La presunta scomparsa di Peng Shuai è argomento di dibattito nel mondo del tennis dall’inizio di novembre, da quando la giocatrice ha accusato Zhang Gaoli (vicepremier dal 2013 al 2018) di violenza sessuale. Da allora Peng non ha più rilasciato dichiarazioni pubbliche, destando preoccupazione sulla sua incolumità. Negli ultimi giorni, pertanto, sono cresciute sempre di più le richieste di un intervento da parte della WTA, che è infine arrivato, e con più forza di quanto ci si aspettasse. Detto questo, il tour femminile si trova davanti ad un bivio non semplice in virtù degli enormi interessi economici in ballo. Ma procediamo con ordine.
L’ACCUSA
Peng Shuai è stata N.1 WTA di doppio in virtù dei titoli vinti a Wimbledon nel 2013 e al Roland Garros nel 2014, mentre in singolare è stata N.14, raggiungendo le semifinali dello US Open nel 2014. Non gioca un incontro ufficiale dal febbraio del 2020. Il 2 novembre, ha utilizzato un social media cinese, Weibo, per pubblicare una lettera aperta all’ex-vicepremier Zhang Gaoli (oggi settantacinquenne), accusandolo di averla costretta ad un rapporto non consensuale nel 2017. Di seguito il suo post, rimosso dopo mezz’ora dalle autorità governative:
Questo il passaggio chiave (la traduzione è tratta da The Racquet di Matthew Willis): “Quando ho finito di giocare, tu e tua moglie Kang Jie mi avete portata a casa vostra, tu mi hai portata nella tua camera da letto, e come successo dieci anni prima nel Tianjin hai voluto fare sesso con me. Ho avuto molta paura, non mi aspettavo che le cose andassero in questo modo. Avevo seppellito i nostri trascorsi dentro di me, ma perché mi sei venuto a cercare, mi hai portata a casa tua e mi hai costretto a fare sesso con te, visto che non volevi assumerti le tue responsabilità? Sarebbe impossibile per me rimanere in possesso di prove, quindi non posso dimostrare le mie accuse. Tu hai negato tutto, ma quel pomeriggio io non ti ho dato il mio consenso e ho pianto per tutto il tempo”.
Peng ha anche aggiunto: “Mi hai sempre chiesto di mantenere segreto il nostro rapporto, non potevo dirlo nemmeno a mia madre. Mi sentivo come un cadavere ambulante. Dovevo fingere ogni giorno, e ormai non sapevo più cosa fosse reale. […] So che in virtù del tuo rango, Vice Premier Zhang Gaoli, hai detto di non aver paura delle mie accuse. Ma dirò comunque la verità su di te, anche se sarà come tirare un uovo a una roccia e anche se per me vorrà dire farmi del male come una falena che vola troppo vicina alla fiamma”.
LA REAZIONE DEL GOVERNO CINESE
Zhang è stato come detto vicepremier dal 2013 al 2018, nonché membro del Politburo Standing Committee (la leadership del Partito Comunista) dal 2012 al 2017. Stando alla versione della giocatrice, i due avrebbero avuto una relazione attorno al 2007 (quindi prima che il cursus honorum di Zhang raggiungesse le posizioni di cui sopra), ma Zhang l’avrebbe aggredita nel 2017, appena ritiratosi dalla carica all’interno del Partito.
Mentre il movimento MeToo cinese è cresciuto molto nell’ultimo anno, arrivando a toccare diverse celebrità, questa è la prima accusa ad un membro di primo piano della nomenklatura cinese (anche se va detto che Peng non si identifica con il MeToo nel suo post). Come fa notare Matthew Willis, tuttavia, il Partito e Xi Jinping stanno utilizzando il MeToo cinese per eseguire un repulisti dei personaggi famosi che secondo la Cyberspace Administration of China hanno un effetto “caotico” sulla società. In buona sostanza, persecuzione dei dissidenti e liste di proscrizione da cui nessuno è al sicuro, basti pensare a Jack Ma, il fondatore di Alibaba, letteralmente sparito dopo aver pronunciato un discorso di critica alle politiche economiche governative, e la sua società di pagamenti online, Alipay, svalutata subito prima della quotazione in borsa programmata per la fine del 2020.
