Al WTA 500 International 1 di Adelaide mercoledì è scesa in campo la 24enne Liudmila Samsonova. Ha affrontato la n. 2 del seeding Aryna Sabalenka perdendo in due set conclusi al tie-break, 7-6(8) 7-6(3). Sul tabellone, vicino al suo nome, nessuna bandiera: la sua nazionalità è russa e dallo scorso febbraio, non può più rappresentare il suo paese per le scelte politiche del loro capo del governo. Stando al nome che richiama indubbiamente le origini rutene, nessuna sorpresa.
Non fosse che fino al 2018, quando ancora 19enne frequentava il circuito ITF, di fianco al suo nome c’era la bandierina italiana. Suo padre, Dmitry Samsonov era un ottimo giocatore di tennis tavolo e fu chiamato da un club di Torino: iniziava così la vita della famiglia Samsonov sul suolo italico.
Delle ultime 25 partite giocate, Samsonova ne ha vinte ben 21 a partire dal titolo della scorsa estate a Washington D.C. a cui sono seguiti i successi a Cleveland e infine a Tokyo. Forse si sarebbe potuto fare qualcosa per concedere la cittadinanza italiana a questa promessa del tennis, cresciuta tra i club italiani.
Fisicamente dotata, esprime un tennis potente e aggressivo. È ambiziosa e coraggiosa, dentro e fuori dal campo.
Il primo a notarla, e non stupisce ancora una volta la sua lungimiranza, fu Riccardo Piatti che la portò a Bordighera. Anche la FIT(P) le ha dato una mano quando ha iniziato a colpire le prime palline nel circuito professionistico. Nel 2016 dopo sette anni la collaborazione con Piatti terminò (un po’ freddamente a dire il vero), per volere proprio di quest’ultimo. Stando alle dichiarazioni di Samsonova (intervistata in quell’anno anche dal direttore Scanagatta all’Australian Open), l’abbandono dello storico coach era da ricercare nell’ormai svanita fiducia nelle sue potenzialità.
Non si può certamente imputare alla decisione dell’allenatore comasco di interrompere la collaborazione la mancata concessione della cittadinanza italiana. Liudmila, compiuti i 18 anni, ha fatto richiesta per diventare ufficialmente italiana ma lo Stato ha risposto picche: il problema era la mancanza di un reddito certo. Con poco supporto da parte della Federazione – per non dire nullo, che sicuramente avrebbe potuto interporsi con l’autorità pubblica (o almeno provarci) – Samsonova ha deciso di abbracciare definitivamente la madrepatria Russia.
Se Liudmila avesse ottenuto la cittadinanza italiana, oggi l’Italia potrebbe annoverare ben 2 tenniste tra le prime 30 WTA. Non solo. Quella famigerata bandierina di cui sopra, avrebbe consentito anche alla capitana Tathiana Garbin di avere un’arma in più nel suo arsenale da schierare nella Billie Jean King Cup. Le nostre ragazze hanno dimostrato quest’anno cuore e coraggio da vendere nella competizione femminile a squadre, ma senza Camila Giorgi alle Finals non hanno conquistato nemmeno un incontro. Con Samsonova in campo sarebbe stata sicuramente un’altra storia.
ITALIA COMUNQUE NEL CUORE – Dopo Piatti, Liudmila ha iniziato la collaborazione con Alessandro Piccardi e poi con Daniele Silvestre, in seguito con Danilo Pizzorno ed Alessandro Dumitrache. Il legame con l’Italia resta solido: scorrendo le sue pagine social si scorgono descrizioni in italiano e allenamenti nei circoli della penisola. Ad esempio in questa off-season si è allenata all’ISEF di Torino.
Altre federazioni su questo aspetto si rivelate più lungimiranti. In Nord America sembrano aver capito molto meglio di noi come tenersi le promesse del tennis. Oltre agli Stati Uniti che, soprattutto nei decenni passati, concedevano la cittadinanza a sportivi per lo più provenienti dal blocco Sovietico (Martina Navratilova e Monica Seles sono gli esempi più celebri), in questi ultimi anni è Tennis Canada a indicare la strada giusta. La federazione dei vincitori dell’ultima Coppa Davis, ha voluto e seguito i suoi campioni nati su suolo extra canadese: da Milos Raonic, nato in Montenegro, a Denis Shapovalov nato dalla terra promessa israelitica di Tel Aviv.
Intervistata dalla nostra Laura Guidobaldi nel 2019, Samsonova aveva voluto sottolineare quanto l’Italia avesse avuto, e ha tutt’oggi, un ruolo importante nella sua vita, sebbene non riesca a sentirsi completamente integrata: “essendo cresciuta in una famiglia russa, ho una mentalità comunque diversa. […] mi ci trovo benissimo ma non riesco a definirla casa”.
Sarà anche vero, ma per una ragazza che vive nel Belpaese da quando aveva 1 anno, ne ha frequentato le scuole e parla fluentemente la lingua, è strano credere che senta come “casa” la piccola Olenegorsk, la cittadina con meno di 20mila abitanti all’estremo nord della Russia, al confine con la Finlandia, dove è nata. Sembrano piuttosto le parole di una giovane ragazza disillusa, che non si è sentita accettata e voluta dal Paese in cui è cresciuta e dove ha deciso di vivere anche da adulta. E non si può certo darle torto.