In questi giorni il Circolo della Stampa Sporting di Torino ha ospitato sui suoi campi il Piemonte Open Intesa Sanpaolo, Challenger175 di altissimo livello. C’era ovviamente grandissima attesa per vedere all’opera Lorenzo Sonego, nato tennisticamente proprio in questo circolo.
“È un’emozione unica poter giocare nel Circolo di casa” – aveva detto il torinese ad inizio torneo. Nel suo angolo, tuttavia, già da un paio di mesi non c’è più il padre tennistico di Lorenzo, quel Giampiero Arbino (anche lui di casa allo Sporting) con cui aveva trascorso tutta la sua carriera.
A quasi 70 anni – benché per la voglia e l’entusiasmo trasmesso quando parla ne dimostri decisamente meno – Gipo non ha alcuna intenzione di fermarsi. Come ci ha raccontato in esclusiva, avrebbe probabilmente accompagnato Sonego fino a fine carriera, ma il destino ha voluto diversamente.
D: Hai colto l’occasione per guardare un po’ di partite in questi giorni? Sei passato anche da Lorenzo?
Gipo Arbino: “Sì, ho visto qualche match e sono riuscito anche a fare questo passo. Contro Coria era la prima volta che lo vedevo dopo la nostra separazione”.
D: Ti ha fatto un po’ effetto?
Gipo Arbino: “Mi ha fatto molto effetto. Però ormai mi sono reso conto che abbiamo vedute totalmente diverse, quindi mi sono tranquillizzato. Abbiamo ancora parlato in questi giorni, la vediamo proprio diversamente“.
D: Su che cosa in particolare avete vedute diverse?
Gipo Arbino: “Su tutto! Siamo proprio su due pianeti diversi. Lui è proprio cambiato, ha cambiato idee e si è un po’ equiparato alla massa. Io invece sono rimasto con le mie idee, quelle che lo avevano portato quasi in top20. Credo in quello che ho fatto, per me abbiamo fatto tantissimo. Lui secondo me ha un po’ sottovalutato questo nostro grande feeling, questa grande energia che c’era tra noi. Mi sono reso conto che dava anche fastidio agli avversari: a qualcuno stavo pure antipatico, mi vedevano come una specie di pericolo. Sonego riusciva a prendere tanta energia da me, raccoglieva grande forza dalla mia presenza e per me questo era molto soddisfacente. Io soffrivo e pativo insieme a lui“.
D: C’è qualche prospetto, qualche nuovo giocatore con cui potresti iniziare a lavorare?
Gipo Arbino: “Purtroppo la mia separazione da Lorenzo è arrivata in un momento un po’ complicato: tutti i giocatori hanno il coach. Vedremo a fine anno: nella vita non sempre 1+1 fa 2. Non è detto che, anche se tu hai fatto un buonissimo lavoro con un ragazzo che non era un predestinato, la gente lo veda e se ne accorga“.
D: La tua idea è comunque quella di continuare nel tour?
Gipo Arbino: “Assolutamente sì, io sono ancora in piena forma e mi piace questo ambiente. Mi è dispiaciuto molto improvvisamente non esserne più parte. Ci tengo a ringraziare Palmieri e Lorenzi per avermi dato il pass per gli Internazionali, permettendomi di stare lì quanto tempo volevo e farmi vedere. Se salta fuori qualche ragazzo che mi piace come potenziale e come persona, anche senza una classifica altissima, io sono a disposizione. Dopo 18 anni con Lorenzo è anche comprensibile che sia finita, probabilmente aveva bisogno di nuovi stimoli e di cose diverse. Lui ha detto così e io ci devo credere. Io sono stato vicino a Perlas e Toni Nadal e non ho sentito niente di straordinario. Cose semplici, giuste, traiettorie: non ho visto scienziati. Vedo più scienziati nel mondo del fumo, mentre nel mondo vero dei coach importanti vedo delle cose che so e che ho imparato anche grazie a Lorenzo, cui devo moltissimo”.
D: Pensi che lui sia stato un po’ attratto da questo fumo?
Gipo Arbino: “Più che attratto, forse incuriosito. Poi io sono come sono, io sono un personaggio. Quando tu hai finito la partita vado a fumarmi il sigaro (e mi hanno cazziato in tutte le parti del mondo), io sono così. Tu devi essere in un certo senso innamorato di me che ti ho fatto da padre. Finito un allenamento o una partita io preferisco andare a vedere altri allenamenti anziché stare lì e vedere te che fai ginnastica, che non me ne può fregar di meno. È anche una dimostrazione di fiducia nei confronti del preparatore, ci sono coach che invece seguono tutto. Poi nella vita bisogna anche parlare, magari basta dire: ‘Gipo, mi piacerebbe venissi in palestra’ e io vengo anche”.
D: Hai magari la sensazione che non vi siate detti tutto?
Gipo Arbino: “Forse non ci si è detti le cose nel momento giusto, magari anche per timore da parte sua. Io lo so che lui mi vuole bene, però puoi anche voler bene a tuo padre ma dopo un po’ non sopportarlo più. Penso che il tennis non sia così difficile se lo insegni nel modo giusto. Parlando coi migliori coach del mondo mi sono reso conto che sono tutti umilissimi, come i più grandi giocatori. Non dicono mai ‘è così’, ma ‘io penso che sia così’. Un pregio del giocatore è anche saper capire. Un tennista come Rune, che ha cambiato 60 allenatori, forse non è riuscito a capire ciò che era giusto per lui e avere un po’ di fiducia. Il tennis non è il calcio, non è che tutte le volte che perdi è colpa dell’allenatore. Io credo che un rapporto come il nostro, che era unico al mondo, potesse essere difeso. Poi ripeto, in questi giorni ci siamo parlati in maniera molto amichevole e abbiamo davvero vedute molto diverse. Io ormai mi sono rasserenato, ho capito che è cambiato tutto. Speravo di arrivare il più in là possibile, anche fino alla fine della sua carriera. Poi se avessi perso gli stimoli glielo avrei detto, per il suo bene mi sarei tirato indietro. Ora però voglio che si sappia che io sono molto più carico di prima: queste situazioni anziché deprimermi mi esaltano. Mi viene voglia di dimostrare, di fare e di allenare di nuovo qualcuno per provare a tirare fuori il meglio di lui“.