Parliamoci chiaro. Per le nostre aspettative, quelle generalmente condivise dagli appassionati italiani, il torneo di Indian Wells è stato una grande delusione. E il fatto che alle semifinali del torneo siano giunti 4 tennisti non compresi fra i primi 25 del mondo accentua inevitabilmente quella delusione.
Anche se, d’altro canto, un po’ l’attenua il fatto che Fritz, il giustiziere della nostra squadra di Coppa Davis, abbia colto poi anche lo scalpo del tennista che pareva più in forma degli altri, Zverev. Il quale, detto inter nos, il suo match se l’è proprio mangiato, dal 5-2 in poi e con il doppio fallo sul matchpoint…sia pur con l’alibi del sole. Però è indubbio che Taylor Fritz, se giocasse sempre così, sarebbe un osso duro per chiunque e ci si può perdere benissimo senza arrossire.
Tuttavia resta il fatto che dacché era uscito il sorteggio non c’era stato un media italiano che non si fosse affezionato all’idea di un ottavo di finale tutto italiano, il primo duello fra Berrettini e Sinner. Con un italiano – se quell’eventualità si fosse verificata – garantito nei quarti.
Mi sa che gli abbiamo portato tutti male, a entrambi. Affezionarsi a un’idea non voleva dire sognare, come quando -ad esempio – qualcuno aveva sognato che Berrettini battesse anche Djokovjc e trionfasse a Wimbledon. Quello sì che era un sogno, anche se dopo il primo set, la schiera dei sognatori si era infittita.
Questa volta, confidando nell’ordine delle teste di serie di Indian Wells e in un tabellone che pareva piuttosto buono fatta eccezione per Isner sulla strada di Sinner (e pure Isner ha poi invece dato via libera spianando la strada) era un pronostico – ancor più che una speranza – che pareva avere solide basi di concretezza. L’ostacolo Fritz, una doppia gabbia se fosse stato un concorso ippico, non pareva insormontabile.
Invece nel Masters 1000 più abbordabile della storia degli ultimi 17 anni, senza Djokovic, Nadal e Federer, con Aliassime subito fuor di scena, un Medvedev fuor …di testa (pazzesco il modo in cui avanti 6-4 e 4-1 è riuscito a perdere con Dimitrov, anche se poi il russo ha dato la colpa alla lentezza della superficie e alla enorme difficoltà nello sfruttare l’efficiacia del servizio), i nostri due migliori giocatori hanno deluso ogni aspettativa giocando… malissimo Berrettini e male pure Sinner!
Ciò sebbene sia giusto osservare che Fritz è stato tutto fuorché un amico – battutaccia cui nessuno si è sottratto, e c’è stato anche chi nei social ha optato per l’aperitivo preferito da Sinner e Berrettini… il gin-Fritz! – in particolare contro Sinner quando è sembrato in giornata di vena davvero straordinaria (come del resto ha replicato nel secondo set contro Zverev).
L’americano ha comandato sempre lui il gioco, salvo che nei primi 6 giochi, favorito peraltro da un Sinner disastroso al servizio: 0 ace, 4 doppi falli 51% di prime palle ma intorno al 40% per più di un set, 34% soltanto di punti vinti con seconde palle spesso servite pianissimo, 12 palle break a Fritz che non è davvero Djokovic ma Jannik lo ha fatto apparire tale (per questi dati assai accurati ringrazio l’affezionato lettore Brandon).
Di giocare male ci sta. Accade, più o meno, a tutti. Nessuna giornata è uguale all’altra, anche per noi che non giochiamo a tennis. Sappiamo tutti che i grandi campioni, i Fab Four un esempio infinito per tutti, sono quelli che sono anche i più continui nell’esprimersi ad altissimo livello.
E in termini di continuità mi sembra che quest’anno noi ben poco possiamo rimproverare a Matteo Berrettini, che non solo è rimasto saldamente fra i primi 8 del mondo smentendo quanti dubitavano del suo ruolo di top-ten ma è salito a n.6 con una serie di risultati impressionanti che avrebbe potuto essere addirittura ancora migliori se non avesse avuto la sfortuna di imbattersi nel n.1 del mondo Djokovic in tre Slam (Parigi, Londra, New York) e non fosse stato costretto a ritirarsi a Melbourne. Devo ricordare che sono i tornei che distribuiscono più punti?
E ben poco, sempre in termini di continuità, possiamo rimproverare a Jannik Sinner che aveva chiuso il 2020 a un già lusinghiero n.37 ATP e lunedì prossimo, a 20 anni e 2 mesi, lo ritroveremo a n.13 del mondo (ovviamente suo best ranking) e ancora in corsa per le ATP finals, mentre per le NextGen è semplicemente il primo in graduatoria. A un ventenne che sale 24 posti in classifica non si può che dire bravo.
