Battuti Matteo Berrettini e Sascha Zverev, Novak Djokovic è arrivato al boss finale in termini di progressiva difficoltà sulla sua strada per il Grande Slam, visto che lo attende il N.2 ATP Daniil Medvedev. Occhio con le metafore, però, perché se nel tennis del 2021 c’è qualcuno che potrebbe sentire il bisogno di un tutorial (probabilmente creato da un virgulto molto più giovane di lui come da regola aurea di YouTube) questo è proprio Daniil, ancora in cerca del primo titolo Slam della carriera dopo essere stato perentoriamente rimbalzato proprio da Nole durante la finale dell’Australian Open (la sua seconda in un Major) dello scorso febbraio per 7-5 6-2 6-2, con l’incontro che era virtualmente finito dopo il primo set.
All’epoca Medvedev era reduce da una striscia di venti vittorie di fila in cui aveva battuto dodici Top 10 (incluso lo stesso Djokovic), ma dopo un torneo sostanzialmente dominato si era imbattuto in quel glitch del sistema tennis che da lì in avanti ha avviato una campagna senza precedenti per diventare il primo uomo a vincere ogni Major della stagione dal 1969, nonché il primo a farlo su tre superfici differenti.
Per certi versi, le condizioni in cui due arrivano alla finale non sono troppo dissimili da quelle di Melbourne: Medvedev non ha mai sofferto, perdendo un solo set, mentre Djokovic ha dovuto faticare di più (a febbraio in virtù principalmente di un problema agli addominali smaltito definitivamente fra i quarti e le semi) ma alla lunga è riuscito a piegare la resistenza di ogni avversario, la vera cifra stilistica di tre dei suoi quattro Slam del 2021 (a Wimbledon non ha praticamente mai avuto problemi) che l’hanno visto diventare un emulo di John Wick.
Con questo non si vuole indurre il russo a scongiuri di alcun tipo, ovviamente; anzi, le lezioni del passato non potranno che aiutarlo. Da un lato il percorso dei due, che all’epoca aveva equilibrato di molto i favori del pronostico, stavolta non verrà preso in considerazione dall’opinione pubblica, togliendo parecchia pressione dalle sue spalle; dall’altro quanto appreso durante quel match gli tornerà sicuramente utile durante la partita di domani.
Ed è di questi due aspetti che vogliamo occuparci in vista del match. Aiutandoci con l’ottima analisi di quella partita fatta da Damiano Verda e con il match charting di Tennis Abstract, andremo a vedere sotto quali aspetti Djokovic fosse riuscito a radere al suolo le certezze di un giocatore che di solito quando inizia a vincere smantella gli avversari in totale atarassia, e soprattutto proveremo a vedere cosa potrà fare Medvedev per far sì che la situazione non si ripeta e per mettersi di traverso sui binari della storia.
SERVIZIO
“Giocò in modo diverso tatticamente rispetto ai match che avevamo giocato in precedenza. Non ero pronto a quel tipo di partita, ma ora lo sono. Sento che non ho dato tutto quello che avevo in campo a Melbourne. Qualcosa non si è acceso. Darò tutto sull’Arthur Ashe stavolta“. Queste sono le parole con cui Medvedev ha certificato la pesante sconfitta subita alla Rod Laver Arena.
E la prima arma spuntata era stata il suo generalmente efficacissimo servizio, con cui aveva vinto il 69% sulla prima (dato non disprezzabile ma nettamente inferiore al 79 che ha fatto registrare sul cemento nell’ultimo anno) e un miserrimo 32% sulla seconda (mediamente fa il 53,5). Il dato su quest’ultima era stato particolarmente sconsolante perché non solo il dato complessivo era basso, non solo perché Djokovic aveva fatto addirittura il 58% con la sua, ma anche perché non c’era stata nemmeno una tipologia in cui Daniil fosse riuscito a raggiungere il 40%: non ci era riuscito con i punti diretti né con gli scambi lunghi né con quelli intermedi, segno di una resa totale e dato sconfortante in prospettiva, visto che Medvedev non è noto per essere uno che mette tante prime in campo.
