Berrettini raddoppia e plana su Wimbledon: “Posso battere Djokovic e Nadal (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)
Veni, vidi, vici. Dove passa Matteo il Conquistatore, cresce l’erba dei sogni. Adesso, Berrettini è certamente il più forte giocatore al mondo sui prati e i nobili muri del Queen’s, il circolo della Regina Vittoria, rilanciano il messaggio al mondo: il sovrano è italiano, dopo il secondo successo consecutivo nel torneo londinese che segue il trionfo di Stoccarda di otto giorni fa. Una doppietta meravigliosa, uscita dalle nebbie delle incertezze figlie dello stop di 84 giorni causato dall’infortunio alla mano destra per illuminarsi con prestazioni sempre più convincenti e solide, da padrone assoluto della superficie. E se con questa autorevolezza aggiungi al tuo tesoro personale due perle così preziose, infilando una serie di nove partite vinte su nove (che diventano 21 su 22 dal giugno di un anno fa), l’orizzonte ha un nome soltanto. Wimbledon. Consapevolezza Primo storico finalista azzurro al Championships 12 mesi fa, Berretto è pronto al definitivo, grande salto, cioè ad annettersi lo Slam più prestigioso ed affascinante per scrivere la storia del nostro sport e bussare alla leggenda: «Sicuramente Wimbledon e un obiettivo. so che non sarà facile o che accadrà soltanto perché lo vorrò. Però io provo sempre a spingermi oltre i miei limiti. Quando mi sono infortunato ho messo tutto me stesso per recuperare al meglio e mentirei se dicessi che vincere Wimbledon non è il mio grande obiettivo, anche se ovviamente non sarà per nulla facile. So di possedere le armi per giocarmela con tutti, so che posso battere Djokovic e Nadal, non mi sento affatto lontano da loro».
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È il ricordo del recenti tempi bui ad averne mosso i sentimenti: «C’è stato un momento, una settimana o dieci giorni prima di Stoccarda, che la mano mi faceva male. Non la parte dove mi sono infortunato, ma il resto, il polso ad esempio. La mia mano non era forte abbastanza per permettermi di colpire come prima, ero preoccupato che non potesse essere all’altezza della situazione. Sono arrivato a Stoccarda e ho giocato appena un set di allenamento contro un ragazzo junior, quindi non avevo molti allenamenti alle spalle. C’è stato un momento in cui ho pensato di giocare soltanto un paio di match, se fossi stato fortunato. E invece sono sorpreso da me stesso».
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Il trionfo, se arrivasse, cancellerebbe pure la tristezza e il paradosso di un vincitore che crollerebbe in classifica (oltre il 20′ posto) anziché avvicinarsi al paradiso per la decisione dell’Atp di non assegnare punti: «La ritengo un’ingiustizia, avrebbero almeno dovuto metterci al corrente di quello che stavano decidendo. Quando si tratta di questioni dalle conseguenze così pesanti, i giocatori dovrebbero essere informati in anticipo». Contro l’amarezza, meglio concentrarsi sul gioco: «Credo che ci siano delle buone ragioni se sono piuttosto bravo sull’erba, anche se all’inizio non mi piaceva perché non avevo i tempi giusti e mi muovevo male: prima di tutto penso ovviamente alle mie armi, allo stile del mio gioco, al servizio, al diritto, allo slice, al fatto che devi essere davvero tosto e mentalmente molto forte, perché devi sfruttare ogni piccola occasione sul servizio dell’avversario e se non ci riesci puoi crollare un po’ emotivamente, pensando alle opportunità che hai sprecato. Devi essere davvero duro mentalmente e la forza della testa è qualcosa su cui sto lavorando da tutta la mia vita, e per tutta la mia carriera». Un cervello per Wimbledon.
Il bis di Berrettini sull’erba del Queen’s. Pollice verde (Gaia Piccardi, Corriere della Sera)
Mentirei se non dicessi che il mio obiettivo è vincere W’mbledon» confessa il canguro del Nuovo Salario (Roma) alzata la coppona del Queen’s sette giorni dopo quella di Stoccarda, trangugiato un piatto di penne al salmone, immerso il corpaccione in una vasca di acqua gelata per sbollire le fatiche di due settimane di tennis sublimemente erbivoro e aggiornata la contabilità: 70 titolo della carriera (40 sul verde in 5 finali), io successi su io al Queen’s (Matteo è re-bis nel circolo della regina), 9 su 9 dopo l’operazione al dito della mano destra, 33a vittoria su 39 partite giocate sui prati. Numeri da australiano degli anni Cinquanta, come se i tre mesi tra l’infortunio e il ritorno al tennis non fossero mai passati, mentre intanto succedeva di tutto (l’esplosione di Alcaraz, il mezzo Slam di Nadal), una concretezza sulle cose da veterano, il privilegio del dolore.
