Il titolo di Sofia, passato quasi sottotraccia rispetto al clamore di quello dello scorso anno, ci ha consegnato uno Jannik Sinner ormai recuperato dal periodo negativo della fase centrale della stagione, con le quattro sconfitte consecutive culminate davanti a O’Connell ad Atlanta e con alcune delle precedenti vittorie che, con tutto il rispetto per gli avversari, non ci avevano fatto spellare le mani. Un periodo che ha coinciso con le condizioni più lontane dalle preferite (il duro, specialmente indoor) e, forse, anche da alcune comprensibili insicurezza in seguito a qualche modifica tecnico-tattica, tra gli accorgimenti al servizio e la ricerca della rete – zona per sinneriana natura lontanissima da quella di comfort –, obiettivo ultimo che passa necessariamente per il miglioramento nella gestione delle palle da attaccare, il tutto per non lasciarsi sfuggire le situazioni di vantaggio che la sua spinta dalla linea di fondo gli crea.
La sterzata di Washington e lo zero nella casella dei set persi a Sofia
Se la brusca sterzata era arrivata con il successo all’ATP 500 di Washington, superando giocatori dalla classifica non luccicante ma agguerriti e in ottima forma, in Bulgaria abbiamo visto Jannik giungere in finale senza aver espresso il suo miglior tennis, per poi ritrovarlo nell’ultimo atto. Proprio l’aver vinto sempre in due set pur giocando complessivamente peggio degli avversari, almeno in una frazione, è un sintomo assai significativo di una ritrovata fiducia dopo l’appannamento estivo. Ma c’è di più. Contro Gerasimov, Duckworth e Krajinovic, nonostante giornate tutt’altro che di grazia e un dritto frequentemente fuori misura, l’azzurro ha comunque vinto un set con relativo agio e, soprattutto, è riuscito a ribaltare la frazione che pareva persa. Quando l’altro si è trovato servire per chiudere il parziale, da una parte Jannik è stato bravo a non arrendersi (scoramento per la giornata storta e “tanto è solo un set”), ma a rispondere e alzare il livello; dall’altra parte della rete, però, l’indispensabile collaborazione di chi si rende conto che “posso battere Sinner, il campione in carica, la prima testa di serie”.
Un irriverente confronto con Rafa Nadal
Senza per questo andare a infilarci in paragoni esagerati (che comunque non mancheranno a breve), pensiamo a certe vittorie di un Nadal poco centrato – quest’anno con Shapovalov e Sinner a Roma, Ivashka a Barcellona – che hanno dato l’impressione di stargli sopra o di poterlo fare, ma alla fine hanno perso. Se è impossibile avere la controprova, non è nemmeno troppo campata in aria l’idea che avrebbero probabilmente vinto contro un diverso contendente che avesse messo in campo la stessa prestazione di Rafa. O di Jannik.
Nel loro tris Fognini, Barazzutti e Bertolucci hanno battuto tennisti più forti rispetto a Jannik
In ogni caso, domenica scorsa Sinner ha alzato il terzo trofeo della stagione eguagliando Fognini, Barazzutti e Bertolucci, con la possibilità ancora aperta di diventare il primo azzurro con quattro titoli in una stagione. Se andiamo a vedere il migliore avversario per classifica battuto dai nostri in ogni torneo, Sinner non raggiunge i picchi dei colleghi:
Sinner, 2021
Sofia (Indoor/Hard), n. 20 Monfils
Washington (Outdoor/Hard) n. 45 Korda
Melbourne 1 (Outdoor/Hard), n. 20 Khachanov
Fognini, 2018
Los Cabos (Outdoor/Hard), n. 4 del Potro
Bastad (Outdoor/Clay), n. 29 Gasquet
San Paolo (Indoor/Clay), n. 31 Cuevas
Bertolucci, 1977
Berlin (Outdoor/Clay), n. 33 Victor Pecci
Hamburg (Outdoor/Clay), n. 7 Manuel Orantes
Florence (Outdoor/Clay), n. 38 Pecci
Barazzutti, 1977
Parigi-2 (Indoor/Hard), n. 4 Brian Gottfried
Bastad (Outdoor/Clay), n. 37 Balazs Taroczy
Charlotte WCT (Outdoor/Clay), n. 8 Eddie Dibbs
In precocità… con Corrado, Paolo e Fabio però non c’è gara
A bilanciare questa “pecca” in termini di altrui ranking, Jannik ha al suo arco la freccia della giovane età, avendo raggiunto questo risultato nella stagione dei vent’anni contro i 24 di Corrado, i 26 di Paolo e i 31 di Fabio. E non possiamo non rilevare come il tennis degli anni ’70 fosse meno competitivo di quello contemporaneo, in cui le differenze si assottigliano in virtù di una preparazione atletica (per tacere dell’attenzione agli aspetti nutrizionali, mentali e tutto il resto) nemmeno comparabile a quella di oltre quarant’anni fa. Un’altra caratteristica che parla a favore del Rosso di Sesto è l’attitudine alle superfici dure – di gran lunga le più diffuse nel Tour –, laddove solo due titoli su nove degli altri tre italiani sono stati vinti fuori dalla terra battuta. Ma, più in generale nel panorama azzurro, c’è una top 15 raggiunta con una precocità sconosciuta ai (pochissimi) connazionali che possono citare quelle vette di classifica nel proprio CV. Non sfigura nemmeno il bilancio di 4-1 quando si è trattato di dare l’ultima zampata. Un bilancio che diventa 5-1 considerando le Next Gen Finals del 2019: l’ATP ha deciso (con colpevole ritardo, chiedere a Chung) di non contare quel titolo, ma la peculiarità di una finale, da molti considerata un match a sé, supera certi tecnicismi.