In quella partita aveva avuto una percentuale di prime in campo media (64%); stavolta il primo aspetto su cui dovrà cercare di migliorare, quindi, sarà di giocare più prime o, in mancanza di queste, di cercare di essere più competitivo con la seconda. Finora Medvedev ha servito alla grande durante lo US Open (82 con la prima, 57 con la seconda): starà a lui far sì che quanto di buono fatto finora non si disperda.
Ormai è il segreto di Pulcinella che Djokovic sia diventato uno dei migliori battitori del circuito (ha finito con più punti vinti con la prima sia nel match con Berrettini che in quello con Zverev ed è sesto nel Serve Rating sul cemento delle ultime 52 settimane). Durante quella partita, infatti, aveva vinto la stessa percentuale di punti al servizio sotto i tre colpi (32% ciascuno) contro un avversario molto più alto di lui e quindi teoricamente favorito in questa categoria. Dove aveva fatto ancora di più la differenza, poi, era sui punti lunghi giocati alla battuta: aveva infatti chiuso con 28 punti di questo tipo contro i 18 di Medvedev – in sostanza, quando lo scambio si allungava sul suo servizio, il russo andava subito in ambasce.
Medvedev dovrà quindi cercare o di fare molti più punti diretti (non facilissimo contro una delle migliori risposte di sempre) o di costruire meglio il punto in uscita. Guardando alla prima opzione, a Melbourne aveva reso decisamente di più con la botta centrale, con la quale aveva totalizzato il 71% dei punti, mentre con quella esterna era rimasto al 65. Con la seconda, invece, era stato disastroso da destra, vincendo appena tre punti su quattordici e soffrendo in particolare sul kick al centro che va ad impattare il rovescio alto di Djokovic. Da quel lato potrebbe quindi trovarsi fra l’incudine e il martello, e chissà che non decida di giocare spesso due prime come nella semifinale vinta a Cincinnati nel 2019.
RISPOSTA
In Australia Djokovic aveva messo in campo l’80% di risposte profonde (percentuale calcolata sui soli servizi “giocabili”, escludendo quindi ace e prime vincenti); Medvedev aveva fatto addirittura meglio, toccando l’82%, ma il dato che aveva favorito e non di poco Nole riguardava le risposte negli ultimi centimetri di campo – il serbo aveva raggiunto il 20%, Medvedev solo il 9%.
Non ci sono dubbi sul fatto che la posizione molto profonda di quest’ultimo sia stato un fattore da questo punto di vista: Medvedev è della scuola Nadal dei ribattitori, scommette sulla sua abilità di far partire lo scambio quasi sempre per fiaccare il nerbo dei rivali, ma contro un avversario eccezionale nei colpi di controbalzo quale Djokovic potrebbe trovarsi costretto a cambiare strategia.
La necessità di un cambio di paradigma sembra essere giustificata dal poco equilibrio negli scambi sopra i tre colpi: Djokovic aveva prevalso sia sul proprio servizio (per 21-18) che su quello di Medvedev (17-12), e, mentre non è strano che il risponditore prevalga in questo tipo di punti, lo è invece che lo faccia il battitore, segno della poca incisività di quel giorno di Daniil in uno dei suoi dipartimenti preferiti. L’unico servizio su cui era riuscito a creare qualche problema a Nole, infatti, era stato la seconda da destra, vincendo più della metà dei punti contro la curva a uscire.
Finora il russo ha risposto benissimo ad entrambi i servizi: 36 break con il 53% di palle break sfruttate, 135 punti vinti sia contro la prima che contro la seconda, una media di 7,1 a set, mentre Djokovic ha vinto più punti totali in risposta ma solo perché ha giocato cinque set in più. Va anche detto però che prima della semifinale con Auger-Aliassime non si era trovato a fronteggiare esattamente dei bombardieri, e quindi il dato potrebbe essere messo a dura prova durante la finale.
