di Matthew Futterman, pubblicato il 15 Febbraio 2024 su theathletic.com
Daniil Medvedev non sta giocando a tennis in questo momento. Si è riposato nella sua casa a Monaco con la moglie e la figlioletta dopo la corsa più assurda (o, meglio, salto nel vuoto) che un tennista abbia mai fatto in uno Slam.
Di certo ha bisogno di riposo ed è sicuramente questo il momento opportuno per una retrospettiva di metà carriera. Sì, ha perso la sua quinta finale Slam su sei giocate e, nel mentre, è diventato il primo giocatore a perdere due finali del Grande Slam dopo essere stato in vantaggio di due set. Ciononostante, Daniil Medvedev sta vivendo un momento d’oro.
Andy Roddick non manca di elogiarlo profusamente, definendolo un giocatore di gran lunga migliore di quanto non lo sia mai stato.
Darren Cahill, allenatore di Jannik Sinner e di diversi ex numeri 1 del mondo, lo ha definito un “guerriero” con uno dei migliori quozienti intelletivi al mondo a livello tennistico.
Parallelamente, si sente anche un coro di “era ora!” da parte di quegl’appassionati di tennis che apprezzano un giocatore che non assomiglia agli altri: dagli esteti che hanno guardato le sue partite con la bocca spalancata, chiedendosi come si possa mai far mandare una palla oltre la rete muovendosi come uno che con una rivista cerca di schiacciare una mosca chiusa in bagno, oppure rispondere al servizio praticamente appoggiandosi alla recinzione di fondo campo; ai rivali a cui ha spesso inflitto delle belle batoste; e persino ai laureati in lingue moderne, rapiti dalla sua padronanza del sarcasmo e dell’autoironia sia in lingua francese che in inglese, oltre ovviamente al russo.
Eccolo a un’ennesima straziante sconfitta in finale, questa volta contro Sinner, la stella nascente italiana che per il prossimo decennio sembra destinata, assieme a Carlos Alcaraz, a dominare il tennis in un modo in cui Medvedev non è mai riuscito a fare. Con la vittoria di Sinner, la generazione più giovane ha messo nuovamente in chiaro che non ha intenzione di aspettare il suo turno, mentre Medvedev ha cercato di non essere visto come un prodigio in grado di vincere un solo Slam (in realtà non è così). Nel corso di tre settimane in Australia (in gennaio, ndt), è diventato chiaro che Medvedev, che ha compiuto 28 anni domenica (11 febbraio, ndt), ha raggiunto il suo picco.
Per chi non lo sapesse, in un’epoca piena di giocatori che cercano di imitare i colpi classici di Roger Federer, Rafael Nadal e Novak Djokovic, Medvedev è l’iconoclasta del tennis. Non ha né l’aspetto né un tipo di gioco dai sapori classici. È un calderone di casualità e imprevedibilità: atleta sublime, videogiocatore hard-core, padre di famiglia e nerd del tennis che non disdegna le arti oscure e la guerra psicologica in campo.
Persino Gilles Cervara, suo allenatore negli ultimi sette anni (un’eternità nel mondo del tennis), lo trova una sorta di enigma. Cervara ha detto di recente che, a volte, fa delle domande a Medvedev sul suo gioco o gli chiede considerazioni di metà partita, aspettandosi una risposta sofisticata dal numero 3 del mondo (al momento della pubblicazione dell’articolo originale, ndt), vincitore Slam e, due anni fa, numero 1. Queste risposte raffinate non arrivano.
“Ho la sensazione di parlare con un adolescente“, ha detto Cervara.
Medvedev indosserà pure Lacoste, nel tennis uno dei marchi più classici, ma i vestiti ricoprono il fisico esile di uno che sembra il bassista di una band indie rock che troppo spesso va a dormire all’alba e si scola troppa Mountain Dew dietetica (bevanda zuccherata, ndt). La sua chioma è solitamente sudata e scapigliata.
La faccia è sempre semi-ricoperta dalla barba trasandata di un intellettuale dei tempi della Rivoluzione Russa, il che è appropriato se pensiamo che gioca e guarda i singoli punti in una paritita di tennis come se fossero mosse su una scacchiera. In una stanza sul retro dell’All England Club lo scorso luglio, mentre guardava gli ultimi giochi della partita di quarto turno tra Christopher Eubanks e Stefanos Tsitsipas, Medvedev fu in grado di prevedere correttamente la direzione di ogni servizio e fece la previsione delle sequenze di colpi di ogni punto prima che accadessero. Non c’è da stupirsi che, due giorni dopo, abbia rimontato il set di svantaggio su Eubanks, battendolo in cinque set.
