Lo US Open è un torneo che ancora non digerisce bene, Stefanos Tsitsipas. Ha fatto finale in Australia e al Roland Garros, a Wimbledon ha raggiunto gli ottavi, ma a New York non è mai andato oltre il terzo turno. Quest’anno sembrava quello giusto, soprattutto una volta superate agevolmente le potenziali insidie di un primo round che lo vedeva opposto a Milos Raonic. Invece, contro Ben Bonzi giocherà Dominic Stricker, con in palio l’ottavo di finale dove ci sarà Taylor Fritz (contro cui Stef ha perso una sola volta su quattro e mai sul duro) oppure il giovane Jakub Mensik.
“In nessun caso darei la colpa a nessuna persona o membro della mia squadra. Tutto in campo è sotto il mio controllo e frutto del mio talento” aveva detto il numero 7 del ranking subito dopo la sconfitta con il classe 2002 svizzero che sta finalmente bussando alla porta della top 100. Eppure, a Eurosport Grecia, Tsitsipas ha poi annunciato la fine della collaborazione con il coach Mark Philippoussis, peraltro tornato nell’angolo greco solo all’inizio di agosto, in veste però di capo allenatore al posto di babbo Apostolos, al quale Stef aveva concesso “un po’ di tempo libero”. Proprio poco, però, perché dopo una trasferta nordamericana senz’ombra di dubbio deludente (due vittorie, tre sconfitte), si ritorna alle origini. Ecco le parole greche: “L’idea di portare Mark in squadra è stata mia. Mi ha aiutato per quanto ha potuto. La nostra collaborazione per l’estate finisce qui, come avevamo deciso. D’ora in poi proseguirò con il mio team, quello con cui sono stato per sei o sette anni, e che comprende mio padre”.
Pare quindi che il rapporto con Philippoussis fosse inteso solo per l’estate americana e che non sia direttamente collegato alle premature uscite di scena a Toronto (quando peraltro aveva detto di non aver recuperato dal jet lag), Cincinnati e New York, dove è comunque ancora in gara nel doppio a fianco del fratello Petros, in programma come primo match sul campo 10 giovedì alle 17 italiane.