Rubrica a cura di Daniele Flavi
Int. A Federer: «Famiglia e lavoro resto un vincente perché mi diverto»
Vincenzo Martucci, la gazzetta dello sport del 25.08.2014
Ancora si stupisce. Ancora è candido e curioso. E timido. E affamato di vita e di successi. Eppure si chiama Roger Federer, è uno di quei fortunati che non deve chiedere mai. «Quando l’ho chiamato pensavo proprio che Stefan non mi avrebbe voluto allenare. Edberg è stato il mio secondo idolo, subito dopo Boris Becker, mi piaceva come stile, in campo e fuori. E poi aveva anche il rovescio a una mano come me… Penso che l’abbia eccitato la grande opportunità di potermi aiutare, e mi ha portato sulla strada delle vittorie, insieme a tutto il mio team». Sull’infortunio di Rafa è sincero, come i forti: «Sono dispiaciuto per i tifosi e per il torneo, con lui anche un grande evento come gli Us Open è più eccitante, da giocatore spero che si rimetta presto e bene, anche così c’è un avversario molto forte di meno da battere, forse, perché poi i sorteggi sono strani. In 10 anni non ci siamo mai incrociati a New York». Potrebbe evidenziare le differenze fra il «corri e tira» degli altri e la sua danza elegante, invece svicola: «Io difficilmente non gioco un torneo come questo e salto 3-6 mesi, quando posso stacco, quando posso vado in vacanza, perché fisico e testa hanno bisogno di riprendersi. Guardandomi indietro, all’evoluzione del tennis, mi sento più vicino a quelli che lo giocano in modo molto classico, tradizionale. Prima il 30% faceva servizio-volée, il 30% era aggressivo e il 30% stava sul fondo, oggi tutti sono ugualmente forti, hanno tutti i colpi e in tutte le parti del campo, il tennis è diventato più sport di movimento che di differenze e talento, e quello che ti porta di più in alto è il lavoro. Io sono orgoglioso che, con tanti aggiustamenti, sono ancora moderno, pur mantenendo il mio stile elegante». Potrebbe vantarsi di più della sua modernità, invece è anche iromco: «Non voglio giocare con prudenza, a volte mi dico che devo rischiare, come da junior. Lentamente sono arrivato su Facebook e da Parigi dell’anno scorso sono su Twitter, volevo dare alla gente uno sguardo diverso su di me»…..Ma perfetto no, Federer rifiuta il termine come quello di invincibile degli anni d’oro: «Non sono perfetto, sono quello che sono, orgoglioso di rappresentare il tennis e di essere l’immagine di grandi marchi. Non voglio piacere, non voglio ingraziarmi la gente o i media, sono educato e rispettoso e cerco di essere d’esempio per i giovani». Roger è chiarissimo: «L’anno scorso cercavo di convincermi che, avendolo già fatto, potevo vincere ancora degli Slam. Ma avrei avuto bisogno di un po’ più di fortuna nei sorteggi. La fiducia però è andata via in fretta perché in campo non mi muovevo così bene, avevo paura di farmi di nuovo male, e le cose non erano così chiare come quest’anno quand’ho giocato tanti buoni match, non solo a Toronto e Cincinnati, ma dalla prima seti timana. E qui a New York non vedo l’ora che cominci il torneo perché sento davvero che posso giocarlo alla grande. E spero di dimostrarlo, in campo». Forte, fortissimo, Federer. Roger Federer, 33 anni, ha conquistato gli Us Open cinque volte in carriera
Un rebus di nome Djokovic
Roberto Zanni, il corriere dello sport del 25.08.2014
È il numero 1 al mondo, ma se presto non dovessimo più vederlo lassù non ci si dovrà meravigliare. «La vita cambia, come le priorità: ora sono la mia famiglia, mia moglie, il mio futuro figlio. II tennis non è più al numero 1». Si, a parlare è proprio Novak Djokovic, il ragazzino cresciuto tra le bombe di quella che una volta era la Jugoslavia e che aveva due amori: la sua terra, la Serbia, e il tennis. Nole voleva diventare numero 1 al mondo e c’è riuscita Adesso però al momento di cominciare gli US Open, da favorito assoluto, ha confessato qualcosa che si poteva forse aver intravisto dopo il successo di Wimbledon. Fuori agli ottavi in due tornei