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C’è rimasta soltanto Martina Trevisan per sognare. Per sognare, cioè, un posto in semifinale. Camila Giorgi e Jannik Sinner, in modo assolutamente diverso, hanno lasciato il Roland Garros. Tristemente. E, per quanto mi riguarda, con non poche preoccupazioni.
Camila ha fatto solo 4 game contro una giocatrice come la Kasatkina indubbiamente molto intelligente, capace di fare sempre le scelte più giuste sotto il profilo tattico.
Tanto è esplosiva e impulsiva Camila, tanto è capace di usare e variare bene le armi che ha Daria Kasatkina, una delle ragazze tennisticamente più sveglie e lucide del circuito.
Non ha un fisico da amazzone, il media guide della WTA le attribuisce un metro e 70 di altezza, non ha davvero la potenza di tante tenniste, e nemmeno di Camila, ma la russa dà la sensazione di sapere sempre quel che deve fare ora che a 25 anni è più matura. Di certo ha un gran coach, quel Carlos Martinez che per 7 anni ha allenato Svetlana Kuznetsova, campionessa di due Slam, ex n.2 del mondo e forte su quasi tutte le superfici. L’ho intervistato e mi è piaciuto molto quel che mi ha detto. Un coach così, fossi nella FIT, lo ingaggerei al volo!
Daria, senza avere un gran servizio – che però dosa alla grande, ieri ha cominciato piano con dei kick che non andavano oltre i 140 km orari, poi all’improvviso, ecco un servizio a 170, ecco un ace, ecco traiettorie sempre diverse e velocità mai uguali – è arrivata a essere n.10 del mondo e già oggi è ritornata da n.20 a un virtuale n.17 che potrà diventare ancora migliore se batterà la Kudermetova, sua coetanea russa e compagna di squadra in Billie Jean King Cup che conosce da sempre e che ha battuto nell’unico incontro da professionista a San Pietroburgo.
Se io fossi coach di una giocatrice guarderei al video questo match con una mia allieva e le farei notare almeno 20 punti – sotto ai quali sul mio bloc-notes ho appuntato una sigla: tv – gestiti alla grande. Non basta ovviamente il senso tattico, la strategia, per ottenere certi risultati.
Occorre anche avere la tecnica per compiere certe variazioni, rovesci coperti, tagliati, smorzate, discese a rete in controtempo, finte… e non tutte le tenniste, e i tennisti, hanno la mano per farle. E, spesso, la lucidità e la testa, per pensarle.
Ma – e qui replico a distanza a quanto mi ha risposto Camila Giorgi in conferenza stampa – non si impara soltanto da del Potro sul servizio, da Djokovic (e ora magari pure da Rune) sul rovescio lungolinea, da Schwartzman i game di risposta, e da chissà quanti campioni del tennis maschile. Si può imparare tantissimo anche da giocatori, e giocatrici, meno celebri e celebrati, che però dimostrano di sapere fare cose non banali.
Studiarli non è peccato. Non ci si può limitare a dire: “Io faccio il mio gioco”. Né a dire – come purtroppo le ho sentito dire mille volte, seppur non ieri: “Non esiste un piano B”.
Il piano B deve esistere invece. Il tennis è come il gioco degli scacchi. Devi saperti adeguare alle mosse dell’avversario. Che non gioca sempre uguale. E tu devi saperti regolare e mettere in pratica le tue contromosse.
Occorre anche rendersi conto dell’umiltà e dell’intelligenza tennistica di giocatori, come Nadal (cito il più celebre solo perché perfino lui riesce ad essere umile, ma ce ne sono molti altri, molto meno forti e famosi) e… sì proprio come Daria Kasatkina, che quando vengono buttati fuori dal campo a seguito di un colpo molto angolato, si ingegnano per rallentare e giocano una palla alta e liftata (ma non così alta e lenta che l’avversario/a possa avanzare e colpire con uno schiaffo al volo) per recuperare il centro del campo.
Invece, se andaste a rivedere il film del match, vedreste che Camila anche quando non ha quasi nessuna chance di fare il punto, ma dovrebbe limitarsi a recuperare e riprendere posizioni, tira forte, fortissimo anzi, dopo aver lasciato tre quarti del campo a suo lato senza alcuna difesa. C’è stata tutta una serie di punti nel corso del match in cui la stessa scena si è immancabilmente riproposta.
