamo – per il prossimo anno. «Sarà dura ma vorrei stare bene e concedermi una piccola speranza di tornare a giocare» ha detto nel video sui social in cui ha spiegato che starà fuori molti mesi. Il prologo dell’addio passa anche per una parola ripetuta più volte dal campione svizzero. Voglio essere «healthy», dice, stare in buona salute dunque. Per lasciare il circuito alle sue condizioni. In ogni caso, già comincia a mancare agli avversari di ieri e di oggi che non sembrano pronti, come i suoi tifosi del resto, ad accettare l’idea che il tempo passi anche per lui. «Adoro vedere giocare Roger Federer e spero di rivederlo presto – ha detto il numero 2 del mondo Daniil Medvedev, che ha vinto la settimana scorsa a Toronto il suo quarto Masters 1000 – tutti noi lo ammiriamo e vogliamo provare a batterlo anche se non è lo stesso giocatore di qualche anno fa». Ma sono le parole di Andy Roddick, che l’ha conosciuto nei suoi anni migliori, a restituirci quel che lo svizzero ha seminato nel suo passaggio. «Mi piacerebbe che mio figlio, se mai dovesse avere anche solo un centesimo del suo successo, sia educato e rispettoso come lui – ha detto – non c’era mai un senso di privilegio negli spogliatoi con lui. Di campioni ce ne sono stati tanti, e molti altri verranno. Ma il più forte insegnamento di Federer, per me, sta in come si comportava quando nessuno lo vedeva».
Pianto Osaka, crisi continua (Roberto Bertellino, Tuttosport)
Masters 1000 di Cincinnati ancora bagnato, anche se ieri dopo un regolare avvio degli incontri la programmazione è stata interrotta dopo un’ora e mezza su tutti i campi per riprendere dopo un’altra ora e 30 minuti. Una nuova sospensione ha ulteriormente ritardato la serie coinvolgendo anche il primo dei giocatori azzurri chiamati in campo, Lorenzo Sonego. Il torinese, opposto allo spagnolo Carlos Alcaraz, era indietro di un break dopo aver perso il servizio nel terzo gioco (1-2). La prima pausa ha fatto invece bene all’ex n°3 del mondo, il bulgaro Grigor Dimitrov, in profonda crisi di risultati nell’ultimo periodo. Ieri è andato a segno in due set con recupero nel secondo, contro Roberto Bautista Agut. Un’iniezione di fiducia per Dimitrov che in seconda battuta troverà il kazako Alexander Bublik. Promosso al turno successivo anche Hubert Hurkacz, vincitore in stagione nel Masters 1000 di Miami, costretto al terzo set dallo spagnolo Davidovich Fokina. Hurkacz incontrerà al prossimo turno l’ex n° 1 del mondo Andy Murray, vincente all’esordio con il francese Gasquet. Il draw femminile ha visto ieri l’esordio della ex n° 1 del mondo, Simona Halep, che ha ceduto il secondo set alla polacca Linette ma nel terzo è tornata a fare la differenza. Proseguono intanto i problemi con le conferenze stampa di Naomi Osaka. La prima rilasciata con il metodo classico dopo un periodo di lungo silenzio l’ha vista scoppiare in lacrime dopo una domanda “scomoda” circa il suo difñcile rapporto con i media che rappresentano, difficile sostenere il contrario, uno dei veicoli più importanti della sua popolarità e dei guadagni che ne conseguono, ovviamente abbinati ai risultati sul terreno di gioco. La “telenovela” continua…