Se quest’anno è stato un anno magico per il tennis azzurro lo dobbiamo principalmente a loro due, anche se a far parlare di rinascimento del tennis italiano hanno contribuito in tanti. E cioè almeno tutti quei dieci giocatori che in certi periodi sono stati contemporaneamente fra i top 100, stimolando anche i colleghi giornalisti di altri Paesi a scrivere e chiedersi del fenomeno italiano. E ciò è accaduto proprio nell’anno in cui Torino si appresta ad ospitare le finali ATP che per 12 anni erano state a Londra e mai prima in Italia. Di quest’ultimo successo, ottenuto su un campo diverso, quello politico-organizzativo, dobbiamo essere grati a tutti coloro che si sono battuti per raggiungerlo: cioè la federtennis, gli enti locali piemontesi, ex sindaco Appendino in testa, il Governo all’epoca in sella.
Tutto ciò ampiamente premesso e sottolineato, con giusto orgoglio e direi perfino con la dovuta riconoscenza… perché sono i buoni risultati che fanno crescere l’interesse della pubblica opinione e di conseguenza gli spazi nei media nonchè il maggior coinvolgimento delle aziende e degli sponsor, questo non ci esime dall’esprimere le nostre opinioni su quanto abbiamo visto accadere a Indian Wells.
Voglio aggiungere alla lunga premessa anche il fatto che, probabilmente per le condizioni climatiche, la strana luce, i campi davvero lenti, quasi nessuno dei top-player ha giocato fin qui bene (salvo forse Zverev fino al 5-2 al terzo con Fritz prima di rovinare ogni cosa). Lo stesso Tsitsipas, n.2, era stato in notevole difficoltà con Fabio Fognini e le ha confermate con Basilashvili. Questo per dire che se si sono trovati male anche Berrettini e Sinner, beh ci sta. Peccato però. Quei punti del Mille di Indian Wells, così tanti, facevano gola e servivano da morire.
Dispiacerebbe però che questi riscontrati in California potessero rivelarsi segnali di affaticamento, conseguenti a una lunga e stressante stagione. Tanto più stressante perché seguita al semestre Covid di riposo forzato nel 2020.
E dispiacerebbe perché ci sono ancora 4 settimane di tornei importanti, forse decisivi sia per la qualificazione alle finali – per Berrettini voglio sperare sia quasi scontata – sia per la classifica di fine anno che è super importante per la posizione nel seeding del prossimo Australian Open e…per i contratti con gli sponsor.
Nelle 4 settimane che restano al massimo si puo’ partecipare a un paio di 250, a un 500 e a un Masters 1000. C’è Anversa la settimana prossima (o Mosca, entrambi 250), Vienna quella successiva (500 o St Petersburg 250), Parigi-Bercy (1000, dal 1 al 7 novembre), Stoccolma (250 dal 7 al 13…e chi la gioca non può fare le Next Gen, come Sinner sa e come a Aliassime non interessa perché ha detto che alle NEXT Gen non partecipa comunque).
Matteo Berrettini non si è imbattuto nel Fritz che ho poi visto contro Jannik Sinner e Zverev – anche se il risultato con cui si è imposto sui due azzurri il ragazzo californiano con il viso da attore è stato identico, 6-4,6-3 – ma mi è parso terribilmente imballato, lento e scarico.
Non so spiegarmene il perché. Troppo a lungo fermo dopo l’US Open? Può essere. La lucrosa esibizione della Rod Laver Cup non può davvero essere considerata vero momento d’agonismo.
Matteo non era stato brillante con Tabilo al primo turno, ma la sua prova incolore poteva anche essere conseguenza di una certa sottovalutazione dell’avversario.
Contro Fritz si è probabilmente demoralizzato quando ha visto che la sua arma migliore, il servizio, era proprio spuntata. Per uno abituato a raccogliere il massimo da quel colpo, prodromo di un dritto altrettanto mortifero, può essere un piccolo trauma.
Non fai ace né servizi vincenti e ti disperi, entri nel panico. Forzi di più e il servizio entra ancora meno. Perdi fiducia e serenità, ne viene contagiato tutto il resto del gioco. Ciò detto, però, mi ha impressionato davvero negativamente – più di qualuqnue altra cosa – la lentezza all’uscita della battuta.
Fritz aggrediva le seconde palle di Matteo come se fossero arrivate delle mozzarelle. Le ribatteva lunghe e profonde, quando anticipando e spiazzandolo, quando giocandogli addosso, al corpo. E Matteo sembrava piantato sul cemento. Come non mi era più capitato di vederlo da tempo. E il guaio è che non è mai riuscito a scuotersi.