Per le avversarie, soprattutto a questi livelli se si muovono bene (e ci sono tenniste che invece non si muovono bene: la Pliskova e la Sabalenka che Camila ha battuta più volte e non per caso sono grandi giocatrici, grandi in tutti i sensi, di stazza, ranking e risultati, che si muovono male) è un gioco da ragazzi … segnare a porta vuota.
Certo qualche volta contro un servizio con traiettoria esterna, tipo quello che arriva sui punti pari e va sul dritto di una destrimane, puoi rischiare una gran botta anticipata di risposta e magari fare un punto altamente spettacolare, ma è una strategia che va contro ogni ipotesi percentuale. Ti riesce una o due volte, strappi applausi, ma perdi dieci punti.
Nel tennis poi non tutti i punti sono ugualmente importanti. So che è banale dirlo e ricordarlo. C’è chi li gioca come se fossero tutti uguali e chi invece li gioca in modo diverso.
Se andaste a rivedere la registrazione delle sei palle break che Camila ha avuto senza riuscire a trasfomarne una, capireste però quel che voglio dire. E quando si mancano una dopo l’altra tante occasioni così, per assenza di lucidità, il risultato finale non può che essere uno solo.
La Kasatkina ha avuto 8 palle break e 4 le ha trasformate. Stando seduto al lato corto del rettangolo di gioco ho potuto vedere bene quante volte la ragazza russa ha fintato il dritto, ha preso in contropiede Camila. Allora alla fine non mi sento di dire che la russa ha giocato bene e Camila male. Semplicemente Daria ha ragionato su ogni palla, soprattutto le più importanti, dal servizio alla risposta, e Camila invece non l’ha fatto. Non c’entra nulla dire – come ha risposto seccata a una mia domanda – “Io gioco aggressiva e quindi farò sempre più errori di lei”. Certo che è così, ma il punto sta se nell’essere aggressivi si calcolano minimamente rischi e traiettorie oppure no, se si valutano correttamente i punti importanti di un match oppure no.
Io non avrei voluto parlare in conferenza stampa. E’ lei che mi ha guardato e mi ha chiesto: “Sei deluso?”. E allora non ho resistito, ingenuamente lo ammetto, dal dirle che sì, in effetti ero deluso perché certe sue partite recenti mi avevano fatto intravedere certi progressi anche tattico-mentali, palle un po’ più lavorate, ricerca di angoli e righe non troppo esasperati, “terze palle di servizio” come raccomandava Sergio Giorgi nel finale della partita con la Sabalenka.
Pazienza, sarà – spero – per un’altra volta. Che poi lei è felicissima perché otterrà probabilmente il best ranking (credo n.25…se Martina Trevisan non batte la Fernandez, perché in quel caso Martina la scavalca).
Non ha nulla da rimproverarsi purtroppo Jannik Sinner davvero sfortunato perché farsi male in tre Masters 1000, Indian Wells, Miami e Roma (dove non si ritirò dopo essersi fatto male a un’anca sul setpoint del primo set con Tsitsipas, ma solo perché al Foro Italico non voleva deludere il pubblico italiano) e poi in uno Slam come questo in cui aveva ottime chances di fare molta strada, deve essere bruttissimo per un atleta.
Anche perché il modo in cui aveva dominato Rublev nel primo set sembrava davvero sottolineare una differenza già emersa nei due precedenti duelli vinti da Sinner (che aveva invece macchiato la sua fedina statistica ritirandosi a Vienna 2020 con il russo dopo 3 game).