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La mano è stata educata da ore di cesti a rete ed è pure spuntato un pregevole colpo piatto monomane, da estrarre dal cilindro in corsa e in lungolinea, per annichilire (di sorpresa) l’avversario. E con questa varietà di fresca acquisizione in tasca, già abbozzata l’anno scorso nella finale con Djokovic, che Berrettini comincia da oggi l’avvicinamento a Wimbledon con in testa un piano per la vittoria. La scelta della casa vicino all’All England Club, innanzitutto, invece dell’albergo cui l’aveva costretto la bolla antiCovid nei 2021: in un ambiente familiare, con le persone di cui si fida, Matteo cercherà la serenità per centrare l’impresa. Sotto lo stesso tetto ammessi solo coach Santopadre, Roberto Squadrone (il preparatore fisico che rimpiazza Francesco Bientinesi, a bordo campo al Queen’s), Ramon Punzano (osteopata, al posto di Alessio Martini) e Umberto Rianna, l’anello di congiunzione tra pubblico (la Federtennis) e privato (il team Berrettini), prezioso tassello nella crescita del giocatore. Matteo è uscito dalla doppietta Stoccarda-Queen’s con qualche fisiologico doloretto (gambe, glutei, quadricipite, schiena), l’erba non perdona giunture e legamenti, ma la mano operata sta bene, non ha postumi da superlavoro. Oggi e domani recupero con Punzano, staccando completamente la testa. Mercoledì riprenderà la preparazione fisica, da giovedì si torna in *** campo con la racchetta.
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Berrettini, il re dell’erba (Stefano Semeraro, La Stampa)
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Sul campo, contro Filip Krajinovic, Mr Erbettini ha invece usato le maniere forti per prendersi il suo secondo Queen’s di fila, una impresa che ora nell’era Open condivide con sette colleghi, da McEnroe a Murray, tutti ex numeri 1 del mondo. Due set (7-5 6-4) ancora non il suo miglior tennis, ma una forza mentale e una expertise erbivora da brividi. Da oggi scende al numero 11 del mondo, sorpassato da Hubert Hurkacz che ad Halle ha piegato il numero 1 del mondo Daniil Medvedev, per i Championships che iniziano fra una settimana esatta però è Matteo il vero Terzo Uomo, dietro i due hors categorie Djokovic e Nadal. La finale lasciata al Djoker l’anno scorso a Church Road è l’unico match sul verde che gli è sfuggito degli ultimi 21 che ha giocato. «Ci ho ripensato, e l’ho rivista più di una volta per capire che cosa ho sbagliato e cosa ho fatto bene – spiega -. La verità è che, al di là del livello di gioco, Novak era alla sua 30esima finale di Slam e io alla prima. C’ero arrivato nervoso, dormendo poco. Se mi dovesse ricapitare, ed è quello che voglio anche se sarà difficile, stavolta saprò cosa aspettarmi». Un anno dopo Matteo si sente «un tennista migliore». Soprattutto uno che ha finalmente capito quanto è forte. Il Queen’s non aveva un tabellone all’altezza di Halle, ma vincere due tornei sull’erba uno dietro l’altro, dopo 84 giorni di convalescenza dopo l’intervento alla mano (destra!) è magia vera.
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Sull’erba Matteo è un drago, il miglior italiano di sempre, «perché servo bene, tiro forte il diritto e so giocare lo slice di rovescio. La prima volta che l’ho capito è stato in India, in Coppa Davis, nel 2019, e con Bhopanna ancora ci scherziamo.
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Per battere la concorrenza di Nadal, Djokovic, Hurkacz e Kyrgios servirà un Erbettini ancora più raffinato. Più solido in risposta, più reattivo dalla parte sinistra, più rapido negli spostamenti laterali. La tenuta al servizio (14 ace) e quella nervosa Come la forza segreta delle emozioni, scivolate sotto forma di lacrime sulla spalla di papà Luca alla fine del match.
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