“Come ha detto Jannik, impariamo ogni volta che scendiamo in campo e giochiamo contro Daniil”, ha detto Cahill dopo la finale degli Australian Open.
Il dritto e il rovescio di Medvedev sono più delle schiaffate che dei colpi. È il raro giocatore che, quando inizia il suo movimento di servizio, non fa mai toccare palla e racchetta in nessun punto, il che è sia strano che difficile. Ha 20 titoli in bacheca, ma non ha mai vinto due volte lo stesso torneo.
In partita anche il suo box, che la maggior parte dei top players riempie di allenatori, collaboratori e conoscenti, è diverso, soprattutto ai grandi eventi, quando lo si vede per lo più vuoto.
C’è Cervara assieme al suo physical trainer o al fisioterapista. Il suo agente, Olivier van Lindonk, talvolta siede una fila dietro di loro. Molto di rado, c’è anche la moglie di Medvedev, Daria (Dasha): spesso indossa gli occhiali e si veste come una di ritorno dalla palestra o da una libreria – non tratta il box del giocatore come una passerella di moda, come si vede fare alla maggior parte delle partner dei tennisti. E questo è tutto.
Nuovo anno. Nuovo Daniil.
Medvedev ha iniziato quest’anno con alcuni propositi e dichiarazioni.
Voleva cambiare. Voleva maturare.
Niente più incitamenti alla folla se lo stanno fischiando (US Open 2019 e varie altre occasioni).
Ridimensionamento delle sciocche invettive di metà partita: “Farò pipì alla stessa lentezza di questo campo!” (Indian Wells, marzo 2023).
Niente più sconsideratezze in campo, come estrarre e gettare a terra il bastoncino che sostiene la rete per dare uno scossone a quei momenti cui le cose non stanno andando per il verso giusto (Monte Carlo, 2023).
“Voglio essere me stesso, cercare di fare meno cose stupide che non mi aiutano come persona e come tennista”, ha detto a Melbourne a metà gennaio.
Ditelo che non è così. I fedelissimi di “Meddy” di tutto il mondo volevano dargli una scrollata e fargli ripetere il mantra del giorno: l’io autentico, l’io autentico, l’io autentico.
Nella sua adolescenza, Medvedev, che ha rifiutato di essere intervistato per questo articolo, è stato il giocatore peggiore di un elogiato gruppo di giovani russi che cercavano di sfondare nel tour dell’ATP. Il gruppo comprendeva Karen Khachanov e Andrey Rublev, che è uno dei suoi più cari amici e padrino di sua figlia. Dopo l’infanzia in Russia, si è trasferito in Francia da adolescente per dedicarsi al tennis professionistico – uno dei tanti motivi per cui è rimasto lontano da qualsiasi discussione sulla politica russa o sull’invasione dell’Ucraina è che non vive lì da più di un decennio.
A 21 anni, quando era ancora fuori dai primi 50, un altro residente della Costa Azzurra, di nome Novak Djokovic, gli chiese se voleva allenarsi con lui. Non riusciva a crederci, ma poi eccolo in campo poche mattine dopo a riscaldarsi con l’ex, e presto nuovamente, numero 1 del mondo, che lo trattò come un pari e che, mentre stavano scambiandosi delle dritte prima dell’allenamento, lo invitò persino in aereo con lui per l’imminente sfida di Coppa Davis tra Serbia e Russia.
Medvedev disse a Djokovic che aveva già un biglietto aereo. Poi passò l’ora successiva, mentre stavano giocavando, a pensare di aver fatto una stupidaggine. Alla fine dell’allenamento, pensò tra sè e sè “e che diavolo”, e chiese a Djokovic se il posto sul suo aereo fosse ancora disponibile. Lo era. Medvedev non ha mai dimenticato quel suo gesto.
Quattro anni dopo, Medvedev battè Djokovic nella finale dello US Open 2021, impedendogli di vincere tutti e quattro gli Slam in un solo anno solare. L’agosto successivo, nel tardo pomeriggio, si trovava su un balcone del New York Palace Hotel, guardando pensieroso il traffico che passava una dozzina di piani sotto di lui.
“Da quando ho iniziato a venire da junior, mi è sempre piaciuto molto essere qui”, disse quel giorno.
Oltre un anno fa, Medvedev uscì dalla top 10 per la prima volta dal 2019, ma da allora, dopo i pochi mesi di adattamento in seguito alla nascita della figlia Alisa nell’ottobre 2022, ha giocato forse il miglior tennis della sua carriera. E qui, per spiegarsi questo fenomeno, non viene suggerita una motivazione lineare, quale la paternità a renderlo un tennista migliore perché è maturato e ha trovato una nuova prospettiva.
