da Monaco di Baviera, il nostro inviato
Michael Stich porta benissimo i suoi cinquantacinque anni: con il viso meno invecchiato della carta d’identità, la stessa quantità di capelli e il fisico asciutto, in gran forma, lo riconosci a prima vista. E, se non lo riconosci, è perché ti aspetti il classico ex atleta parecchio appesantito.
Introdotto nella Hall of Fame nel 2018, da sabato scorso Stich può finalmente sfoggiare il relativo anello, consegnatogli sabato durante una cerimonia tenuta tra la prima e la seconda semifinale dell’ATP di Monaco di Baviera sul Centrale del MTTC Iphitos, il circolo che ospita il torneo. I sei anni “di ritardo” si spiegano perché, prima di tutto, non c’era della sua misura e poi era arrivata la pandemia a mettersi di traverso. Michael ha giocato (e vinto) la Bundesliga proprio con questo tennis club, conquistato il titolo del BMW Open nel 1994 e mantenuto uno stretto rapporto con Niki Pilic, storico capitano di Coppa Davis e allenatore di lunga data dell’Iphitos. E così si comprende anche la scelta della location, verso la quale il nostro ha volato volentieri da Amburgo.
Nel suo palmares risplendono particolarmente i trofei di Wimbledon 1991, la medaglia d’oro olimpica a Barcellona in coppia con Boris Becker, il Masters e la Coppa Davis del 1993. 18 titoli complessivi in singolare e le finali Slam raggiunte anche allo US Open e al Roland Garros.
Mentre si siede a un tavolo della sala stampa per un chiacchierata informale con i giornalisti, appare un po’ commosso guardando il dito impreziosito dall’anello. “Non sono privo di emozioni” spiega. “In Germania è insolito essere onorati per qualcosa e ricevere un anello. Negli Usa è normale ricevere un gioiello così vistoso”.
Al 193 cm nativo di Pinneberg (Schleswig-Holstein) non piace vivere nel passato, anche se naturalmente conserva alcuni cimeli, come l’oro olimpico e l’orologio indossato nella finale di Wimbledon, ma “non la racchetta, me l’hanno rubata. Non so come e dove, ma che importa, m****”.
Si passa velocemente all’attualità con il controverso, rumoroso ingresso dell’Arabia Saudita anche nel tennis. “Come negli altri sport, si tratta sempre più di soldi, economia, capitalismo. Così lo sport ne soffre perché in qualche modo viene persa la genuinità degli atleti. Diventa mainstream” commenta. Stich. “Mi mancano i personaggi nel tennis, ma anche negli altri sport. Quelli che si distinguono, che sono diversi. Trovo fantastici molti giocatori, ma la natura sempre più monodimensionale del tennis mi rende difficile guardare i match più lunghi”. Tornando subito al nocciolo della questione, conclude dicendo che “non capisco come l’Arabia Saudita possa ospitare le WTA Finals anche se non dimostra alcuna stima per i diritti delle donne. Qualcosa non quadra, non ho una spiegazione logica. Penso che per poterlo fare dovrebbero aprirsi come Paese e assumere una diversa posizione, anche se è una quantità incredibile di denaro quella che stanno sborsando”.
Sulla possibilità che Alexander Zverev, precocemente sconfitto in Baviera, possa finalmente mettere le mani su un trofeo del Grande Slam, Michael dice che per riuscirci “devi essere emotivamente, fisicamente e psicologicamente stabile nell’arco di due settimane. Devi superare una giornata no vincendo un brutto match. Non c’è dubbio che Sascha abbia il potenziale. Ma alla fine devi davvero essere in forma e mentalmente forte”. Vincitore in Church Road nel 1991, rivela che “una vittoria del Grande Slam ti cambia la vita. Wimbledon è un’altra cosa, è il torneo più prestigioso e tradizionale, genera un livello di attenzione e aspettative completamente diverso. Puoi vincere il Masters, diventare campione olimpico o vincere la Coppa Davis, va bene. Ma vincere uno Slam è tutta un’altra pietra miliare”.
Il rovescio a una mano sta scomparendo e la notizia dell’assenza di monomani in top 10 (peraltro rapidamente rimediata) non gli è sfuggita. Gli è venuto da sorridere e il motivo è presto detto: “Da bambino anch’io lo giocavo a due mani, finché qualcuno mi ha detto, ‘quanto sei stupido a correre tre metri in più?’. Non capisco perché oggi sia così. Non si vede più lo slice di rovescio perché quasi nessuno riesce più a farlo”.
Ha infine escluso il suo ritorno nel circuito come allenatore: “Venti settimane in giro per il mondo non sono piacevoli. E non ho bisogno di ruoli per realizzare le mie idee”, magari riferendosi al fatto che la DTB, la federtennis tedesca, “negli ultimi dieci anni ha messo in atto ciò che avevo suggerito dieci anni fa”. O, più probabilmente, all’arte: Michael dipinge e ha in programma una nuova mostra delle sue opere.
Un ringraziamento speciale a Gerald Kleffmann del Süddeutsche Zeitung