Nel giorno dell’inizio del BNP Paribas Open di Indian Wells tengono banco le polemiche per le condizioni di gioco del torneo californiano: il tema riguarda in particolare le palline e la superficie di gioco. Il primo a porre la questione sui social media è stato Stan Wawrinka, qualche giorno fa, pubblicando una foto in cui venivano confrontate una pallina utilizzata per un solo scambio di riscaldamento da un lato e una pallina invece nuova dall’altro. La differenza tra le due palle era abissale, e quella che era stata utilizzata per un solo scambio sembrava reduce da una battaglia da fondocampo di un paio d’ore: “E’ normale che in uno dei tornei più importanti del circuito siamo costretti ad allenarci con palle usate?” chiedeva Stan su X, menzionando il direttore del torneo Tommy Haas. No, non è normale, ma il cemento di Indian Wells è da sempre considerato il più lento e abrasivo di tutto il circuito.
Luca Baldissera di Ubitennis, che si trova proprio a Indian Wells, ci spiega il motivo: “Qui nel deserto i campi devono essere lenti per forza di cose, la palla vola nell’aria a zero umidità, veloce come in altura, è come essere sopra i 1000 metri. Se fai campi svelti in queste condizioni diventano ingiocabili”.
In sintesi per moderare e tenere sotto controllo la velocità delle condizioni di gioco gli organizzatori nel corso degli anni hanno preparato dei campi in cemento che assomigliano alla carta vetrata: e probabilmente, con lo scopo di prevenire un (eventuale) problema, ne hanno creato uno ancora più grande.
Indian Wells, intendiamoci, è uno dei tornei più importanti del circuito, un torneo spettacolare sotto tantissimi punti di vista: è un evento amato dai giocatori, per l’atmosfera che si vive in questa moderna e tranquilla cattedrale nel deserto (nel vero senso della parola), è un torneo che, grazie al contributo di Larry Ellison, si è dotato nel corso degli anni di strutture all’avanguardia, la cosa oggettivamente più simile al “quinto slam” di cui tanto si sente parlare (e spesso a sproposito).
La qualità del gioco, però, è un’altra cosa: nelle ultime stagioni raramente il torneo californiano ha proposto match destinati a entrare nella top 10 annuale delle migliori partite. Le condizioni estreme della location non aiutano: il vento, il caldo, il deserto, l’escursione termica tra il giorno e la notte. Ma, e sarebbe ipocrita negarlo, la superficie lentissima ha contribuito in maniera decisiva all’impoverimento tecnico delle partite, che sulla carta vetrata rischiano di diventare solo una noiosa via di mezzo tra la lotta e la maratona (muscoli e corsa, e basta). Nel 2023 Daniil Medvedev si sfogò in un cambio di campo della sua partita con Ivashka: “Questo è il peggior campo su cui abbia mai giocato nella mia vita. Non mi venite a dire che si tratta di un campo in cemento, perché non lo è!”.
Si tratta dunque di campi abrasivi, come ci spiega l’ex giocatore australiano John Millman, sempre su X: “E’ un cemento troppo lento, una superficie granulosa che diventa una specie di carta abrasiva”. Non stupisce che la pallina, colpita con violenza dai migliori atleti del pianeta, si consumi rapidamente.
Andy Roddick ha pubblicato la foto di una pallina, intervenendo a gamba tesa nella questione del giorno: “Negli ultimi minuti ho ricevuto due messaggi da due dei migliori allenatori del mondo, che ovviamente si trovavano a Indian Wells. Entrambi mi hanno detto che le palle sono un disastro, questa è la condizione di una pallina dopo pochi minuti di riscaldamento”.
Dopo una serie di edizioni complicate il tema sembra essere definitivamente esploso proprio quest’anno: ma, secondo il numero 287 del ranking mondiale Thai-Son Kwiatkowski, il problema non è la marca di palline (Penn). Il 29enne americano ha infatti commentato così il post su twitter di Roddick: “Nel mese di gennaio abbiamo giocato un paio di challenger a Indian Wells, le palline utilizzate erano le Wilson e la situazione era esattamente la stessa: il problema non è la marca delle palle ma la superficie, lentissima e granulosa”.