consecutivi: prima Toronto e poi a Cincinnati con Tsonga, allora 15 del mondo, e Robredo, n. 20, e in entrambe le occasioni senza nemmeno vincere un set. Quando mai era successo prima? Quasi sei anni fa, nel 2008, agli indoor di Madrid e Parigi, eliminato all’epoca da Karlovic e ancora Tsonga, quando Djokovic era il numero 3 del ranking (per la statistica, vincendo un set, contro il francese). «Ne ho parlato con il mio coach Boris Becker – ha aggiunto – e mi ha detto che anche lui è passato attraverso simili esperienze». Una pausa, poi un sorriso, uno dei suoi: d’altra parte, anche se futuro padre di famiglia, il senso dell’humor non l’ha perso. «Più di una volta…», riferendosi alle storie d’amore del tedesco….. Ma la confessione di Djokovic non deve illudere più di tanto gli avversari. Debutterà questa sera, notte fonda in Italia, contro l’argentino Diego Schwartzman numero 79 dellAtp, all’Arthur Ashe Stadium (1,02la sua quota, 34 quella dell’avversario!), in campo subito dopo la sua “vittima” preferita, nelle imitazioni, Maria Sharapova. Quattro finali consecutive agl US Open, una vinta nel 2011. «Ho grandi aspettative – si è affrettato a sottolineare – Le ho sempre avute specialmente a questo punto della mia carriera, dove mi sento di essere al piano per quello che riguarda la forza fisica, e voglio usare questo momento per vincere più partite possibile È l’ultimo Slam dell’anno ed è qui che vuoi giocare al massimo». Solo uno strano incidente di percorso, allora, i due stop di Toronto e Cincinnati? «Gli ultimi due mesi – ha aggiunto – sono stati un periodo molto emozionante per me»……
Gli Us Open secondo Wilander “Un caos, Federer puo domarlo”
Stefano Semeraro, la Stampa del 25.08.2014
«Nel 2014 abbiamo visto «Djokovic è il più forte che anche negli Slam sul cemento, ma a171vare qui tutti possono battere tutti» da favorito non è facile» Ventisei anni fa a Flushing Meadows con un capolavoro tattico batteva Lendl in una storica finale al quinto set, conquistando il suo 7 Slam – il 3 di quel suo magico 1988 – e il n.1 del ranking. Oggi a New York è in veste di commentatore di Eurosport e sul tennis ha sempre le idee chiarissime. «In un match due set su tre, Roger Federer è ancora il migliore del mondo. Io lo vedo favorito per il titolo, anche se ha 33 anni e la stanchezza potrebbe diventare un fattore importante alla fine del torneo. Però è un torneo molto aperto. Nel 2014 abbiamo visto che anche negli Slam tutti possono battere tutti, come non accadeva da parecchi anni. Djokovic non sta giocando al meglio, Nadal non c’è, Murray non è ancora tornato ai suoi livelli. E Dimitrov, Raonic, Wawrinka, Tsonga e persino outsiders come Bennetteau o Fognini possono dire la loro». L’assenza di Nadal quanto peserà a favore di Federer? «Non penso che Roger sia mai stato spaventato da Nadal agli Us Open: almeno fino a quando non scendevano in campo. Ma il fatto che Rafa non ci sia è un aiuto. Stavolta non c’è un giocatore che Federer speri di veder scomparire magicamente: nemmeno Djokovic». Sta giocando in maniera più aggressiva: merito di Stefan Edberg? «Al 100 per cento. Dopo la sconfitta dello scorso anno con Robredo a New York, Roger ha deciso di passare ad una racchetta più grande e di fare una telefonata a Stefan Edberg. Una scelta perfetta. Stefan è una persona tranquilla e conosce il tennis alla perfezione. Lo ha aiutato nel rovescio, nel servizio kick e nel serve&volley. Soprattutto, gli trasmette fiducia: quando il suo idolo d’infanzia gli fa un complimento, Federer si sente in paradiso». Per Roger è forse l’ultima occasione di vincere a New York: sentirà la pressione? «Non credo. Scenderà in campo pensando che ha già vinto quel torneo 5 volte, che quella è New York e che lui è un padre felice. Sarà motivatissimo. Inoltre pubblico e media tiferanno per lui come non hanno mai fatto per nessuno da quando Connors arrivò in semifinale a 39 anni». Se vince si ritirerà? «No chance. Se succederà