ERRORI NON FORZATI
Questo è un aspetto che nella finale australiana si era manifestato chiaramente: i dati di Tennis Abstract ci raccontano di 32 errori da fondocampo contro i 19 di Djokovic, un disavanzo che era diventato incolmabile dalla parte del dritto, dove Djokovic aveva finito con un saldo di +5 fra vincenti e non forzati mentre Medvedev si era trovato a -6.
Damiano Verda aveva peraltro sottolineato come, nella parte calda del primo set (durante la quale si è col senno di poi decisa la partita), Djokovic avesse azzerato gli errori non forzati negli ultimi cinque game, mentre Medvedev ne aveva commessi quattro (tre con il suo generalmente infallibile rovescio, peraltro) nello stesso frangente – nemmeno tantissimi, ma più che sufficienti per perdere terreno dall’automa della città bianca. Di seguito il grafico dei loro errori nel primo set della sfida di Melbourne (sempre a cura di Verda):
Va da sé, quindi, che se Medvedev vorrà fare partita pari dovrà cercare di contenere al minimo i gratuiti, o quantomeno dovrà cercare di controbilanciarli con un grado di proattività superiore – all’Australian Open aveva messo a segno solo 15 vincenti nello scambio, uno in più del decisamente più efficiente rivale.
DIREZIONE DEI COLPI E LORO TIPOLOGIA
E che Medvedev debba provare a fare qualcosa in più offensivamente lo conferma la distribuzione dei colpi dei due: in quella finale, il russo aveva giocato solo il 24% dei suoi colpi fra lungolinea, sventaglio e inside-in (i colpi che generalmente cambiano l’inerzia dello scambio in uscita dalle diagonali), mentre Djokovic era arrivato al 30%, risultando particolarmente efficace sia con il dritto a sventaglio che con il rovescio lungolinea.
Quest’ultimo colpo è stato particolarmente negativo per Medvedev, che ha vinto solo uno degli otto scambi in cui ne ha colpito uno, perdendo fiducia rapidamente in una delle sue armi principali). Il serbo aveva quindi potuto giocare molto più tranquillamente sull’incrociato, rinfrancato da un avversario restio ad osare. L’ultimo dato che fa pensare che Medvedev possa provare a verticalizzare di più è legato al dritto lungolinea: nelle 21 circostanze in cui ne aveva tentato uno aveva fatto il punto 15 volte, una delle sole due categorie di scambi in cui fosse riuscito a prevalere nettamente.
L’altra è invece quella dei rovesci tagliati di Djokovic: quando Nole aveva provato a staccare la mano, Medvedev aveva prevalso per 18-11, incluso un netto 9-3 nelle circostanze in cui il numero uno ATP aveva cercato di addormentare lo scambio con uno slice al centro. Si può quindi supporre che Medvedev cercherà di essere più aggressivo, mentre Djokovic proverà a limitare la soluzione in back, anche se i campi molto rapidi di questo US Open potrebbero diventare a loro volta un fattore nell’eventuale utilizzo di ambo le soluzioni.
CONCLUSIONE
Questo è quindi ciò che ci raccontano i dati, come sempre parziali e come sempre soggetti a fattori incalcolabili. Viene però da dire che difficilmente Medvedev (che ha lavorato tanto con l’amico di Ubitennis e guru dei numeri Fabrice Sbarro) non avrà rivisto la sconfitta di febbraio da più angolazioni, inclusa quella tattico-statistica, e conseguentemente viene da pensare che arriverà con un piano partita molto chiaro e volto a rubare la scena a Nole in una partita in cui le pressioni saranno tutte su quest’ultimo. Questo sarà un match storico a prescindere: l’auspicio è che lo spettacolo in campo sia all’altezza delle attese.