Viaggio nei meandri interni ed esterni delle carriere di quei giocatori arrivati al capolinea, delle loro vittorie e delle loro sconfitte, dell’eredità che depositano ma anche del modo in cui hanno salutato. Al fianco del nome di ogni protagonista, la data in cui ha annunciato il proprio ritiro dalle scene. Dopo aver trattato il circuito femminile e quello di doppio, è il momento del singolare maschile con le storie di Stakhovsky, Del Potro, Robredo, Tsonga, Anderson, Simon, Kohlschreiber, Federer e Seppi.
Sergiy Stakhovsky 15/01/2022 – Quando lo scorso 15 gennaio annunciava la fine della propria carriera al termine dell’Australian Open, mai avrebbe pensato neanche nei suoi peggiori incubi che da lì a poco la propria vita e quella di tutti i suoi connazionali sarebbe cambiata radicalmente. Se il 24 febbraio, Vladimir Putin non avesse avviato “l’operazione militare speciale” sul territorio ucraino; questo articolo sarebbe stata l’occasione giusta per omaggiare Sergiy riportando alla memoria quell’indimenticata vittoria su Federer al secondo turno di Wimbledon 2013. Un successo ottenuto da n. 116 ATP, che resterà per sempre impresso nella memoria dei Championships poiché arrestò la striscia del campione svizzero di 36 quarti di finali consecutivi a livello Slam – iniziata al Roland Garros 2004 contro Kuerten -. Ma come detto, ci sembrerebbe una mancanza di rispetto verso ciò che sta succedendo ricordare nel dettaglio quella splendida partita come se il 36enne di Kiev potesse raccontare ai suoi figli, tra un sorriso e l’altro, l’impresa compiuta sul prato londinese. Perché non può farlo, la decisione presa dieci mesi fa di arruolarsi nell’esercito ucraino glielo impedisce. Stare lontano per periodi prolungati dalla propria famiglia, dev’essere molto doloroso; ma è una scelta che diventa quasi naturale quando si ha un forte senso del dovere e la tua Nazione rischia seriamente di non poter essere più considerata tale. Da quella presa di posizione, ne è passato – purtroppo – di tempo e Sergiy ha di fatto assunto i panni d’inviato di guerra, aggiornando costantemente sugli sviluppi del conflitto e sfruttando il suo contatto diretto con le sofferenze e le strategie militari per veicolare messaggi, anche accesi o di contestazione se li ritiene imprescindibili. Quando tocchi con mano, il dolore scaturito dall’odio, dal potere, dalla voglia di supremazia; quando i tuoi occhi immortalano alcune raffigurazioni della disperazione e dello strazio, la tua anima si lacererà a tal punto dal cominciare a vivere per vendicarti. Come se una sorte di disillusione ti colpisse, come se l’essere felici o il credere nei sogni di un futuro sereno siano soltanto convinzioni pronte a sgretolarsi. Ecco, il nostro augurio è che presto, molto presto, Sergiy possa prendere sulle ginocchia i propri figli e raccontare loro una storia: quando con il serve&volley papà riuscì a togliere la corona al Re del tennis.