Sinner sembrava davvero nettamente più forte. Ero a pochi metri, massimo 3 o 4 quando, dopo 42 minuti di gioco, con Rublev avanti 2-1 e 15 pari nel secondo set, ho visto Sinner piegarsi all’improvviso in due dopo aver fatto una sorta di passo falso. Ho purtroppo capito subito che era un guaio grosso. La sua faccia, la sua espressione, è stata subito rivelatrice di un piccolo grande intenso dramma. Non ci sarebbe stato nulla da fare. E lo ha capito anche lui, pur interrogando disciplinatamente l’angolo sul daffarsi…
Vagnozzi lì per lì gli ha detto “Prova…”. Lui al cambio campo ha chiamato lo MTO. Il fisio gli ha fatto un massaggio più in alto sulla coscia. Probabilmente la diversa postura collegata all’infortunio dell’altro giorno lo ha spinto a muoversi diversamente dal solito, a smuovere muscoli per solito meno sollecitati. E a contrarli, forse a stirarli. Giocarci sopra, anche quel set, non gli avrà fatto bene.
Adesso c’è chi attribuisce questi infortuni al cambio di team, e in particolare di preparatore atletico. Cui fischieranno le orecchie. Ovviamente nessuno può dirlo con matematica certezza. C’è chi ha suggerito a Jannik di farsi risentire con Dalibor Sirola del team Piatti che lo ha seguito da quando aveva 13 anni. E lui ha detto: “So che lui mi vuole bene e io a lui”, come per dire che non lo esclude. Ma è indubbio che Jannik non ha il fisico elastico e naturalmente atletico (da ginnasta naturale a giudicare dalle spaccate che ha sempre fatto)di un altro giocatore magro come lui, Nole Djokovic (l’uomo di caucciù, il Tiramolla dei fumetti di 50 anni fa), né la potenza muscolare di un Rafa Nadal, né la flessibilità e la fluidità di un Roger Federer.
Cito questi tre fenomeni perché tanti in Italia già da tempo sembravano dare per scontato che, per via della sua precocità, Jannik fosse in grado di entrare a vele spiegate fra i primissimi tennisti del mondo. Intendo fra i primi cinque.
Il punto è che per riuscirci ci vogliono tante tantissime componenti. E bisogna avere anche il fisico. E il fisico lo si può avere molto ben predisposto naturalmente – sebbene sempre ci si debba lavorare sopra con grande costanza – oppure va continuamente costruito e allenato.
In certi casi ci vuole molta prudenza, non si deve esagerare con i carichi di lavoro, con i pesi, per non combinare danni.
Avrebbe potuto essere più forte fisicamente Jannik per sfuggire a questa serie di infortuni e di ritiri? Responsabilità di chi lo ha seguito dai 13 ai 20 anni? O dell’attuale team? O di tutti? Sta giocando troppo e gli mancano dei recuperi atletici? Non lo so e non vorrei sposare critiche precostituite di chi attribuisce cause ed effetti seguendo simpatie o antipatie per la persona del vecchio coach Piatti o per il nuovo coach Vagnozzi.
Certo il ragazzo ieri sera era parecchio abbattuto e lo capisco. Perché non sa nemmeno lui cosa fare adesso. Fermarsi? Certo, ma per quanto? Ripresentarsi sull’erba, che non è davvero la superficie ideale se uno ha problemi alle ginocchia?
Certo è che un anno fa lui aveva vinto già un torneo (Melbourne), era stato finalista in un Mille, era stato in semifinale a Barcellona e oggi – anche se può consolarsi con il fatto di aver perso sul campo e fino alla fine solo con giocatori classificati fra i migliori del mondo (Tsitsipas, Hurkacz, Aliassime e Zverev) – a metà anno non è ancora mai andato oltre i quarti di finale.
E purtroppo, come se non bastasse, oltre al contraccolpo psicologico di aver subito un ennesimo infortunio, il quarto dell’anno, ha davanti a sé un periodo di stop che nemmeno lui può sapere quanto lungo.
E quando riprenderà ci sarà comunque un periodo di rodaggio. Francamente non se lo meritava proprio. Né lui né il suo nuovo clan. Né si merita che adesso troppi cerchino di instillargli altri dubbi sulla scelta che ha fatto, solo perché si è fatto male.
La scelta, giusta o sbagliata che sia, l’ha fatta con il suo amico e mentore di fiducia Alex Vittur in piena coscienza dopo aver esaminato pro e contro. Tecnici, “sentimentali”, economici. Ora Jannik deve solo guardare avanti. Senza dar retta a troppe persone.