Il caso di Peng è paragonabile a quello di Ma, perché la sua accusa è andata a toccare i nervi scoperti del governo centrale. La reazione è stata perciò commensurata alla portata dell’evento, o quantomeno lo è stata nel contesto di un governo autoritario come quello cinese: il post è stato rimosso nel giro di 30 minuti, il nome “Peng Shuai” e il suo profilo Weibo sono stati bloccati sui browser cinesi, e lo stesso vale per la parola “tennis”, anche se nel secondo caso le ricerche sono state soppresse solo temporaneamente; tutti i commenti ai suoi post precedenti sono stati soppressi o censurati, mentre una pagina di discussioni legate al tennis (sempre su Weibo) ha patito a sua volta la chiusura dei commenti.
Soprattutto, però, da allora Peng non ha fatto affermazioni pubbliche, e il governo cinese non ha riconosciuto le sue accuse né mostrato l’intenzione di lanciare un’investigazione. Per questo motivo la preoccupazione legata alla sua incolumità è cresciuta, e negli ultimi giorni hanno iniziato ad arrivare appelli da parte di tanti esponenti dell’universo tennistico, da Alize Cornet a Nico Mahut, da Chris Evert a Martina Navratilova.
I COMUNICATI WTA E ATP: UNA SCELTA DIFFICILE
Inizialmente, però, la WTA non si era espressa sulla questione, e per un motivo molto semplice: il circuito femminile dipende dal giro di affari generato dai tornei cinesi. La WTA organizza 11 tornei in Cina, incluso un accordo decennale ed estremamente lucrativo per organizzare le WTA Finals a Shenzhen. Il montepremi dell’edizione del 2019 era di 14 milioni di dollari, il doppio dell’anno precedente, e più in generale l’impegno delle autorità era di investire oltre un miliardo di dollari nel corso dell’accordo – per fare un paragone, il prize money delle Akron WTA Finals di quest’anno a Guadalajara è di 5 milioni, nonostante una risposta molto migliore del pubblico in situ.
Il tour femminile sarà probabilmente stato influenzato nel suo temporeggiamento dagli ormai frequenti contrasti insorti fra membri della NBA e il governo cinese su varie questioni: nel 2019, l’allora general manager degli Houston Rockets Daryl Morey (oggi ai Philadelphia 76ers) ha tweettato a sostegno dei manifestanti di Hong Kong, mentre il centro dei Boston Celtics, il turco Enes Kanter (già perseguitato politicamente dal regime di Erdogan), ha recentemente espresso il proprio sostegno per il movimento Free Tibet e criticato duramente le politiche cinesi sia a Taiwan che per quanto riguarda il genocidio degli uiguri nel nord-ovest della Cina. Il 30 ottobre Kanter ha guidato una protesta in favore di quest’ultimo gruppo, e il 21 ottobre ha definito il premier cinese Xi Jinping un “brutale dittatore”.
Il risultato di queste prese di posizione è stato un danno economico non indifferente: dopo il tweet di Morey, la TV di Stato cinese ha bloccato la trasmissione di alcune partite mentre diversi sponsor cinesi hanno terminato i loro accordi con la Lega, causando una perdita quantificata dal commissioner Adam Silver in diverse centinaia di milioni di dollari di revenue; quelli di Kanter hanno invece portato al blocco delle partite dei Boston Celtics con annessa cancellazione di tutti gli highlights delle partite passate della franchigia, mentre il nome del centro turco è stato bloccato sui browser cinesi.
Il problema è che la NBA ha una forza economica che la WTA (e il tennis in generale) semplicemente non possono replicare, ed è quindi più difficile per i circuiti prendere una posizione decisa anche in casi di tale gravità. Oltre agli 11 tornei organizzati nel Paese, la WTA ha anche un accordo con iQIY, la più grande piattaforma di streaming cinese, dove i match vengono trasmessi gratuitamente.
È stata quindi una parziale sorpresa quando nella giornata di ieri Steve Simon, presidente della WTA, ha rilasciato un comunicato stampa in cui annuncia il pieno sostegno dell’associazione giocatrici alla collega.
“I recenti fatti avvenuti in Cina e riguardanti una giocatrice del circuito WTA, Peng Shuai, sono motivo di profonda preoccupazione. In quanto organizzazione riservata alle donne, ribadiamo il nostro impegno in difesa dei principi fondativi – uguaglianza, opportunità e rispetto”, si legge. “Peng Shuai, e tutte le donne, meritano di essere ascoltate, non censurate. Le sue accuse riguardanti la condotta di un ex-leader cinese, accuse che riguardano un episodio di violenza sessuale, devono essere trattate con la massima serietà. Ciò che a suo dire sarebbe avvenuto deve essere investigato in ogni società, non condonato né ignorato. Elogiamo Peng Shuai per il suo grande coraggio e per la forza mostrata nel farsi avanti con le sue accuse. In tutto il mondo, le donne stanno riuscendo a trovare una voce per far sì che venga posto rimedio alle ingiustizie”.