Juan Martin Del Potro 05/02/2022 – Raccontare cosa Palito sia stato per il tennis, è compito assai gravoso. Neanche una collana di romanzi d’autore, potrebbe descrivere con totale compiutezza la leggenda del gigante di Tandil. Allora ci limitiamo a celebrare il mito albiceleste, che troppo in anticipo ha visto la propria epica finire, ripescando dal libro dei ricordi due partite con Delpo protagonista rimaste nel cuore di chi scrive. Due fulgidi momenti dell’ultima parte di carriera dell’argentino, quella della rinascita dopo le operazioni al polso sinistro del biennio 2014-2015. E’ il cinque settembre del 2017, la cornice è quella del neonato – inaugurato appena un anno prima – Grandstand di Flushing Meadows: ad affrontare il nostro eroe è il numero 8 del mondo Dominic Thiem. Uno che in quanto a potenza non ha nulla da invidiare al sudamericano, possedendo uno dei rovesci monomani in grado di sprigionare una tale violenza all’impatto con pochi eguali nella storia. Il match è una frastornante centrifuga di emozioni psichedeliche. L’austriaco ha una partenza talmente veemente e inferocita, dal dominare senza discussione i primi due set per 6-1 6-2 come una leonessa che si avventa sulla preda. Non c’è partita, Delpo è spento, non sembra avere il fuoco sacro che servirebbe per regalarci una maratona da inserire negli annali e pare anche che abbia qualche problema fisico. Un body language che trasmette la possibilità di un ritiro maturabile da lì a qualche minuto, un corpo di cristallo martoriato a più non posso dalle operazioni chirurgiche al quale Juan Martin non è intenzionato a chiedere un ulteriore sforzo. Ma chi ha visto all’azione svariate volte Del Potro, sa perfettamente che l’atteggiamento dinoccolato, sempre sofferente ed in preda ad innumerevoli problemini di natura fisica; sia stato un tratto caratteristico della Torre argentina. Ha avuto uno stile comportamentale in campo, che dava la continua sensazione di trovarci di fronte ad un giocatore in perenne stato agonizzante, lì inerte in attesa di ricevere il colpo di grazia da parte dell’avversario. Un modo di stare in campo rispecchiabile, e per certi versi anche enfatizzato, perfettamente nel suo sguardo. Quel viso che trasferisce timidezza, e quella tipica genuinità dei bambini che non può non procurare empatia. Non a caso, è anche soprannominato il gigante buono grazie proprio a quel misto di ingenuità e bontà, caratteristica primaria degli individui puri: i bambini. E questa maschera, che di fatto però è sostanza reale, ha sempre affascinato: è sempre stata la stessa, sia nei momenti di maggior pressione che in quelli in cui viaggiava a velocità di crociera. Dunque lo stesso modus operandi di Bjorn Borg, medesima efficacia ma con la differenza che in questo caso la freddezza glaciale mostrata all’esterno viene sostituita dal caldo tepore che viene esibito anche più del necessario. E così quando tutti pensano che sia oramai solo un fantasma che cammina, ecco che li pietrifica ammaliandoli con l’altro suo tratto distintivo: il drittone stampato come fosse un missile terra area. Torna d’incanto a ritrovare precisione, scaraventando fulmini come il martello di Thor che lasciano inerme il povero Dominic o chiunque si possa trovare dall’altra parte. Thiem non è minimamente sceso di livello, tant’è che nel quarto set vola sul 5-2 e nel game successivo si ritrova a due punti dal match, ma ora Palito è pienamente dentro il filone emotivo e tecnico dell’incontro. Rimonta fino al dodicesimo gioco, qui si palesano due match point che sanno di resa. Tuttavia due ace, con la solita calma olimpica della sua immutata espressione, scrivono le ultime righe di questa favola. Il tie-break sarà senza storia, e dopodiché il 6-4 del quinto parziale trascinerà Del Potro al termine di oltre tre ore e mezza ai quarti contro Federer. Vincerà prima di arrendersi in semifinale a Nadal. Il 27 novembre del 2016, quindi antecedente ai fatti newyorchesi, la pagina più bella con addosso la maglia albiceleste dopo tante delusioni. Uno scontro titanico di cinque ore, in cui ancora una volta rimonta dal 2-0. Dalla condizione di moribondo, all’estasi più sublime sotto gli occhi spiritati di Diego Armando Maradona. La furia composta da Tandil che sommerge Marin Cilic, fatto sprofondare dai suoi dubbi interiori in merito al dare ulteriore dimostrazione di essere il giocatore più lontano possibile dalla concezione del Cuor di Leone. Delpo abbandona la passività e prende in mano lo scambio, da attendista si trasforma in agitatore seriale della scatenata truppa argentina presente a Zagabria. La leggenda è compiuta, Delbo completerà l’opera. La prima storica Insalatiera dell’Argentina, dopo quattro finali perse, è realtà.