Eurosport avrà il diritto di licenziarmi, ma non credo succederà. Vuole la Coppa Davis e le Olimpiadi a Rio nel 2016. Ha ancora tanti traguardi da raggiungere». Prima ha citato Fabio Fognini: ha la stoffa per vincere qualcosa di grande? «Fabio deve decidere dentro di sé che può puntare a uno Slam. Ha un grande talento. Tecnicamente il suo problema è il servizio: serve bene, ma non ottiene abbastanza punti facili. In una giornata buona può battere Wawrinka, Berdych, Tsonga, forse Murray, ma non credo che potrebbe battere Djokovic o Federer proprio perché non ha un servizio abbastanza buono». Come personaggio le piace? «E un bene per il tennis. È divertente, mostra il suo lato umano: c’è bisogno di personalità come la sua. E poi le regole stanno lì per essere violate. I tennisti oggi sembrano in gabbia, non possono fare nulla. Ma John McEnroe, uno dei più grandi talenti di sempre, non è diventato McEnroe per la sua tecnica». Qual è il segreto per vincere a Flushing Meadows? «Gli Us Open sono un torneo caotico, complesso da gestire. Ci sono troppe distrazioni: il traffico, gli aerei, la metropolitana, l’odore degli hot dog, il pubblico rumoroso… A New York bisogna lottare come facevano Connors e Agassi: vado in campo e tiro forte, non importa chi è il mio avversario, sono americano e penso di poter battere chiunque». Djokovic oggi sul cemento è il più forte, ma a New York ha vinto solo una volta: come mai? «Gli Us Open arrivano alla fine di una lunga stagione. Roland Garros e Wimbledon costano molte energie, gli Us Open ti spremono quelle che sono rimaste. Arrivare da favorito agli Us Open non è facile, te lo garantisco, specie fisicamente». Murray tornerà al vertice? «Olimpiadi, Us Open e Wimbledon: ha vinto tutto quello che la gente si aspettava da lui. Non ha più nulla da dimostrare, deve trovare nuove motivazioni. Al momento credo non sappia bene a cosa puntare. Ci sono passato anch’io dopo aver vinto gli Us Open ed essere diventato n.1». Le piacerebbe fare il coach di un top-player come i suoi ex rivali Edberg e Becker? «Passerei giorni a parlare di tennis con Federer o Murray, ma fare il coach è una cosa diversa. Se me lo chiederanno, ci penserò. Per ora, mi concentro sui miei 50 anni».
New York tifa per gli eterni Federer e Serena
Daniele Azzolini, Tuttosport del 25.08.2014
Metà tennista e metà elefante, limbo riempi le cronache dei quotidiani nel 1991, quando scalò gli Us Open fino alle semi, oltraggiando le infinite divinità del tennis con atteggiamenti che sarebbero apparsi fuori luogo persino nell’angiporto di uno qualsiasi dei molti appelli sull’Hudson Rover, quando New York era ancora una città di mare. Ven-titre anni dopo, e quaranta tondi dal primo Us Open vinto da Connors, lo Slam più lontano da qualsivoglia tradizione wimbledoniana, perverso divertimento tennistico dove si banchetta sulle tribune dello stadio, si litiga con i gabbiani per un posto nelle file più alte, e ci si alza dalla sedia infischiandosene se in campo si giochi il più drammatico dei match point, chiede ai vecchi contendenti di essere ancora protagonisti, eroici marine come Jimbo. Non ha prezzo, nella visione di questo pubblico, l’immagine del vecchio campione che combatte per resistere ai suoi stessi anni di servizio, che sfida se stesso prima ancora che l’avversario, che resiste agli anni traendo da essi la linfa vitale per nuove imprese. È l’anno del diciottesimo Slam, assicurano da queste parti. Quello di Roger Federer. Quello di Serena Williams. Hanno 33 anni, sedici di carriera, 17 Major ciascuno nel palmarès. E sono i due nominati dai tornei che preparano l’evento di Flushing Meadows, entrambi vittoriosi a Cincinnati, Federer anche finalista a Toronto. Poco importa se un’analisi un tantino meno affrettata proporrebbe infiniti “se” e “ma” alla volontà di eleggere i due vincitori di questi Open. L’attesa è per loro. Serena reagisce cinguettando interviste alquanto banali, come sempre quando tutto le