I tre fenomeni dicono di lui
Su Jannik e sulle sue qualità, ha peraltro già avuto occasione di esprimersi quella famelica entità nota come Big 3. Secondo Roger Federer, il nostro “ha la stessa velocità sia con il dritto che con il rovescio, oltre a muoversi in maniera incredibile per uno della sua altezza. E soprattutto è un ragazzo d’oro”. Djokovic dice che “colpisce la palla nel modo giusto più o meno su tutte le superfici, è polivalente, ha molto talento ed è in forma. È il futuro del nostro sport, e forse già il presente”. E per Nadal “è uno da tenere d’occhio con grande attenzione”.
Dov’erano i 3 fenomeni a 20 anni e 2 mesi?
Rimanendo sui tre fenomeni, ai quali aggiungiamo anche Murray, ci domandiamo dove fossero a vent’anni e (nemmeno) due mesi, l’età attuale di un Sinner che vanta quattro titoli e il n. 14 del ranking. Sappiamo già che Rafa è fuori scala, quindi lo togliamo di mezzo (in senso buono) per primo: diciassette titoli e secondo tennista del mondo – però non vale perché è mancino (o viene da un’isoletta o qualsiasi altra scusa). Per quanto riguarda Nole, top 5, aveva cinque trofei in bacheca, mentre Roger umilmente contava un solo titolo e il n. 12 ATP. Infine Murray, con due tornei vinti, era alla sua prima esperienza da top 10. Insomma, se l’impossibile band ventenne dei Fab 4 volesse allargarsi a Fab 5 (quindi da Beatles a Duran Duran), Jannik non sfigurerebbe affatto.
Giocherà i doppi per allenare i colpi d’inizio gioco. Paul Mc Namee lo comfronta con Berrettini
Nell’immediato futuro c’è il torneo di Indian Wells, con Jannik presente anche nel doppio in coppia con Matteo Berrettini. Per quanto l’accoppiata sia da leggere in chiara ottica Coppa Davis (Fognini lo gioca al fianco di Lorenzo Sonego), si tratta del nono torneo di specialità a cui partecipa quest’anno, segnale che lui e il suo team vogliono sfruttare ogni ragionevole occasione per mettere alla prova del campo il lavoro in allenamento su servizio e gioco di volo, al tempo stesso familiarizzando con l’importanza di quelle situazioni. E le sfide con i corridoi non sono neppure male per migliorare la risposta, uno dei colpi fondamentali del gioco moderno e per il quale Sinner è già nell’élite del tennis. A proposito di questa coppia, Paul mcNamee, già vincitore di quattro titoli Slam di doppio e direttore del torneo di Sofia, ha detto a Ubaldo Scanagatta che “Jannik è un giocatore completo a tutto campo, mentre Matteo si affida più al suo pesante dritto dopo l’altrettanto possente servizio. Stili diversi, quindi, con Sinner più adatto alle caratteristiche lineari dei campi in duro e Matteo che si adatta meglio a erba e terra battuta”.
Jannik somiglia più a Lendl che a Leconte, è più Fab 4 che Kyrgios
A ognuno il suo percorso è una regola da tenere sempre presente e neppure fingiamo di dimenticare che la crescita di un tennista non è lineare, ma pensare a dove si trovavano Berrettini e Sonego cinque anni fa ci riempie di ottimismo per ulteriori progressi in virtù di un potenziale non ancora del tutto espresso. Al contrario, Sinner ha ampi margini di miglioramento, locuzione che nel suo caso non è un ironico eufemismo per limitarsi a dire che è “scarso” su qualche colpo, bensì una fondata ipotesi che possa colmare quelle lacune. Fondata perché Jannik è un perfezionista, non rifugge l’autocritica, guarda avanti e pensa continuamente a migliorare: con una mentalità più da Lendl che da Leconte o più da Fab 4 che da Kyrgios, non si può che essere fiduciosi – lui per primo – in vista del raggiungimento di quegli obiettivi.