Se qualcosa può andare storto, lo farà.
Tra i tanti ambiti in cui si può applicare, la legge di Murphy si può facilmente ritrovare anche nelle WTA Finals 2023, non certo partite alla grande. No, non ci riferiamo allo spettacolo offerto, seppur relativamente ridotto nelle prime due giornate di singolare visto che sei degli otto set giocati si sono conclusi 6-0, 6-1 o 6-2 (due match su quattro addirittura 6-0 6-1).
Il tema che emerge una volta di più è la scarsissima attenzione (per non dire nulla) che il circuito WTA riserva alle sue giocatrici, che pure non sono giocatrici qualunque, bensì le migliori otto del 2023. Le critiche delle protagoniste ovviamente non sono mancate, espresse tra social e conferenza stampa. Due delle più dure sono state Aryna Sabalenka e Marketa Vondrousova: la bielorussa ha dichiarato di “non sentirsi rispettata come atleta dalla WTA“, aggiungendo di non sentirsi affatto sicura a giocare su campi costruiti in fretta e furia, i cui problemi – che racconteremo poco più sotto – sono molteplici.
Anche la ceca ha poi rincarato la dose, lei che già qualche giorno fa aveva postato su Instagram una storia ironica con una foto del volto delle otto protagoniste sul corpo di altrettanti operai. Sempre ad Instagram Vondrousova ha affidato un commento che trasuda tristezza ancor prima che delusione, quasi rassegnatezza di fronte ad una situazione che nessuno pare voler realmente risolvere.
“Le mie prime WTA Finals non stanno andando come avevo immaginato“ – ha scritto Marketa. “Lavoriamo duro tutto l’anno per arrivare a questo torneo e, alla fine, è solo una delusione. Il campo non è per nulla pronto per le partite e a me sembra che la WTA non sia assolutamente interessata a noi, che alla fine dobbiamo giocare su quel terreno. A noi pare che nessuno ci ascolti né sia interessato alla nostra opinione: è molto triste” – ha concluso la n°6 del mondo, che pure ha espresso la sua gratitudine verso i messicani (tifosi e non), definiti “molto gentili e disponibili”.
Come aveva già sottolineato anche Sabalenka, è evidente che le critiche non sono riferite agli organizzatori del torneo né soprattutto agli operai che hanno reso possibile, in tempi quasi record, che almeno un campo esistesse. I problemi poi sono inevitabili, tra rimbalzi estremamente irregolari – come sperimentato dalla stessa Vondrousova su una seconda in kick di Swiatek saltata quanto quella di Opelka – e addirittura sabbia che spunta come polvere nascosta in fretta e furia sotto il tappeto.
Un tappeto che, per l’appunto, non sembra più in grado di coprire la polvere che la WTA tenta continuamente di celare al di sotto di esso. Come raccontato da Matthew Futterman sul The Athletic, infatti, lo scorso 5 ottobre (durante il China Open), Sabalenka, Rybakina, Vondrousova, Jabeur e un’altra ventina di tenniste avrebbero inviato alla propria associazione una lettera da tre pagine con richieste molto importanti.
Prima fra tutte ovviamente quella relativa alla parità salariale, che seppur dipenda anche da molti altri fattori, come ben evidenziato dal nostro Vanni Gibertini alcuni mesi fa, resta sempre un argomento all’ordine del giorno. Insieme ad essa figurano pretese di un calendario più flessibile, che possa gravare meno a livello fisico e mentale, unite a quella di maggior tutela in caso di gravidanza e alla presenza di almeno un membro della PTPA nel WTA Players Council. Le varie firmatarie chiedevano alla WTA una risposta entro venerdì 13 ottobre, che (non sorprendentemente) dopo quasi 20 giorni non è ancora arrivata.
Anche Iga Swiatek, come riferito dalla sua portavoce Paula Wolecka, avrebbe inviato per conto proprio una lettera alla WTA. La polacca, tra l’altro, è stata anche costretta ad invitare pubblicamente i tifosi sugli spalti visto che questi erano ben lontani dall’essere gremiti. “Spero che almeno per il weekend lo stadio possa riempirsi” – ha detto la n°2 del mondo, invocando persino la gente a comprare i biglietti.
Come si diceva, non è arrivata una risposta alle lettere inviate, bensì un invito a due incontri con Steve Simon, CEO della WTA, tenutisi il 16 e il 26 ottobre. Com’è facile ipotizzare, le giocatrici hanno lasciato le due riunioni ampiamente insoddisfatte, con due tenniste top – di cui il The Athletic non fa i nomi – che dalla frustrazione hanno anche abbandonato l’incontro del 26 ottobre prima ancora della sua conclusione.
Tra Arabia Saudita e salario minimo
Uno dei motivi potrebbe essere il fatto che le tenniste impegnate alle Finals avrebbero ricevuto una serie di “istruzioni” su come comportarsi di fronte ad eventuali domande sulla guerra in corso in Israele oppure sulla possibilità che alcuni tornei WTA (tra cui le stesse Finals) si svolgano in Arabia Saudita già dal prossimo anno. “Sono felice di giocare ovunque le WTA Finals si disputino, è un evento prestigioso“ – così sarebbe stato suggerito alle giocatrici di rispondere ad eventuali questioni in merito.
Sulla falsa riga di quanto annunciato un paio di mesi fa dall’ATP, che con il programma Baseline ha stabilito una sorta di salario minimo per i primi 250 giocatori al mondo. La richiesta delle giocatrici alla WTA sarebbe simile nei modi ma ben più alta nelle cifre, chiedendo 500.000 dollari come salario minimo per le top100, 200.000 dollari per le tenniste tra il n°101 e il n°175 e 100.000 dollari per coloro classificate tra il n°176 e il n°250. A ciò si dovrebbero aggiungere sostegni economici in caso di infortuni prolungate o gravidanze.
Insomma, il caos generato dalle WTA Finals – per il terzo anno di fila assegnate senza un piano preciso – potrebbe essere soltanto la classica goccia che fa traboccare il vaso, con le migliori giocatrici pronte ad invocare la rivoluzione. Un vaso, quello targato WTA, ormai stracolmo di menefreghismo e inettitudine di un organo che dovrebbe garantire fiducia e sostegno alle proprie tenniste e che invece non fa altro che continuare a darsi la zappa sui piedi.