va bene e non è in disgusto del mondo o di se stessa. L’avevamo lasciata semi intontita a Wimbledon, battuta senza colpo ferire perla terza volta su tre negli Slam di questa stagione. I boomakers la danno a meno di due, ma la concorrenza è ampia e Serena, si sa, soffre quando trova qualcuna con un’espressione più truce della sua. Ha un tabellone zeppo di nomi importanti, ma privo delle tenniste più calde. Ivanovic nei quarti, già battuta a Cincinnati, una fra Kvitova (in discesa dopo la vittoria a Wimbledon), Azarenka (non ancora al meglio) e Bouchard (in apnea, dopo sei mesi giocati allo spasimo) perla semifinale. Più difficile per Federer, che pure ha un tabellone ancor più invitante (Dimitrov nei quarti, Ferrer in semifinale, secondo logica). Ma come ndn tenere di conto i suoi alti e bassi, gli improvvisi estraniamenti, i tre set su cinque che gli impongono un livello di attenzione che con il passare degli anni appare scemato? «La nuova stagione del tennis pone il fisico sopra tutto, e di grandi atleti ce ne sono moltissimi nel circuito», sembra mettere le mani avanti. Lui va per la sua strada E tomato a giocare come faceva nel 2003, gli anni che precedettero l’esplosione. Buoni punti da fondo, e molte incursioni a rete. Se lo scambio dura meno, le energie si conservano più a lungo. ll consiglio di Edberg è stato quello giusto.
Federer contro Djokovic: New York cerca il “nuovo” re
Angelo Mancuso, il messaggero del 25.08.2014
Assisteremo al dominio dei soliti noti, oppure è l’ora del ricambio generazionale? A New York cominciano gli US Open, ultimo Slam della stagione, e la prima opzione sembra la più probabile. Lo dicono i numeri (36 degli ultimi 39 major portano la firma dei Fab Four), lo confermano i book-makers. Nonostante le due sconfitte nei Masters 1000 in terra americana, il favorito è Novak Djokovic (quota 2,3). Gli US Open gli hanno regalato in passato più amarezze che sorrisi: ha perso 4 finali e conquistato il titolo solo nei 2011, ma sarebbe uscito di scena in semifinale se contro Federer la famosa risposta ad occhi chiusi non avesse toccato la riga. Proprio King Roger è il più atteso, quotato a 4,5. Non conquista uno Slam da oltre 2 anni e gioca per la storia: vincendo metterebbe in bacheca i118esimo major e a 33 anni tornerebbe in corsa per il n.1, il più anziano dell’era open. LA RINASCITA A New York arriva con la finale di Toronto e il titolo a Cincinnati. Grazie ai suggerimenti di Edberg è più aggressivo, la schiena è a posto, la nuova racchetta funziona e il Deco- Turf di Flushing Meadows è veloce, più dell’erba di Wimbledon. In più non c’è il suo rivale storico Rafa Nadal, out per l’infortunio al polso destro, e il tabellone non è male: gli avversari più pericolosi (Wawrinka, Murray, Raonic e Tsonga) sono tutti dalla parte di Djokovic, Alle spalle dei primi due favoriti c’è Andy Murray: quota 7 per i bookmakers, anche se lo scozzese è ottava testa di serie e potrebbe incrociare Nole già nei quarti. Da quando ha vinto Wimbledon nel 2013 non ha più giocato una finale. Gli outsiders sono distanti, compreso Stan Wawrinka, n.3 del seeding, quotato a 26. Lo precedono Grigor Dimitrov e Jo Wilfried Tsonga (24), mentre a 32 c’è Milos Raonic. Solo altri due giocatori hanno una quota sotto i 1100: Tomas Berdych (70) e David Ferrer, quotato a 90. GLI ITALIANI Capitolo azzurri. Al via sono in 10: 4 uomini e 6 donne. Il quarto di finale a Cincinnati ha fatto risalire Fabio Fognini al n.17Atp:grazieai ritiri di Nadal e Del Potro è n.15 del seeding, importante per evitare primi turni insidiosi. Nel femminile (Serena Williams è la favorita d’obbligo) le nostre giocatrici di punta non attraversano un periodo brillante, ma a New York sono state protagoniste di recente: Sara Errani e Flavia Pennetta semifinaliste rispettivamente nel 2012 e nel 2013, Roberta Vinci ha raggiunto i quarti nelle ultime due edizioni. E c’è la mina vagante Camila Giorgi, reduce dalle semifinali a New Haven.