Quasi un anno è ormai passato dallo storico 11 luglio 2021, il giorno in cui l’Italia vinse l’Europeo, certo, ma non solo. Per il nostro tennis quel giorno vorrà sempre e solo dire Matteo Berrettini in finale a Wimbledon, primo italiano nella storia, avanti di un set e in lotta fino alla fine contro un certo signor Novak Djokovic. Matteo, che oggi occupa la sesta posizione del ranking ATP (secondo migliore piazzamento di sempre per un azzurro dopo la quarta raggiunta nel 1976 da Adriano Panatta) resta (per ora) il numero uno d’Italia nonostante sia lontano dai campi e dovrà rimanerci ancora un po’ per ristabilirsi dall’operazione alla mano. Nelle interviste rilasciate sia a Repubblica che al Corriere dello Sport, tra una domanda sul tennis e sul recupero, non ha mancato, con la solita genuinità e timidezza, di sottolineare il ruolo suo e degli attuali tennisti azzurri nell’immaginario collettivo.
“Non me l’aspettavo di diventare un personaggio, forse non ero pronto“, esordisce Matteo, “ma la mattina, quando mi sveglio penso a come battere Djokovic e Nadal, soltanto a questo. Tutto il resto è comunque da gestire e non è facile. Vorrei restituire l’affetto che sento attorno, è un dovere, ci provo e la sera mi scopro distrutto dopo esserci riuscito pochissimo. Sono cambiato. È cambiato tutto. Forse, ora preferirei vincere uno Slam ma anche la Davis è lì, non troppo lontana. Penso che la nostra squadra sia fortissima e che possa riportare in Italia l’insalatiera dopo tantissimi anni: noi, come i trionfatori del ’76. E abbiamo un dovere e un onore: far giocare i bambini a tennis. Dobbiamo essere il traino della loro passione“.
Parole di un ragazzo che sa benissimo da dove è partito, dove è arrivato e cosa può dare, soprattutto quando poi la chiacchierata si sposta sul ricordo della finale di Wimbledon: “Quando arrivi così vicino a un successo nello Slam, è questione di dettagli. Djokovic era alla trentesima finale, io alla prima, lui inoltre per caratteristiche di gioco mi dà parecchio fastidio, e così un anno fa ho preso… il palo. Speriamo la prossima volta di far gol. Scherzi a parte, quest’anno a Wimbledon sarò meno pronto perché 12 mesi fa ero arrivato lì con tanti match sulle spalle, stavolta no. Ora però ho più esperienza e sono più maturo. Gli stop e le sconfitte mi hanno insegnato tanto, sono più importanti. Dopo un’assenza per infortunio o un ko ho sempre sentito una grande spinta dentro di me, un motivo di rivalsa. Le sconfitte se sono poche e sono prese bene, possono aiutare“.
La problematica degli infortuni, purtroppo, è sempre stata presente con forza nella carriera di Matteo Berrettini, che sta scontando un lungo periodo di assenza sui campi, che probabilmente gli costerà tutta la stagione sul rosso, compresi i suoi amati Internazionali d’Italia e il Roland Garros: “Gli Internazionali sono il torneo che sento di più dal punto di vista emotivo perché da bambino ero lì a vedere il torneo e sognavo di essere competitivo a quei livelli. Fa male saltarlo. Purtroppo a causa del Covid e della capienza ridotta nelle ultime due edizioni non me lo sono goduto. Vedrete che nel 2023 avrò le energie mentali per presentarmi al Foro Italico per far bene. Intanto punterei su Sonego e Sinner, sperando che un italiano arrivi in fondo. Ora come ora anche per il Roland Garros dico più no che sì. Non prenderò rischi che non hanno senso, io gioco un torneo solo se penso di poter arrivare in fondo. Se così non sarà, vuol dire che passerò all’erba, e questo stop forzato mi permetterà di arrivare più fresco a fine novembre, puntando a qualificarmi per le ATP Finals, e sperando che vada un po’ meglio dell’ultima volta. L’infortunio mi ha fatto perdere tanti punti, ma ho tempo per recuperare e ci proverò“.
“Abbiamo cercato di capire il problema degli addominali e non abbiamo trovato nulla di particolare“, prosegue Matteo facendo il punto sugli infortuni, “anche se la parte sinistra dell’addome è più sviluppata a livello muscolare della destra. Tutto è cominciato con lo strappo dopo la quarantena in Australia, e la cicatrice ha innescato la reazione a catena. Non drammatizzo, ma non sarò mai un tennista da 35 tornei l’anno. Per quanto riguarda la mano, ho sentito per la prima volta il dolore al dito nei giorni precedenti a Indian Wells, quando facevo il rovescio a due mani: avvertivo come uno scatto del tendine che usciva dal binario. I primi accertamenti non avevano dato un esito preoccupante ed ero sceso in campo con gli antidolorifici. Il fastidio, però, aumentava e per questo mi sono ritirato a Miami. Capita la reale entità del problema, mi sono operato, ed era una lesione di una piccola parte della mano che fa sì che il tendine del mignolo non stia al suo posto. Nel mio caso usciva sempre dalla sede naturale e si lussava. Adesso ho ripreso a dare la mano, a muoverla e… a salutare, ma ancora niente tennis“.
Dunque ci vorrà ancora un po’ per rivedere in campo il nostro numero 1, che nonostante sia fermo ai box mette un preciso paletto ai suoi obiettivi a breve e medio termine: “Chiedo alla seconda parte del 2022 di essere sano e spingere forte. Non ho mai giocato bene il Master 1000 in Canada, neppure a Cincinnati. Sarebbe stupendo fare un “giro” americano bello compresi ovviamente gli US Open“. La dedica finale va però al primo vero amore, per l’uomo che ha davanti solo 5 tennisti in tutto il mondo, e per un attimo ritorna bambino: “Quello che mi mette in crisi è quando nonna mi chiama al telefono, e un po’ piangendo mi dice che le manco, confesso di vacillare un po’ “. In bocca al lupo, Matteo, e torna presto.