Da Roma, il nostro inviato
La vita è un attimo, il tennis forse ancor meno. Alejandro Tabilo fino a qualche mese fa era un perfetto sconosciuto, in top 100 per il rotto della cuffia. Oggi è il primo semifinalista agli Internazionali d’Italia, un risultato a dir poco sorprendente. Arrivato dopo la vittoria più bella della sua carriera contro Djokovic, confermata oggi contro Zhang. “Sul match point ero un po’ nervoso” ammette il cileno, “per tranquillizzarmi ho provato a guardare il mio team, è stato un sentimento incredibile. Poi alla prima volta in cui gioco qui, impensabile. Sono state due settimane incredibili, ma non è ancora finita. Ora devo riposarmi e pensare al mio tennis per venerdì. Essere in semifinale è un onore“.
Un onore giunto in maniera sicuramente un po’ particolare, dal momento che Tabilo è qui a Roma senza coach. Ma non per i motivi di Napolitano, bensì perché ha rotto la collaborazione con il suo storico allenatore. “Nelle ultime due settimane sono stato senza coach“, svela il n.25 virtuale, “ci sono stati un paio di problemi logistici perché ho un team abbastanza grande e non avremmo potuto decidere faccia a faccia. Ma è stata una separazione senza attriti, abbiamo deciso cosa fosse meglio per entrambi. Ma comunque è stato difficile, sono grato alle persone che mi sono state vicine nelle ultime due settimane, mentalmente è stato qualcosa di complicato perché eravamo insieme da quasi 10 anni. Poi ho giocato in modo rilassato, cercando di non pensare nemmeno a troppe tattiche o altro. Dopo lo swing su terra, dopo il Roland Garros, deciderò cosa fare, proverò a riorganizzarmi meglio”.
Una storia meravigliosa quella di Tabilo, di perseveranza, di un giocatore capace di reinventarsi e di trovare a 26 anni la prima semifinale 1000 e la top 30. Con una storia personale anch’essa tutta da raccontare. Lui è nato in Canada, poi ha vissuto negli Stati Uniti e infine la vita lo ha portato in Cile. Ma come è partito il tutto? “I miei genitori andarono in Canada per iniziare una nuova vita“, spiega il cileno, “entrambi con le loro famiglie. Si sono incontrati lì, dove poi sono nato io. Ho poi iniziato a giocare semplicemente perché mio fratello giocava a tennis per divertimento, e avevamo il più grosso circolo della provincia giusto dall’altro lato della strada. Ho iniziato a giocare lì, da allora ho semplicemente continuato e amato sempre di più il gioco. E adesso sono qui“. A Roma, sul tetto del mondo del tennis. Per questa settimana, e chissà. Dovrebbe guardare la seconda stella a destra per vedere dove virerà il futuro.