Anzi, piatto lo si vedeva scuotere la testa senza neppure provare a reagire, a caricarsi, a cacciare anche qualche bell’urlo…che di solito non amo, ma ammetto che certe volte scuotono e servono. A volte mi chiedo se non potrebbero farlo anche i coach, sebbene non sia elegante. Di certo papà Tsitsipas non si pone questo problema.
Vabbè, una volta ci può stare. Lui stesso, mi pare d’avergli sentito dire nel corso delle interviste rese di Vanni Gibertini – unico giornalista italiano presente di persona a Indian Wells …tutti hanno ripreso quel che Vanni ha scritto, ci fosse stato uno (salvo Slalom.it la miglior newsletter tra tutte, insieme alla nostra Warning di Claudio Giuliani per Ubitennis…cui vi consiglio spassionatamente di registrarvi) che si fosse degnato di citare Ubitennis! Non usa più…– ha definito quella sua partita “la peggiore dell’anno”.
E che sia stata la partita peggiore dell’anno personalmente non mi crea eccessive preoccupazioni. Mi preoccuperebbe invece se Matteo fosse giù di fisico a tal punto da rendere complicato un suo pieno recupero per il prossimo mese di tennis. Dando per scontata, o quasi, la sua presenza a Torino sarebbe un vero peccato se non riuscisse a presentarsi nelle migliori condizioni. Perché a Torino ci potrebbero essere chance di successo per tutti, quasi come a Indian Wells. Non dimentico che alle finali ATP di Londra ho visto trionfare Dimitrov, Zverev e Tsitsipas quando nessuno di loro era davvero uno dei favoriti della vigilia.
Piuttosto…speriamo che chi si occupa di scegliere la velocità del campo del PalaAlpitour – Sergio Palmieri? – non la sbagli. Un piccolo vantaggio a chi gioca in casa tutti gli organizzatori l’hanno sempre considerato, senza per questo macchiarsi di colpe rimproverabili da chicchessia.
E ora vengo a Jannik Sinner. Non doveva battere per forza un ottimo Fritz. E, come hanno giustamente sottolineato in telecronaca SKY Elena Pero e Paolo Bertolucci, l’aspetto più positivo è stato il constatare che anche nella situazione di punteggio più compromessa Jannik ha continuato a lottare, a caricarsi, a crederci (al contrario di quanto aveva mostrato Berrettini).
Direte che non è un aspetto sorprendente in relazione al Sinner che ormai abbiamo imparato a conoscere, però a 20 anni è quasi più normale lasciarsi andare, mandare tutti al diavolo, compreso se stesso, piuttosto che continuare a lottare irriducibilmente come ha fatto Jannik.
Non è poco. Anche in questo aspetto il ragazzo dai capelli rossi è un’eccezione nei confronti dei suoi coetanei, per non dire un fenomeno.
Diciamo però che alla voglia di lottare non si è aggiunta – anche dal suo angolo? – la voglia di pensare un po’ prima a un qualche cambiamento tattico-strategico che forse si sarebbe dovuto fare.
Magari ci se ne accorge più facilmente stando seduti fuori dal campo che dentro. Per questo, però, ho scritto che magari dall’angolo qualche piccolo segnale gli poteva essere…ILLEGALMENTE (ma così fan tutti) trasmesso.
Forse ciò è accaduto perché nei primi game Sinner aveva condotto le danze, fino al 4-2 e allora lui e i suoi hanno pensato che se gli fosse tornata quella efficace precisione d’inizio gara ciò gli sarebbe bastato.
Il problema è che Jannik non si è reso conto che il suo gioco, quel tipo di gioco basato sul corri e tira senza variazioni di tagli e potenza, aveva messo in palla Fritz. Purtroppo per lui. Sinner ha, purtroppo di nuovo, un tennis un po’ monocorde, potente ma piatto, che può mettere in palla gli avversari che sono capaci di reggerlo.
Fritz, rinfrancato dall’ottimo esito dei game successivi al 2-4, non ha più sbagliato una palla facile, anzi. Ha tirato sempre più forte e profondo e Jannik che, come ho accennato sopra, ha servito malissimo subendo 4 break di fila e 5 in 9 turni di battuta, è sempre più affondato nelle sue angoscie, come quando ha perso 8 game di fila.
Vanni Gibertini che ha seguito il match a Indian Wells sostiene che il match è girato su poche palle e accenna a diversi se e ma. Io, che ho visto il match meno bene, e cioè alla tv, ho avuto invece una sensazione assai diversa. E cioè che Fritz avesse sempre in mano il match, dopo i primissimi game in cui ha preso le misure a Jannik. Più vedevo il match e più pensavo che l’americano avrebbe potuto vincere con un punteggio ancora più netto. Il mondo è bello perché vario, così come le opinioni.
