Il lunedì dei tennisti è il nostro lunedì: gli occhi stropicciati, il rumore della pioggia, il traffico del semaforo più lungo, il clacson dei pensieri che non riescono a svegliarsi e il ‘Processo’ alla squadra del cuore, che ha pareggiato una partita che non si doveva pareggiare.
Il nostro lunedì è il lunedì dei tennisti, perchè un tennista – di base – perde tutte le settimane: e allora atterra nell’aeroporto del prossimo torneo, e allora gradisce un giorno di riposo o di rifinitura, e allora preferisce rinviare il traffico degli avversari. Una settimana fa, però, è accaduta una cosa strana, e sul Centrale del Rolex Monte-Carlo Masters si sono affrontati, di lunedì, il numero 11 e il numero 25 del ranking mondiale, Daniil Medvedev e Karen Khachanov, nel primo turno più prestigioso possibile. Perchè Montecarlo è l’isola felice del tennis ATP, e non ci riferiamo alle tasse. Ma allo spettacolo del tennis.
Vi diranno che si tratta di un Masters 1000 con l’asterisco, perchè è l’unico a non essere ‘obbligatorio’, vi diranno che il Country Club è un circolo scomodo, vi diranno che non possiede le strutture, lo spazio e lo spirito della novità di Indian Wells. Vi diranno che una cartolina è solo una cartolina, e che il panorama non costruisce le basi solide di un torneo. Vi diranno che la tradizione è una cosa da vecchi, e che l’aneddoto di Panatta che riaccompagna Borg in albergo, raccogliendolo sulle proprie spalle, ha probabilmente stufato. E vi diranno la verità.
Ma la verità, a volte, non è abbastanza, perchè la verità è importante, ma poi c’è anche il tennis: nel 2025 sette dei nove 1000 stagionali si disputeranno con il formato delle “due settimane”. Un formato travestito da mostro: 96 giocatori (e altrettante giocatrici) in tabellone, 12 giorni di torneo, WTA e ATP insieme e – il disastro finale – 32 teste di serie: si sono salvati da questo disastro agonistico solamente il nuovo torneo indoor di Parigi (che da quest’anno si sposterà da Bercy alla Defense Arena), e, appunto, Montecarlo: nel principato la struttura dell’evento, molto più umana e appassionante, prevede 56 giocatori, 16 teste di serie e solamente 8 bye al primo turno. E una settimana viva, dalla domenica alla domenica, senza pause, senza le qualificazioni mascherate da primo turno, con un potenziale Medvedev-Khachanov (un match del genere, con il nuovo formato, non potrebbe esistere fino al quinto giorno del torneo) come aperitivo (e non dimentichiamoci il secondo turno del martedì tra il numero 2 Zverev e il numero 34 Berrettini) e con gli spalti sempre pieni, perchè il deserto dei primi giorni di Indian Wells, a volte, assomiglia al deserto della Coachella Valley.
Il nuovo modello dei 1000 – introdotto molti anni fa proprio per Indian Wells e Miami e oramai diventato la normalità – è il modello dell’abbuffata isterica: un’abbuffata che per forza di cose deve seguire le regole della matematica e del giudice arbitro e che si esaurisce di conseguenza sul più bello, nel momento clou, ovvero nell’apice della seconda settimana, che alla fine rimane vuota, esattamente come tutti gli slogan. A Roma, ad esempio, gli ottavi di finale del torneo maschile si concludono nel secondo martedì del torneo: questo significa che negli ultimi cinque giorni di Foro Italico rimangono in programma solamente sette partite, distribuite, male, in sessioni sempre più brevi e sempre più costose.
Hanno cancellato quel diamante prezioso del primo weekend degli Internazionali: prezzi accessibili, le qualificazioni che assomigliavano a un buon tabellone di un torneo ATP, il fascino del tennis visto da vicino.
Il nostro non è ovviamente l’unico sport che sta inseguendo la traiettoria dell’abbuffata isterica: ma quando qualsiasi momento viene descritto come sensazionale, non resta più niente di straordinario, quando ogni partita viene spacciata per un evento, diventa impossibile distinguere le partite preziose, quando ogni colpo vincente diventa il più bello del torneo, i circoletti rossi sbiadiscono.
La maggior parte dei “big” – come dargli torto – apprezza un vestito costruito apposta per proteggerli: l’esordio soft (al massimo contro il numero 33 del ranking mondiale), i giorni di riposo, i punti pesanti che vengono messi in palio solamente nei tornei più grossi, con il naturale fallimento degli ATP 250. Il recinto del tennis prevede le esibizioni per pochi, la svendita della Coppa Davis (quella vera), l’abolizione dello spettacolo dell’oltranza nei set decisivi degli Slam (perchè l’oltranza selvaggia “rovina la regolarità di un torneo”, mentre invece i bye per i tennisti più forti rappresentano l’apice dello spirito dello sport) e degli eventi più poveri.
I giocatori minori si prestano a queste storture, accontentandosi – e non è poco – dei montepremi, sempre più gonfi, di questa elite allargata: gli Slam sono gli Slam, si diceva una volta, ma la qualità media dei 1000 è un’altra cosa. Ecco: questo principio non esiste più, ed è rimasta solamente la regola del recinto. Proteggiamo i più forti, destinati a diventare sempre più forti, perché i nomi accontentano gli sponsor, le televisioni e i numeri del botteghino. E tutti gli altri? Li invitiamo e gli regaliamo una mancia, e siamo tutti più tranquilli.
E poi, dicevamo, c’è il tennis: Indian Wells è indubbiamente uno spettacolo, una specie di esperienza sensoriale, il 1000 più ricco e organizzato meglio. Ma a livello tennistico – superficie lentissima, vento costante, gelo serale – è un vero e proprio disastro: nessuna partita di Indian Wells è mai entrata nella top 10 dei match dell’anno, e ci sarà un motivo.
Il sapore del nuovo formato ricorda quello di un cocktail annacquato: un cocktail che moltiplica gli incassi, allunga un brodo noioso e consente agli organizzatori di mostrare i muscoli della propria potenza economica, a caccia del titolo un po’ sterile di “quinto Slam”. La lunga (e protettissima) passerella dei nomi più famosi del mondo allarga il bacino degli appassionati, strizza l’occhio alle televisioni (e non c’è niente di male) ma allo stesso tempo rischia di intaccare l’intensità e la qualità del torneo.
Il Masters 1000 di Montreal dello scorso anno (tabellone a 56 giocatori) fu caratterizzato dalla pioggia e dalla mancanza del tetto: le condizioni, in poche parole, furono semplicemente le stesse per tutti i protagonisti, dalla testa di serie numero 1 fino all’ultimo dei qualificati. Senza preferenze, senza giorni di riposo, senza ombrelli che salvassero la programmazione del campo più importante. Indovinate chi vinse?