“Due storie diverse”, ha detto di recente con la sua tipica impassibile sincerità. “Puoi essere un buon tennista e un cattivo genitore; un cattivo tennista e buon genitore”.
A poco più di 20 anni Medvedev era emerso come una sorta di minaccia nel circuito per la sua capacità di andare in fondo a qualsiasi torneo maggiore, arrivando in finale agli US Open nel 2019. Tuttavia, lo si è iniziato a vedere come una sorta di cattivo del tennis quando ha iniziato ad affermare di non essere mai stato più felice di quando gli stadi gremiti gli gridavano contro per i suoi fastidiosi moti da ribelle – in realtà, un’affermazione non propriamente corrispondente a verità. Infatti, nel 2022 era piuttosto stufo di tutto cio’.
Quando l’ultima stagione di Break Point, la serie di Netflix sul tennis professionistico, ha fatto recentemente leva su quella narrazione e l’ha usata come complemento per la storia di Zverev, Medvedev non è stato contento. Zverev è stato accusato due volte di abusi fisici nei confronti di ex fidanzate, cosa che ‘Break Point’ ha mancato di includere.
La “serie non è la vita reale”, ha detto Medvedev.
Un Australian Open da ricordare
In Australia, il gennaio scorso (ndt), Medvedev ha messo in scena il più medvedeviano degli spettacoli. Per capire cosa significhi, è importante capire perché. Anche se in Australia indossava un cappellino dei Chicago Bulls, Cervara indossa quasi sempre un cappello da hockey.
Cervara ama l’hockey, ma ciò che ama davvero sono i grandi portieri di hockey. Henrik Lundqvist, la stella in pensione dei New York Rangers, è il suo preferito, da qui il cappellino dei Rangers che spesso indossa.
L’ossessione di Cervara per il portiere aiuta a spiegare come Medvedev sia arrivato a giocare a tennis come un muro umano, un uomo disposto a sferrare colpi folli e a rilanciare palle senza soluzione di continuità, esaurendo gli avversari fino alla resa.
“È uno che non ti dà davvero nulla”, ha detto Zverev di Medvedev, che lo ha tormentato per gran parte della sua carriera. “Ti fa lavorare per ogni singolo punto e, una volta che non riesci più a farlo, diventa molto difficile”.
Uno dei momenti salienti dell’Australia è stata l’intervista post-partita che l’ex numero 1 del mondo Jim Courier ha condotto con Medvedev – più che un’intervista, è stata più una passeggiata con uno dei grandi esperti di tennis (Medvedev), che ha mostrato e raccontato i vantaggi di stare a più di 4,5 metri dietro la linea di fondo per rispondere al servizio, ma ha ammesso che questa tattica lo ha reso vulnerabile contro i tennisti che giocano molto bene la palla corta.
Courier gli chiese cosa accadrebbe se gli avversari non avessero un’ottima palla corta.
“Beh, in quel caso vincerò il torneo”, disse.
Quasi.
Medvedev ha giocato quattro partite finite al quinto set in Australia. È stato in campo per 24 ore e 17 minuti, un record nella storia moderna dello Slam. Nella partita di secondo turno è stato in campo fino alle 3.40 del mattino, e quella mattina è riuscito ad andare a letto solo alle sette.
Era così esausto alla fine del torneo che, contro Sinner, ha dovuto abbandonare i suoi soliti schemi tattici e passare all’offensiva, sapendo che non avrebbe potuto scambiare rovesci per cinque ore. Ha funzionato fino a quando, poi, non ha più funzionato.
“Pensando a quello che il suo fisico è stato sottoposto, Daniil è andato e tornato dall’inferno in questo torneo”, ha detto Cahill di Medvedev dopo la finale. “Non riesco nemmeno a immaginare come si senta”.
E ora, dove andrà Medvedev?
Una volta che si sarà ripreso, Doha, Dubai, Indian Wells e Miami saranno i suoi prossimi tornei in calendario, poi ci sarà la stagione su terra battuta, che a sua detta sta iniziando ad apprezzare sempre di più. Più trofei dello Slam, o magari più finali – chi lo sa? Trova che il bello del tennis stia nel fatto che, a sua detta, “non puoi guardare al futuro”, anche se a quanto pare lui può farlo.
Alla fine, sa una sola cosa e la dice alla fine di ogni torneo, quando scende da un palco con microfono.
“Ci rivediamo prima o poi“, dice alzando le sopracciglia, “da qualche parte nel mondo”.
Traduzione di Silvia Gonzato