Chi ci legge sa che Sinner ha deciso recentemente di cambiare diversi dettagli nel servizio. Ma dettagli non sono, anzi. La posizione dei piedi, l’altezza del lancio di palla.
Due modifiche non da poco. Chiedo: era il caso di affrontarle proprio adesso? Proprio adesso che l’obiettivo delle finali ATP di Torino, ancora raggiungibile ma forse meno di una settimana fa visti i risultati di Hurkacz e il vantaggio di Ruud, è alla portata?
Per favore non si dica che a quell’obiettivo nel clan Piatti non si dà troppa importanza, visto che Jannik stesso rispondendo a una mia domanda quand’era ancora a Sofia dichiarò che avrebbe forse giocato anche a Stoccolma se avesse potuto sembrargli utile. O altrimenti invece a Milano per le Next Gen, sorprendendoci un po’ perché pensavo che avendole già vinte non avrebbe avuto troppo piacere a giocarle…salvo che non fosse un quasi obbligo di Sponsor. Intesa Sanpaolo è il title sponsor di quel torneo e Sinner di Intesa Sanpaolo – così come Lorenzo Musetti – ne è un ambassador (come dicono coloro che non vogliono più chiamarli testimonial).
E’ vero, va detto visto che ho poco fa accennato a…casa Piatti, che per Jannik si è sempre parlato di un programma a lunga scadenza, due, tre anni di lavoro e di attesa senza troppa fretta, cercando pian piano di migliorare tutto il migliorabile.
Jannik è il primo ad essere convinto di questa filosofia, lo ripete in tutte le salse, “lavorare, lavorare e lavorare, ci vuole tempo, non bisogna avere troppa fretta di raggiungere subito certo risultati, meglio costruirsi il bagaglio tecnico necessario per arrivare in alto, al massimo del proprio potenziale”.
Però, allora, anche la programmazione dovrebbe essere coerente. Che senso ha programmare un tour de force, un torneo dopo l’altro, cambiando in corso d’opera dettagli tecnici che non sono dettagli e che emergono in tutta la loro complessità quando nascono serie difficoltà nel corso di un match, se le modifiche tecniche cui si vuole metter mano – e che non si limitano al servizio a quanto mi disse Jannik sia pure senza voler rivelare quali fossero le altre “Se non le vedete non ve le dico…” – sono più importanti dei risultati? Pensare di conquistare le une (le modifiche) e gli altri allo stesso tempo (i risultati) non è fortemente presuntuoso?
E i risultati negativi non potrebbero avere ripercussioni negative altrettanto negative, sia pure nella testa di un ragazzo solido nei suoi determinati proponimenti come quelli di Jannik?.
Se cambiare fortemente l’esecuzione di un servizio è considerato un processo importante, fondamentale, decidere di farlo un po’ più in qua, quando le sorti per la qualificazione alle finali ATP fossero già decise, in un senso o nell’altro (dentro o fuori), non era più saggio? E non solo più prudente?
Il servizio è un colpo terribilmente delicato. Se entra o non entra ne risente tutto il resto del gioco. Più di qualsiasi altro colpo. Soprattutto su certe superfici. E soprattutto ai livelli in cui giocano i Berrettini, i Sinner. Se perdi, come è accaduto a Jannik, 5 game di servizio su 9, potete star certi che anche il dritto, il rovescio peggioreranno inevitabilmente. Tutto verrà travolto, financo i nervi. Difatti ho visto Sinner abbozzare qualche risolino nervoso, autoironico verso se stesso come mai gli avevo visto fare prima, gesti di stizza, mezzi tentativi di scagliare via una palla alla Djokovic (i giudici di linea non c’erano…), di buttare la racchetta a terra. Gesti di nervosismo abituali per quasi tutti i tennisti del globo, ma abbastanza inconsueti per lui.
Insomma io, lo confesso, sono proprio perplesso (fa pure rima…). Certezze non ne ho, salvo che una: e cioè il fatto che la decisione presa di cambiare modo di servire durante Sofia (dove il cast dei partecipanti era ben altro e anche i punti in palio erano ben altri) e durante Indian Wells, quando al contempo il calendario agonistico era invece così impostato, non mi sono sembrati strategicamente coerenti. Due diverse lunghezze d’onda. Cambiamo questo colpo così delicato, il servizio, in tutto e per tutto, pur consapevoli del rischio (come non esserlo?), ma tentiamo ugualmente di fare la corsa alle finali di Torino. Mah…