“Ci aspettiamo che questa faccenda venga gestita nel modo corretto: le accuse devono essere investigate pienamente, giustamente, con trasparenza e senza censura. Le nostre assolute e incrollabili priorità sono la salute e la sicurezza delle nostre atlete. Abbiamo deciso di intervenire pubblicamente cosicché venga fatta giustizia“.
LE PAROLE AL NEW YORK TIMES: PENG STA BENE MA NON È CONTATTABILE
In una serie di commenti rilasciati al New York Times, Simon ha voluto dare qualche rassicurazione sulle condizioni dell’atleta: “Diverse fonti, inclusa la federtennis cinese, ci hanno confermato che Peng sta bene e non è in pericolo”, ha detto. Allo stesso tempo, però, nessuno della WTA è riuscito a parlare direttamente con lei: “Da quello che ho capito è a Pechino, ma non posso confermarlo perché non sono riuscito a parlare direttamente con lei”.
Su questa buona notizia si è concentrato il comunicato di Andrea Gaudenzi, la cui ATP è spettatore interessato nella vicenda (il circuito maschile dipende assai meno dai tornei asiatici, ma i tornei di Shanghai e Pechino rimangono tradizionalmente fra i più remunerativi e fra i papabili di “upgrade” nel ravvicinato futuro): “Non vi è niente di più importante per noi della sicurezza della comunità tennistica. Siamo profondamente preoccupati dall’incertezza che circonda la sicurezza e l’attuale domicilio di Peng Shuai. Le notizie diffuse dalla WTA sull’incolumità della giocatrice sono incoraggianti, ma continueremo a seguire la questione da vicino. Ci uniamo alla WTA nel chiedere una piena, giusta e trasparente indagine nelle accuse di violenza sessuale mosse da Peng Shuai“.
Tornando però ai commenti rilasciati dal presidente della WTA al New York Times, Steve Simon ha parlato dell’aspetto economico da realista: “Siamo tutti consapevoli di quale sia la posta in gioco su più fronti. Penso che ci sia grande comunanza d’intenti fra le giocatrici, il board e il consiglio sul fatto che l’unica cosa accettabile sia fare ciò che è giusto”. C’è però la realpolitik anche nel tennis, e Simon è il primo ad ammettere che la WTA non potrà fare molto per influenzare la condotta del governo cinese: “So di non poter risolvere i problemi che affliggono il mondo. Quello che so è che un membro della famiglia WTA ha mosso delle accuse molto serie, e che noi la supporteremo al 100% e chiederemo una piena investigazione dei fatti. Se questo non avverrà e il governo cinese non coopererà dovremo prendere delle decisioni, cosa che siamo pronti a fare – questo è il massimo che possiamo fare. Ma di sicuro non cambieremo la nostra posizione in merito – sappiamo che è quella giusta”.
E quali siano queste decisioni sembra chiaro dalle sue parole: “Non possiamo scendere a compromessi, stiamo parlando di una possibile aggressione ai danni di una nostra giocatrice. Ci sono troppe situazioni nel mondo di oggi in cui si scende a compromessi. Se non ci dovessero essere investigazioni soddisfacenti in merito, saremmo pronti a portare via i nostri tornei dalla Cina”.
Si tratta dunque di una risposta molto più forte di quanto fosse preventivabile visti gli interessi in gioco. Rimane però la questione di quanto la WTA possa permettersi di mettere in pratica quanto detto: il circuito femminile è stato duramente colpito dalla pandemia, con lo swing asiatico che non si è svolto per il secondo anno di fila. Va detto però che già queste affermazioni fanno onore a Steve Simon e a tutta la sua organizzazione: ogni giorno assistiamo a compromessi (come li ha definiti lui stesso) fra entità politico-finanziarie e regimi che non condividono la visione occidentale dei diritti civili, compromessi che però spesso e volentieri somigliano a rese pressoché totali e in taluni casi sempre più spudorate. Affermazioni di tale portata sono perciò un passo avanti, seppur piccolo: ancora una volta, però, non sarà facile dare seguito a queste parole se ne andasse del futuro del tennis femminile.