Di certo non direi che si è fatto male perché ha giocato troppe partite. A quest’epoca lo scorso anno ne aveva giocate 35, quest’anno 31 senza quelle in cui si è infortunato. Il problema delle vesciche (quello che lo ha fermato a Miami) lo aveva già avuto a Vienna due anni fa. E, così a lume di naso, secondo me quello avrebbe potuto (non dico dovuto) essere il meno difficile da prevenire.
Meno di un anno e mezzo fa, il 28 febbraio 2021, reduce dal torneo di Montpellier, Jannik decise di ritirarsi dal torneo di Rotterdam: aveva mal di schiena. Insomma problemini ne ha sempre avuti, con un team e con l’altro.
Fino all’anno scorso a dicembre Jannik ha continuato a crescere. Non è facile calibrare bene il lavoro in palestra quando un fisico non si è ancora del tutto assestato.
Ricordo bene di aver incontrato l’olandese di Rotterdam Richard Krajicek (classe 1971 e futuro campione di Wimbledon nel ’96) nel 1991 a Melbourne quando perse 6-4 al quinto da Cristiano Caratti negli ottavi di finale. Tennisticamente c’era una differenza enorme, fra i due. Ma Krajicek era ancora in fase di sviluppo fisico -non si era ancora accompagnato né a una delle sue prime fiamme, Lori del Santo, né poi alla bellissima moglie Dafne Dekker che avrebbe poi sposato – e quindi si acciaccava spesso, perdeva incontri che non avrebbe dovuto perdere.
Kraijcek nel ’90 era cresciuto improvvisamente di una ventina di cm, fino a raggiungere un metro e 96 cm – lo so che sembrano tanti, ma è proprio perché furono tanti che mi rimase impresso – e per un paio d’anno ha sempre avuto dei problemi alle ginocchia, ma anche alla schiena. Non ricordo se fu Agassi o qualcun altro a dire: “Krajicek si può infortunare un mattino sì e l’altro pure, anche nello scendere dal letto”.
SPUNTI TECNICI: Il nostro coach analizza colpo per colpo, foto per foto, Jannik Sinner al microscopio
Ora io auguro a Sinner di non restare fragile come l’olandese, ma certo Jannik dovrà prendersi grande cura del suo corpo. E tutti noi dobbiamo avere grande pazienza. Il suo tennis è solido, e lo ha ampiamente dimostrato anche nel 6-1 che ha inflitto a Rublev che schiumava di rabbia. Il suo fisico ancora non lo è e non si può sperare altro che lo diventi. Il suo team dovrà impegnarsi a fare tutto il possibile.
Così come mi pare stia facendo, nel suo piccolo, il team di Martina Trevisan. Anche lei non ha un fisico da marziana e deve misurarsi spesso con chi invece ce l’ha. Non è il caso della sua avversaria odierna, la canadese Fernandez. Mancina come lei. Forse ancora battibile a causa della sua inesperienza sulla terra battuta. Ha 19 anni. Sicuramente la partita Martina l’ha preparata bene, cambiando ance sparring partner: si è allenata condue diversi mancini, come mi ha detto in una intervista pubblicata ieri su Ubitennis il suo coach Matteo Catarsi, “ma il primo giocava troppi lift e topponi, mentre la Fernandez gioca molto piatto e anticipato. Bisognerà cercare di cacciarla un po’ più indietro.”
Ecco, se Matteo mi avesse detto soltanto: “Martina deve fare il suo gioco” sarei stato più pessimista. Invece lui la Fernandez se l’è un po’ studiata.
Di Holger Rune scriverò un’altra volta, anzi probabilmente altre mille volte. Mentre di Djokovic e Nadal, alle prese stasera con il 59mo duello, ho già scritto mille volte. Di Zverev e Alcaraz un po’ meno, ma non mancheranno altre occasioni. Dirvi chi sono i miei favoriti non cambia nulla…magari lo dico in mattinata nel minuto quotidiano che faccio per Instagram di Ubitennis. Se voleste sapere cosa pensano i bookmaker mi sembra comunque più significativo e ogni giorno pubblichiamo un articolo che racconta le quote di almeno tre diverse agenzie di betting. Giusto per avere un’idea.