A Torino il tennis incontra il tennis in carrozzina, famoso in tutto il modo con la denominazione wheelchair tennis. Inventato nel 1976, in Italia è arrivato nel 1987 con la Federazione Italiana Tennis e Padel che lo ha incluso nel proprio statuto nel 2010.
Durante le Nitto ATP Finals, sia atleti professionisti di tennis in carrozzina che giovani leve hanno dato spettacolo con esibizioni sul campo d’allenamento e dando anche la possibilità di provare, dimostrando che anche nelle situazioni più difficili della vita sia proprio lo sport a dare un grosso aiuto, fisico e mentale.
Il primo a parlare è stato Hegor Di Gioia, numero uno della classifica race del circuito nazionale e 55esimo nel ranking internazionale categoria quad.
D. “Quanta emozione e pressione c’è nel giocare in un posto del genere?”
Di Gioia: “È molto emozionante giocare su questo campo dove si allenano i migliori otto tennisti al mondo, sono contento di aver partecipato a questa iniziativa. Un po’ di pressione c’è, ma anche quando vado a fare un torneo, l’unica situazione in cui si sta tranquilli è l’allenamento altrimenti anche in queste iniziative c’è un pizzico di pressione”
D. Il palcoscenico delle Nitto ATP Finals può essere una vetrina importante per il wheelchair?
Di Gioia: “Certamente, gIà grazie alle ultime Olimpiadi è aumentato l’interesse, penso che con queste iniziative può solamente crescere ulteriormente”
D. A parte quelle di regolamento, quali sono le più grandi differenze con il tennis?
Di Gioia: “Sicuramente il fatto che abbiamo un ingombro in più ovvero la carrozzina da gestire, trovare il tempo giusto sulla pallina è più complesso. La potenza del servizio è diversa rispetto al tennis in piedi, per esempio i turni di servizio sono meno efficaci, in carrozzina è più agevolato chi risponde e questo lo rende più imprevedibile”.
D. L’effetto Sinner arriva anche a voi? Ci sono più iscrizioni rispetto ad una volta?
Di Gioia: “In questo periodo ci sono poche nuove entrate perché a differenza di quando ho avuto io l’incidente c’era la possibilità di provare vari sport come attività esterna, adesso questo non succede. Quindi siamo noi che andiamo nelle scuole a cercare qualche atleta, più difficile che arrivino di loro spontanea volontà”
Dopodiché è intervenuta anche Maria Vietti, la numero 9 della classifica race del circuito nazionale, 84esima nel ranking internazionale nella categoria femminile. Maria è da due anni che ha dovuto passare dal tennis in piedi al weelchair tennis, ma già conosceva questo mondo poiché era fisioterapista specializzata proprio per atleti in carrozzina.
Vietti: “Io in piedi avevo un buon servizio, decidevo dove e con che forza mettere la pallina, naturalmente da quando sono seduta ho imparato che quando tu ricevi stai in movimento mentre quando servi sei immobile, sicuramente questo è determinante ed è più difficile imprimere forza nella battuta. In ambito femminile è vero che non ci sono servizi potenti, ma il tennis in carrozzina mi ha insegnato che la potenza non è tutto”
D. È vero che le decisioni vanno prese in meno tempo rispetto la tennis in piedi?
Vietti: “Sto ancora imparando, il fatto di avere due rimbalzi non dev’essere un obbligo ma una possibilità, poi puoi volendo andare al primo, l’importante è non ripensarci e affidarsi alla prima idea. La cosa difficile da gestire è che oltre alla racchetta devi gestire la carrozzina poiché avendo un’inerzia quest’ultima è sempre in movimento, anche quando stai ferma. Il tempo sulla palla, il recupero della posizione in campo e tenere la carrozzina in movimento perenne sono tutte questioni che ho dovuto e sto ancora imparando a distanza di due anni”
D. Quanto è importante avere questo tipo di visibilità alle Nitto ATP Finals?
Vietti: “Lo sport è la vera cura e riabilitazione per una persona che subisce un cambio di vita radicale, per me è molto importante che oggi siamo qui a testimoniare che si può giocare e che soprattuto possono giocare persone con vari tipi di disabilità, indipendentemente dal sesso e dall’età. È importante che se ne parli sempre di più dell’integrazione e che la vita non finisce perché ti viene tolto qualcosa, anzi”.
D. A che punto è l’Italia riguarda il tennis in carrozzina?
Vietti: “Purtroppo in Italia siamo ancora molto indietro da questo punto di vista, chi subisce un danno e vuole ricostruire la propria vita ha una chiara difficoltà di accesso alle strutture perché non sono rese accessibile e spesso sono vecchie, c’è anche poca informazioni e quindi pochi contatti per iniziare. C’è tutto un discorso di avviamento alla sport che dev’essere implementato nelle scuole. D’altronde come ci sono molte disabilità acquisite come la mia, quindi chi lo diventa, ci sono tanti ragazzi che nascono con una disabilità e credo si debba fare un lavoro grande per arrivare all’obiettivo. Chi è chiamato in prima persona è la società perché non devono essere la minoranza”
Domanda: Da chi dobbiamo prendere esempio?
Vietti: “Dall’Olanda. Lì per esempio esiste una policy in cui se tu acquisisci o nasci con una disabilità vieni introdotto in un percorso dove ti viene data la preparazione fisica e sportiva sia agonistica che non. Dunque aiuti anche a livelli economici per le attrezzature per esempio. In Italia abbiamo il comitato paralimpico, ma il problema è che ci sono le federazioni. A volte questo rende più difficili le cose”