È scomparso a 66 anni l’ex tennista e numero uno della scuola di Roma: Raffaele “Ciro” Cirillo, amatissimo maestro di tennis da tanti soci del club che ospita gli Internazionali BNL d’Italia, è stato colpito da grave ictus emorragico ed è tenuto in vita artificialmente. I medici stamane ne hanno dichiarato la morte cerebrale.
Qui riportiamo l’intervista di Repubblica di qualche mese fa alla vigilia degli Internazionali 2021:
Raffaele Cirillo, detto Ciro. Chi a Roma frequenta il Parco del Foro Italico sa di chi parliamo, conosce il direttore tecnico del circolo tennistico degli Internazionali d’Italia. Barese d’origine, è una sorta di istituzione. Questa è la sua storia.
Lello, come nasce il rapporto con il tennis?
“A Bari, avevo 12 anni: la mia attenzione fu attratta da una notizia: ‘Corso a Bari’. Io, che sono mancino e stravedevo per Mario Corso, pensavo fosse lui, così chiesi a mio padre di portarmici. Per un equivoco mi è cambiata…”.
Da Bari, poi, fino a Roma.
“Prima succede che vado a finire a Formia con il gruppo di Mario Belardinelli. Eravamo giovani spensierati, nessuno pensava di poter fare il tennista professionista. Dicevamo sempre: ‘bene che vada, faremo i maestri di tennis'”.
Un altro mondo.
“Già, ma la passione rimasta sempre la stessa. Nonostante il mio carattere molto ribelle: quanti scontri con Mario, all’inizio. Poi sono diventato uno dei suoi prediletti. Noi eravamo la squadra che seguì il periodo di Panatta, Bertolucci e Barazzutti: eravamo quelli piccoli, quelli che stavano dietro”.
E la carriera di tennista?
“Potevo anche diventare un buon giocatore di tennis, ma il mio carattere non me lo ha permesso. Mi rivedo molto in Fognini: Fabio è un bravo ragazzo, un ragazzo per bene quando sta fuori dal campo ma in campo… e questi sono dei limiti. Ho smesso di giocare a 26 anni”.
Altro che i 40 di Federer. E poi?
“All’epoca non c’erano i soldi per girare, quindi l’attività era molto era molto ridotta. Così ho cominciato piano piano l’attività di insegnante: iniziai vicino Rovigo. Quello che ho fatto sempre è stato cercare di trasmettere la passione, l’entusiasmo”.
E quindi l’inizio del rapporto con la Federtennis.
“Grazie a Franco Costantino, mio grande amico. Iniziammo il rinnovamento del settore tecnico, da Serramazzoni. Dopo ci fu Latina, con Massimo di Domenico, due anni finii a Riano insieme ad Adriano Panatta: mi diedero da seguire gli Under 16: c’era Andrea Gaudenzi, con cui ho ancora un rapporto molto bello. La filosofia era la seguente: ‘l’obiettivo non è arrivare a essere il numero 1 ma essere il massimo di se stessi’. La mia esperienza tecnica si è conclusa tre anni dopo e, nell’89, diventai il responsabile della scuola prototipo”.
E chi ne beneficiò?
“Schiavone, Gambino, Pennetta, Vinci, la Santangelo: c’è stato un lavoro di di organizzazione che ha portato a cambiare il modo il modo della Fit che non era più come una volta. esempio dalla Spagna, che aveva fatto questo discorso col maschile e vediamo ancora oggi i risultati. Poi aumentammo i numeri dei tornei, e proprio la Pennetta, a 18 anni, giocò l’ultimo torneo dell’anno a Biella da 270 del mondo e arrivò tra le prime 100”.
Un altro fiore all’occhiello, ma andiamo avanti?
“Sì, la storia continua perché io mi feci da parte perché vidi una situazione nella gestione delle wild card che non mi piaceva. Ma arriviamo al 2000, e inizia l’era della Coni servizi. Il dott. Albanese mi chiede di portare avanti il circolo del Foro Italico. Per poesia gli dico ‘proviamoci’, e così eccoci qua”.
Al Parco del Foro Italico.
“Io non lo dirò mai, ma la considero una mia creatura che abbiamo fatto crescere in questi vent’anni. La struttura serve per migliorare l’organizzazione degli Internazionali. Qui è stato l’inizio di tutto, e ringrazio anche Diego Nepi, altro grande innamorato di questo posto”.
Come si fa a non amare questo luogo?
“Tutti lo consideriamo casa nostra ma noi abbiamo un occhio diverso: custodiamo questo posto. Per la sua bellezza veniamo a lavorare qui la mattina sin dalle sette. Io mi sento il custode di questo luogo dell’anima”.
Infatti è frequentato anche dai vip.
“Qui gira un sacco di gente, da Myrta Merlino a Marco Tardelli e prima ancora Gianni Rivera, Andrea Abodi e Giuliano Amato. Che a 83 anni gioca una volta a settimana e mi fa correre a destra e sinistra e migliora perché ha un segreto: tutte le sere, per rilassarsi, guarda il tennis in tv con sua moglie Diana. Ecco, il tennis è un aiuto in più: trasmette passione alle persone, e questo è il vero risultato del maestro”.
Certo, chi gioca al Foro è un privilegiato.
“No, assolutamente. Questo è un circolo aperto a tutti, abbiamo dei prezzi che non sono esorbitanti. E poi c’è il discorso della scuola tennis, per i bambini, una scuola di base molto importante e sono strafelice che il maestro sia Tonino Zugarelli. A me ricorda la nostra generazione che si ritrovava e per questo dico che non siamo stati fortunati, ma super fortunati: il tennis, grazie a Dio, è stato la salvezza per tante persone me compreso”.
E il futuro di questo impianto?
“Se vogliamo essere obiettivi e onesti, oggi come oggi questa struttura non basta più però per il torneo ma la domanda è una sola: è possibile immaginare il torneo di Roma fuori dal Foro Italico?”.